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Potrei raccontarvi che in Italia ogni anno sono circa 500 (su circa mezzo milione di nati) i bambini venuti alla luce fra le mura domestiche, mentre in Olanda una donna su quattro sceglie di partorire in casa. Oppure si potrebbe commentare il minaccioso comunicato della Società Italiana di Neonatologia, che “sconsiglia vivamente questa scelta”. O ancora, concentrarci sull’analisi del rapporto medico-paziente, sui trattamenti sanitari superflui o sul numero eccessivo di tagli cesarei. Invece, piuttosto che soffermarmi su dati e statistiche, vorrei semplicemente raccontarvi la mia esperienza.
La nostra prima gravidanza l’abbiamo vissuta in maniera poco serena, almeno nella sua ultima parte: dopo l’ecografia del terzo trimestre, i dottori l’avevano considerata una gravidanza a rischio, individuando problemi nella crescita e ipotizzando addirittura un cesareo anticipato. Alla fine la nostra bambina, nata a termine, pesava quasi tre chili ed era sanissima. Questo “inconveniente” però, aveva interrotto il percorso che avevamo iniziato presso l’Associazione Il Nido, con l’idea di partorire in casa maternità.
Così, quando abbiamo scoperto che stava arrivando un fratellino, abbiamo deciso subito di non ripetere l’esperienza in ospedale. Non nutriamo sfiducia nei confronti degli operatori sanitari, che nella maggior parte dei casi sono professionisti seri e appassionati; tuttavia, il parto ospedalizzato ci trasmetteva la sensazione di essere trattati quasi come dei malati, ingranaggi inseriti in una serrata catena di montaggio ricovero-cura-dimissione che toglie a questo momento fondamentale la magia e la naturalità che invece lo dovrebbero caratterizzare.
Inoltre, volevamo che anche la sorella del nascituro fosse presente a questo evento, importantissimo tanto per noi quanto per lei. A questo si aggiungeva la difficoltà logistica di non sapere a chi lasciarla durante l’eventuale ricovero in ospedale, col rischio di ridurre i suoi primi momenti in compagnia del fratellino a una breve visita giornaliera.
È sicuro?
La gravidanza della mia compagna era perfettamente fisiologica, il bambino era già in posizione cefalica, la crescita era regolare – anche secondo i “famigerati” percentili, spauracchio di qualsiasi coppia in dolce attesa –, le condizioni della nostra abitazione erano perfette (ampi spazi, una vasca per un eventuale parto in acqua, a meno di dieci minuti di distanza dall’ospedale in caso di complicazioni).
Il ginecologo del consultorio che ci seguiva, favorevole e addirittura entusiasta nei confronti del parto in casa, ci aveva rilasciato tutte le autorizzazioni necessarie previste dalla legge. Persino alcuni amici e parenti, scettici e poco informati sullo svolgimento del parto, si erano convinti della nostra scelta. Insomma, non c’era alcun fattore di rischio, né dal punto di vista medico né da quello logistico.
Ecco com’è andata!
Tutto si è svolto nella maniera più naturale, dolce, intima e gioiosa possibile. Verso le undici di sera sono cominciate le prime contrazioni. Entro mezzanotte, le due ostetriche del Nido erano già arrivate, mettendoci a nostro agio e preparando gli ambienti per il parto utilizzando gli oggetti che ci avevano chiesto di radunare (cerate, cuscini, lenzuola, garze e altro). La nostra bambina, vista l’ora tarda, era già a letto, aspettando che l’alba arrivasse portando con sé una delle più grandi sorprese della sua vita.
Con l’aiuto delle ostetriche, il mio, quello di un lenzuolo appeso al soffitto a mò di amaca e di un bagno caldo, la mamma è stata accompagnata piano piano al momento del parto, avvenuto poco dopo le cinque di mattina su una speciale sedia con un buco, in posizione quasi eretta, che favorisce l’espulsione molto meglio della convenzionale posizione supina. Il nostro bambino era nato!
Non è stato lavato subito e il cordone è stato lasciato attaccato alla placenta per un po’, in modo da non interrompere in maniera brusca il rapporto con ciò che gli ha fornito ospitalità e sostentamento per nove mesi. Magicamente, pochi minuti dopo la nascita e in largo anticipo rispetto ai suoi orari abituali, sua sorella si è risvegliata ed è venuta in camera a conoscerlo. Per un po’, il tempo necessario, siamo stati noi quattro, nel nostro ambiente più intimo e familiare, nella penombra, per conoscerci e rilassarci dopo la lunga notte. Nessun altoparlante, nessun modulo da compilare, nessuna fretta di liberare la sala parto, nessun orario di visita da rispettare…
Dopo i primi controlli e qualche piccola medicazione alla mamma, le ostetriche ci hanno lasciato, per poi tornare con puntualità ogni giorno per i cinque giorni successivi a verificare che tutto andasse bene.
Perché no?
Quello del parto è un evento intimo e unico, che deve essere vissuto con la massima serenità possibile. A mio avviso, non esiste un modo giusto o sbagliato: così come è scorretto imporre trattamenti e procedure a partorienti che non le vogliono, non si può neanche obbligare una futura mamma che si sente ansiosa e insicura a partorire fuori dall’ospedale, se quell’ambiente le trasmette tranquillità.
Piuttosto, ritengo importante fare una corretta informazione tanto sui rischi quanto sulle opportunità del parto in casa, senza tralasciare l’aspetto economico – alcune Regioni concedono dei rimborsi a chi decide di non partorire in ospedale. La disinformazione e la scarsa consapevolezza purtroppo impediscono a migliaia di famiglie di vivere in maniera ancora più serena e naturale uno dei momenti più belli della vita.
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