25 Set 2017

Eye contact: cosa succede se guardi negli occhi un estraneo?

Scritto da: Francesco Bevilacqua

Eye Contact Experiment è un esperimento umano e sociale che arriva dall'Australia. Consiste nel guardare negli occhi un'altra persona, anche sconosciuta, e stabilire con lei un reale contatto e una possibilità di provare a riavvicinarci, come esseri umani, gli uni agli altri. Monica sta cercando di diffondere questa pratica in Italia, in particolare nelle scuole.

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Eye Contact Experiment è un esperimento umano e sociale nato in Australia tramite The Liberators che si sta diffondendo in tutto il mondo. Lo scopo è di provare a riconnettere le persone e la loro essenza più profonda attraverso una comunicazione non verbale, gli sguardi, gli abbracci e i sorrisi, per contrastare il velo di indifferenza e di paura che avvolge sempre di più le nostre vite.

eyecontact1Monica, piemontese che sta compiendo un percorso di approfondimento di pratiche di cambiamento e di crescita personale, sta diffondendo in Italia questo esperimento. «È un’opportunità di provare a rompere gli schemi sociali e le resistenze interiori che ostacolano un reale contatto con il prossimo e una possibilità di provare a riavvicinarci, come esseri umani, gli uni agli altri. È un esperimento che ormai si sta diffondendo in diverse città di tutto il mondo, uno spazio bellissimo in cui incontrare l’altro ma anche noi stessi, le nostre paure, le nostre ritrosie, le nostre bellezze».

 

Sedere di fronte a uno sconosciuto può essere talvolta inquietante, talvolta imbarazzante…«Ma può essere anche bellissimo!», racconta Monica. «Perdersi in uno scambio di sguardi che piano piano si fanno più aperti e più accoglienti, dandoci la percezione della bellezza dell’altro. È un crearsi di empatia tra le persone coinvolte, un perdersi nello sguardo dell’altro e un osservare la quantità di pensieri, emozioni e sensazioni che ci passano dentro in quello spazio cosi ravvicinato e soprattutto silenzioso.

 

È un realizzare come tutte le tensioni, paure, incertezze – e anche certezze – che ci pervadono, siano le stesse che vive anche l’altra persona; il sentirsi inadeguati, “non giusti”, osservati e magari giudicati sono cose più comuni di quanto si possa credere. Ognuno di noi, in fondo, vive sensazioni di inadeguatezza e paura nel mettersi a nudo di fronte all’altro».

 

Provare a sedersi su quel cuscino può darci la possibilità di aprire il nostro cuore e il nostro essere a chi ci sta di fronte «Significa lasciarsi guardare, lasciarsi incontrare e anche entrare con delicatezza nel campo energetico dell’altro. È scoprire che tante nostre paure sono creazioni della mente, inesistenti e allo stesso tempo elemento che ci priva della pienezza della nostra vita. Attraverso questa pratica, se cosi la vogliamo chiamare, ognuno di noi sperimenta la possibilità, pacifica e non pericolosa, di avvicinare l’altro e di permettere all’altro di avvicinarsi. Cosi facendo è più facile, come molti partecipanti ai vari eventi commentano una volta sperimentato, sentirsi più in pace con l’altro e anche più parte di un qualcosa di più grande di sé».

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Monica ha già portato questo esperimento anche a scuola, in alcune scuole superiori dell’area piemontese e in alcuni scambi giovanili internazionali. «È è stato qualcosa di meraviglioso. È diventato lo strumento per avvicinare i ragazzi, per permettere loro di conoscersi, di aprirsi un po’ di più e anche di incontrare compagni della stessa scuola con cui ancora non avevano mai avuto modo di parlare. Invitarli a “sfidare” loro stessi nel rimanere in silenzio e senza cellulare per qualche decina di minuti e soprattutto a osare un contatto visivo con dei coetanei ha aperto loro degli spazi di scoperta e di incontro totalmente diverso da quello fino a ora conosciuto.

 

In pochi minuti la palestra gremita di ragazzi è stata invasa dal silenzio, magari qualche risata per l’imbarazzo, ma alla fine, ognuno di loro aveva negli occhi una luce diversa. In qualche modo, chi più chi meno, avevano incontrato l’altro in uno spazio nuovo, quasi sacro…attraverso lo sguardo. E ora, passando per i corridoi, ogni volta che quegli sguardi si incontreranno, saranno più aperti e ritornando all’esperienza fatta, potranno accogliere e… permettersi un sorriso nell’anima».

 

Il sogno di Monica è di poter portare questo esperimento in altre scuole e in altri spazi, per un costante lavoro di creazione di relazioni e di apertura all’altro e all’ascolto. «Vogliamo anche rendere ancora più pregnante e profonda l’esperienza dell’eye contact, unirla a un progetto, di più lunga durata, di consapevolezza di sé e benessere globale: il progetto Gaia. Ci piacerebbe riempire le città centinaia di persone e creando nuove aperture nelle scuole, ma ogni spazio è perfetto per cominciare».

 

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