Seven on the road: storia di una famiglia che ha cambiato vita!
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Non c’è mai un solo modo di guardare alle cose, alle persone, ai luoghi. Una decina di anni fa, per esempio, Massimo e Virginie – lui pugliese, dipendente statale; lei italo-belga, geologa e mamma – si domandarono se l’Italia, il paese in cui si erano conosciuti e sposati, quel paese in preda alla crisi economica, lacerato dalle divisioni politiche, violentato da speculatori d’ogni genere, meritasse davvero di veder crescere i loro piccoli Tommaso, Alice, Asia e Mattia, all’epoca di 6, 5, 3 e 1 anni.
Fu durante un viaggio in Brasile per visitare degli amici. Si accorsero di quanta gioia di vivere animasse i bambini di Bahia e di come questa fosse inversamente proporzionale alla quantità di giocattoli e vestiti che possedevano. E così decisero di lasciare il lavoro e di vendere la casa dove vivevano in Toscana per comprarne una in campagna, in una cittadina non distante da Belo Horizonte, dove aprirono un negozio di preparati naturali a km zero in parte autoprodotti nel loro orto.
Otto anni e un’altra figlia dopo (Sofia, nata in Brasile), i limiti del sistema li raggiungono anche lì. Nella scuola pubblica brasiliana – che spesso è più somigliante a un fornito megastore di droghe – a volte il loro primogenito passava le giornate senza neanche poter ascoltare gli insegnanti, visto il caos che regnava. L’unica alternativa possibile, la scuola privata, avrebbe significato veder diventare i loro figli dei grassi polli da batteria a stelle e strisce. E così riuniscono tutta la famiglia e prendono la prima di una lunga serie di decisioni collegiali. Ritorno in Europa.
Il tempo di affittare la loro casa brasiliana e il negozio ed eccoli lì, sul volo di ritorno per il Vecchio Continente. La destinazione finale avrebbe dovuto essere il Portogallo ma, un po’ per il fatto che i piccoli Asia, Mattia e Sofia non avevano ancora mai visto il loro paese d’origine – un po’ per evitare di imbattersi nelle stesse esperienze che li avevano spinti ad abbandonare sia l’Italia che il Brasile – finiscono per posticipare di qualche mese il raggiungimento della campagna lusitana. Trovano dunque un camper di seconda mano abbastanza grande per ospitarli tutti, lo battezzano Jatoba (un albero enorme che era sul loro terreno in Brasile), aprono il blog Seven on the road e iniziano a girare per la penisola.
Tra le sfide che Massimo e Virginie si trovano ad affrontare ce ne sono almeno un paio decisive. La prima è trovare il modo di sfamare sette bocche con i soli mille euro di affitto della casa e del negozio in Brasile. E, visto che uno stipendio mensile difficilmente si concilia con una vita nomade, per arrivare a fine mese scelgono, da un lato, di ricorrere a forme di scambio diverse da quelle mediate dal denaro; e dall’altro di fare downshifting, praticando cioè la semplicità volontaria per ridurre al minimo i propri bisogni.
Ecco dunque che iniziano a vestirsi di seconda mano, a riciclare cose che altri regalano o buttano, a ricorrere il più possibile all’autoproduzione e al baratto, comprando solo quando non ne possono fare a meno. Soprattutto, grazie a Workaway – la più grande comunità di scambio di lavoro del mondo – e alla fanpage di Permacultura Italia, si fermano per qualche settimana solo quando e dove vengono accettati come volontari part time, per lavori agricoli ma non solo, in cambio di cibo per tutta la famiglia.
Se una voce superficiale obiettasse che queste sono scelte di inutile privazione, specie per i piccoli, la nostra famiglia on the road risponderebbe all’unisono che, al contrario, la loro è un’esperienza altamente formativa, che serve a misurare e abbandonare l’inutile eccesso al quale la vita tradizionale ci ha tutti abituati in Occidente. E se per i due adulti non è stato semplice re-imparare a fare cose – dal pane alle conserve – che per decenni erano state relegate nel cassetto delle memorie d’infanzia, per i bimbi adattarsi è stato molto più naturale. Per esempio, Tommaso ha un ottimo computer portatile che senza battere ciglio ha scambiato con una bici da corsa ricevuta mesi prima da un signore che non la usava.
