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Esiste un luogo, a Vicchio (Fi), dove da più di dieci anni un gruppo di famiglie ha deciso di vivere all’insegna dell’accoglienza, includendo nella propria vita quotidiana persone che arrivano da lontano e che negli ultimi anni sono giunte attraversando il Mar Mediterraneo.
Quest’esperienza affonda le sue radici nell’associazione Le C.A.S.E., nata nel 1997 dalla volontà di alcune coppie di educatori sociali di accogliere i minori in difficoltà in un modo diverso rispetto a quello adottato dalle classiche case famiglia. I soci, infatti, intendono allargare il ruolo dell’operatore sociale, offrendo ai ragazzi, attraverso la convivenza e dunque la loro presenza più stabile, un punto di riferimento forte, delle figure genitoriali “simboliche”.
Via via, all’interno dell’associazione, nascono altre “case” disposte a fornire assistenza e affetto a coloro che ne hanno bisogno, fra cui, nel 2007, l’Aia Santa, che si contraddistingue dalle altre esperienze per il fatto le famiglie che vi abitano hanno un lavoro all’esterno della “casa”. L’accoglienza, dunque, si configura come una condivisione dello spazio di vita privata.
Aia Santa si rivolge fin da subito a giovani stranieri, poco più che maggiorenni. Durante i primi anni di vita dell’associazione i costi dell’accoglienza erano a carico delle risorse dell’associazione, mentre più recentemente si è attinto ai fondi dell’emergenza migranti. L’accoglienza dura uno o due anni e mira a mobilitare le risorse degli accolti, a favorirne l’indipendenza ed un buon inserimento.
L’impatto iniziale non è sempre positivo. I ragazzi arrivano in Italia e in Europa con un immaginario e con delle aspettative che vengono tradite da una casa in campagna, senza televisione e con il riscaldamento a legna. Un altro aspetto critico è l’iniziale tendenza degli accolti ad isolarsi. Scappati da contesti pericolosi e violenti, in cui era necessario mantenere sempre alto il livello di vigilanza per poter sopravvivere, quando giungono al sicuro, all’Aia Santa, diventano improvvisamente stanchi, dormono tanto e passano molto tempo da soli, consentendosi così di vivere il disagio che fino a quel momento erano stati costretti a marginalizzare. La maggior parte degli accolti dopo un po’ di tempo recupera le energie, riuscendo così a partecipare sempre più attivamente alla vita della casa e a costruire un rapporto paritario con le famiglie italiane.
È prevista una “scuola” per imparare l’italiano, compito spesso difficile per gli accolti che hanno, salvo eccezioni, un livello di istruzione talmente basso da sfiorare l’analfabetismo. Alcuni di loro, tuttavia, si sono dimostrati molto motivati nello studio, e hanno preparato e superato l’esame di terza media. Quasi tutti loro, mentre vivevano all’Aia Santa, hanno svolto tirocini nella zona, lavorando come marmisti, fabbri, montatori di impianti da rinnovabili, imparando a fare il pane, occupandosi dei vivai o nelle aziende agricole.
La natura transitoria della convivenza non rende i residenti più cauti nel rapportarsi all’altro, nell’ascoltare le storie di chi arriva e nell’aprire il proprio cuore. Si ride, si va sulla slitta quando nevica, si fanno piani per catturare i maiali quando scappano nel bosco, si condividono avventure, esperienze, insomma si vive insieme. L’Aia Santa è popolata anche da bambini, figli di famiglie diverse cresciuti come fratelli, che giocano fra di loro e con coloro che vengono accolti. Fra le decine di accoglienze ci sono stati anche due neonati, Gift e Precious, accuditi, oltre che dagli adulti, anche dai piccoli residenti della casa, felici di avere qualcuno più piccolo di loro a cui badare.
La fine della convivenza, nel 70% dei casi, non ha implicato una fine dei rapporti.
Gli abitanti dell’Aia Santa danno grande spazio all’esercizio della memoria. Non è dunque raro, durante le cene, ricordare coloro che sono stati ospitati in passato, rispolverare vecchi aneddoti, riportare agli altri le ultime notizie avute sulle vite di chi non vive più lì.
Gli immigrati che sono riusciti ad integrarsi, invece, sanno di avere un luogo dove sono i benvenuti. Partecipano alle feste dell’Aia, passano per qualche giorno fra la fine di un lavoro e l’inizio di un altro, o prima di intraprendere il lungo viaggio per rivedere la propria famiglia e il proprio paese di origine, e spesso per sposarsi.
Aia Santa è una casa, un incrocio di storie personali, un esempio concreto di impegno rivolto verso l’integrazione, un minuscolo frammento di soluzione al complesso e controverso fenomeno dell’immigrazione.
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