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Nei mesi scorsi vi abbiamo mostrato immagini di pesci, tartarughe, delfini, balene e uccelli marini che vivono in un mare soffocato dalla plastica. Eravamo e siamo ancora oggi convinti che sia necessario ridurre drasticamente il consumo di plastica, soprattutto usa e getta, e per questo abbiamo lanciato una petizione, diretta al Ministro dell’Ambiente, per chiedere all’Italia di schierarsi per proteggere il mare e gli organismi che lo popolano con posizioni rigorose e ambiziose nell’ambito di alcune direttive comunitarie sulla gestione dei rifiuti, inclusa la plastica.
La recente legge sull’obbligo di usare i sacchetti biodegradabili per l’ortofrutta, entrata in vigore lo scorso 1 gennaio, va proprio in questa direzione e tuttavia, a causa di un incredibile cortocircuito burocratico tra i Ministeri dell’Ambiente e quello della Salute, rischia di rivelarsi un clamoroso boomerang per l’ambiente. Come già avvenuto 5 anni fa con la legge sugli shopper tradizionali, l’intenzione di partenza della nuova legge sui sacchetti ultraleggeri per asporto dei generi alimentari (quelli usati per frutta e verdura nei supermercati) è di superare l’uso della plastica tradizionale.
Tuttavia, contrariamente a quanto avvenuto con gli shopper, non è consentito usare sacchetti ultraleggeri riutilizzabili: un divieto che nella stessa legge non è presente. Infatti la legge non vieta esplicitamente di usare sacchetti riutilizzabili, ma introduce solo l’obbligo di impiegare sacchetti biodegradabili e compostabili al posto di quelli ultraleggeri in plastica. Una circolare del Ministero dell’Ambiente inviata a fine 2017 alla Grande distribuzione però si. In seguito alle polemiche di inizio anno, sono intervenuti sia il Ministero dell’Ambiente che il Ministero dello Sviluppo Economico, che si sono detti disponibili all’impiego di sacchetti riutilizzabili, e il Ministero della Salute, che ha detto sì ai sacchetti monouso, a patto che siano vergini. Ad oggi quindi o usiamo il sacchetto che troviamo nel supermercato oppure ce ne portiamo uno nuovo (e mai usato) da casa (una scelta che purtroppo ci costerebbe molto di più dei 1/3 centesimi che paghiamo al supermercato).
Quindi per ogni singolo ortaggio o frutto che decidiamo di acquistare abbiamo bisogno di un sacchetto vergine (prelevato nel supermercato o vergine e monouso portato da casa) in plastica biodegradabile, materiale che, se finisse accidentalmente in mare, potrebbe degradarsi in tempi più brevi, ma non brevissimi, rispetto alla plastica tradizionale. Insomma, questo materiale può comunque generare problemi a pesci, delfini e tartarughe che potrebbero scambiarlo per cibo. È quindi lecito chiedersi (al di la della polemica sul “costo” di questi sacchetti che comunque, indirettamente, abbiamo ovviamente sempre pagato) se ci sia realmente un vantaggio per l’ambiente con la nuova normativa.
Il fatto di mostrare il costo di pochi centesimi dovrebbe servire come deterrente per disincentivarne l’uso (vedendo quanto lo paghiamo dovremmo essere invogliati a non usarlo, così come avvenuto per la busta della spesa della cassa che, da quando è entrata in vigore la legge 5 anni fa, ha permesso una riduzione del numero dei sacchetti di circa il 50%). Tutto questo discorso, che in poche parole replica lo schema della legge sui sacchetti che troviamo in cassa, non ha però più alcun senso se non abbiamo a disposizione l’alternativa (il sacchetto riutilizzabile). Ecco perché le persone percepiscono i pochi centesimi del sacchetto come una tassa da cui non si può scappare.
L’unica alternativa logica e sostenibile per l’ambiente è quella di consentire l’impiego di un sacchetto (“sporta”) riutilizzabile. Un’alternativa pratica, conveniente, ambientalmente sostenibile, che rispetta la gerarchia del riuso come opzione preferibile ed immediatamente adottabile, almeno nel caso di generi alimentari (come è il caso in genere per l’ortofrutta) che non creano, a differenza di carne, pesce, e prodotti caseari molli, problemi di imbrattamento e sgocciolamento. Basterebbe una semplice circolare del Ministero dell’Ambiente, condivisa col Ministero della Salute, che autorizzi l’uso di sacchetti riutilizzabili per l’ortofrutta in modo analogo a quanto già avviene in altri paesi europei in cui questa alternativa viene addirittura promossa.
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