Anche l’alimentazione è più curata di quanto sembri. Scrive Virginie sul blog: “Nonostante le poche risorse, riusciamo a mangiare 100% bio! Non bio certificato, ma bio del piccolo contadino, della piccola azienda, dei produttori di Genuino Clandestino. Certo, ci vuole un po’ di tempo per trovare dove comprare i prodotti, ma è tempo speso bene!” Comprano quindi agrumi e olio da un ragazzo calabrese (1,50 euro/kg e 8 euro/lt compresa spedizione), farina di grani antichi a 1,20 euro/kg da una famiglia laziale, riso a 1,4 euro/kg da un’azienda piemontese, ecc. Insomma, “non è vero che per mangiare bene e bio bisogna essere ricchi”, continua Virginie; “bisogna solo che diventi una priorità.”
La seconda sfida che Massimo e Virginie devono affrontare all’inizio del loro viaggio riguarda l’istruzione. Come conciliare lo stile di vita nomade con la necessità di educare i loro figli, che sono tutti in età scolare? Anche stavolta la soluzione sarà originale. Con l’entusiasta consenso di tutti i membri della famiglia, decidono di sperimentare la scuola parentale, una cosa che aveva sempre affascinato i due genitori fin dai duri anni in cui erano alle prese con i limiti della scuola pubblica brasiliana.
Eccoli dunque organizzarsi per fornire ai propri figli una base di tutte le materie più comuni, per poi lasciarli liberi di approfondire quello che gli interessa di più, anche con l’aiuto di persone esterne, assecondando la naturale curiosità e le attitudini di ciascuno e lasciandogli la libertà di organizzarsi il tempo senza vincolo di orari e impegni che, spesso, limitano i momenti di svago e rendono meno stimolante l’apprendimento. Una sorta di Captain Fantastic all’italiana? si chiederebbe qualche amante del cinema recente. Più o meno, ma senza l’isolamento e il compromesso finale, direbbero loro.
Certo, nonostante gli aspetti romantici e avventurosi una vita sulla strada non è priva di problemi e di decisioni dolorose. E se a volte sono i bambini a chiedere di fermarsi un po’ di tempo in più in questo o quel luogo per non dover salutare l’ennesimo amichetto appena conosciuto, altre volte sono gli adulti a concedersi un periodo di riposo, magari per racimolare un gruzzoletto e poter rifornire il camper durante il viaggio successivo. È per questo che da un po’ di mesi i nostri si sono fermati a Pettinengo, in Piemonte. Massimo ha infatti trovato un impiego temporaneo presso un’associazione che si occupa di accoglienza ai migranti. Per poter lavorare ha barattato con un collezionista un vecchio giradischi in cambio di uno smartphone.
Ma anche in questo periodo più stanziale del loro percorso, i nostri non hanno cambiato il loro stile di vita. In cambio di confetture e prodotti del loro orto, un’artista locale mette a disposizione dei bimbi un pomeriggio a settimana e gli insegna a dipingere, scolpire, lavorare la terra cotta, seguendo come sempre le inclinazioni di ciascuno.
Non c’è mai un solo modo di guardare alle cose, alle persone, ai luoghi. Dopo due anni di scoperte, incontri, solidarietà, scambi e cooperazione, abbiamo chiesto a Massimo e Virginie se l’Italia, quel paese in preda alla crisi economica, lacerato dalle divisioni politiche, violentato da speculatori d’ogni genere, meritasse di nuovo di veder crescere i loro figli. La risposta non ce l’hanno ancora data, ma intanto i loro figli sono cresciuti un altro po’.
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