18 Set 2017

Claudio Pelizzeni, il giro del mondo senza aerei

Scritto da: Elena Risi

Vicedirettore di banca ad un certo punto della sua vita ha deciso di lasciare tutto per seguire il suo sogno: fare il giro del mondo, seguendo ritmi lenti e viaggiando senza aerei. Claudio Pelizzeni ci racconta la sua esperienza e ci spiega perché il viaggio può essere anche una terapia.

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Il giro del mondo in 1000 giorni, senza aerei: dal 4 maggio 2014 all’11 febbraio 2017. Il racconto di questa avventura è riportato nel libro di Claudio Pelizzeni, “L’orizzonte ogni giorno un po’ più in là”, edito dalla Sperling & Kupfer e disponibile dal 12 settembre.

 

Claudio Pelizzeni a San Francisco

Claudio Pelizzeni a San Francisco


 

Come hai deciso di partire per questo viaggio, c’è stato un evento scatenante che ti ha spinto a prendere la decisione?
Prima di intraprendere questo viaggio ero vicedirettore di una filiale della Deutsche Bank a Milano. Un giorno ero sul treno di ritorno da Piacenza e mi sono come svegliato dal torpore. Il fatto scatenante? È stato un tramonto che si è aperto dietro i nuvoloni neri di una giornata piovosa. A quel punto mi sono detto che avevo bisogno di una vita vera, che non ne potevo più di acciaio e asfalto. È stata la tipica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Avevo sempre desiderato fare il giro del mondo e ho deciso che era arrivato il momento di realizzare il mio sogno. L’esistenza che conducevo non mi rendeva felice nonostante dall’esterno sembrasse una vita quasi perfetta per un ragazzo di 32 anni.

 

Prima di partire hai aperto un blog, “TripTherapy” (Viaggio-Terapia), deciso a raccontare lì le tue avventure. Perché questo nome?  
Io sono diabetico ma questo per me non è mai stato un problema, anzi è qualcosa che fa parte di me come la mia gamba destra. Parlando con il mio medico ci siamo detti che sarebbe stato utile per altre persone con la stessa malattia (oltre che per le loro famiglie) avere l’esempio di un ragazzo diabetico che fa il giro del mondo. Ma non volevo incentrare tutto su quello, ci tenevo a inserire nel nome anche il concetto di “cambiamento di vita”. E così mi è venuto in mente “trip therapy”, un titolo che mi sembrava raccogliesse bene il senso di quello che stavo facendo.

 

El Salvador

El Salvador


 

Sei riuscito a rispettare il budget giornaliero di 15 euro che ti eri fissato prima di partire?
All’epoca 15 euro valevano 19 dollari. Due mesi dopo l’euro è crollato e 15 euro valevano 16 dollari, ho perso circa 3000 dollari di budget. Poi durante il viaggio sono cambiate un po’ di cose. Dopo sei mesi che giravo sono stato contattato da Licia Colò per partecipare da inviato con i miei video alla sua trasmissione. Anche il blog ha cominciato ad andare bene e in questo modo ho cominciato ad avere un flusso di reddito. Restando sempre l’obiettivo di spendere il meno possibile, mi sono anche detto che stavo facendo qualcosa di unico e che in alcune situazioni qualche spesa in più era inevitabile. Alla fine il mio budget è stato di 20,6 euro al giorno.

 

Perché senza aerei?
Sono stato ispirato dal libro di Tiziano Terzani “Un indovino mi disse”. Volevo darmi una regola da rispettare perché questa esperienza non è mai stata un capriccio ma ha assunto fin da subito un significato importante per me. Avevo bisogno che la regola privilegiasse la lentezza degli spostamenti. Il vantaggio di fare un viaggio del genere non è tanto quello di poter spendere soldi ma di avere tempo a disposizione. E in quel momento ho creduto che il modo migliore per impormi ritmi lenti fosse quello di viaggiare senza aerei.

 

Immagino sia impossibile stilare una classifica di situazioni significative, ma sapresti raccontare uno dei momenti che più ti ha segnato durante questo viaggio?
Be’ sicuramente il giorno 1000, nell’attimo in cui ho realizzato di aver realizzato – passami la ripetizione – il sogno della mia vita. Oltre alla grande emozione di riabbracciare la mia famiglia.

 

Cascate del Niagara, Canada

Cascate del Niagara, Canada


 

Situazioni di difficoltà e sconforto ce ne sono state?
Sì tantissime. Innanzitutto mentre ero fuori ho perso mio padre, è stato molto difficile per me. Ma non solo, ce ne sono state tante altre. Ho contratto la dengue quando ero in Colombia, una malattia simile alla malaria. E poi l’attraversamento delle frontiere, alcune in Asia sono state molto complesse. In Birmania ad esempio, lì ho davvero temuto di non farcela.

 

Ti sei sempre sentito accolto quando eri in giro?
Assolutamente sì. Ho sempre trovato porte aperte.

 

Come hai affrontato il ritorno?
Non l’ho ancora realizzato, da quando sono tornato non ho mai dormito più di quattro giorni nello stesso letto. Sono stato parecchio impegnato in questo periodo, anche per la promozione del libro.

 

Cosa stai facendo adesso?
Ho iniziato un’attività che si chiama “backpacker academy”, la trovi in una delle sezioni del mio blog. Organizzo e coordino viaggi esperienziali. Ad esempio sono appena tornato dal Marocco, dove ho portato dei ragazzi a seguire la migrazione di una famiglia berbera verso le montagne di Atlante.

 

Progetti futuri?
La casa editrice mi ha chiesto di scrivere un altro libro di viaggio. Continuo a girare con la “backpacker academy”, insomma continuo con questa vita. E me la tengo bella stretta!

 

 

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