Cohousing La Campana: vivere insieme in mezzo alla Natura
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Marche - C’era una volta un gruppo di amici che viveva a Milano. Un giorno si accorsero che i ritmi imposti dalla città non consentivano una vita fondata sulla condivisione e sul rapporto con la Natura che invece sognavano. Così, si trasferirono nella campagna marchigiana, acquistarono un vecchio casale e iniziarono una faticosa opera di ripristino.
Li abbiamo intervistati per farci raccontare com’è oggi La Campana: un co-housing, un agriturismo appartenente della rete di Destinazione Umana, un ristorante, un luogo in cui si praticano l’autoproduzione e il turismo responsabile, in stretta connessione con il tessuto economico e sociale del territorio.
Come avete fatto agli inizi a mettere insieme famiglie diverse con la stessa esigenza e quali sono state le difficoltà iniziali?
La Campana nasce dall’iniziativa di un gruppo di amici, legati da interessi comuni e abituati a trascorrere insieme lunghi periodi di vacanza. Dal gruppo di amici è sorto poi il gruppo di famiglie. Forte era inizialmente il legame con l’ambito parrocchiale della zona (parliamo della Milano degli anni ’70-’80), attraverso cui arrivò il contatto con una psicoterapeuta che si pose a coordinamento del gruppo. I membri iniziarono anche una forma di assistenza ad alcuni ragazzi con disagio psichico, soprattutto nella forma di un sostegno per quello che riguardava l’attività scolastica. Poiché il valore dello stare insieme e della condivisione era grande e poco riscontro si trovava invece nella quotidianità lavorativa della città, nacque l’idea di trasferirsi tutti a vivere in campagna (“in cascina” come avevano vissuto i nonni di molti dei membri del gruppo). Un po’ per i costi eccessivi dei casali lombardi, un po’ grazie a una buona occasione, il gruppo scelse come proprio obiettivo la ristrutturazione di un casolare colonico con vari edifici annessi, nel Piceno. I primi tempi furono durissimi: gli edifici erano poco più che dei ruderi e iniziare da zero a fare gli agricoltori, ripristinando il podere, non fu semplice.
Perché “co-housing” e non, ad esempio, “ecovillaggio”?
L’obiettivo era vivere insieme. È vero che la scelta avrebbe potuto risolversi in una soluzione di “condominio” piuttosto che di “convivenza”. Ma la struttura del casolare che accolse inizialmente i membri della Campana permetteva una convivenza a stanze e non ad appartamenti. Gli spazi erano più ridotti di quanto lo siano adesso (una volta ristrutturato il casale più grande la “grande famiglia” vi si è trasferita con più agio). Ma questo non era un problema, anzi, probabilmente fu proprio la conseguenza del voler stare vicini. Ogni coppia aveva la sua camera (o in ogni caso un suo spazio) ma, ad esempio, non era raro che i ragazzi delle diverse famiglie condividessero la stessa stanza.
Come descrivereste a una persona gelosa della sua riservatezza la vita in spazi condivisi? Quali sono i luoghi comuni da sfatare?
In una situazione come la nostra, gli spazi condivisi sono gli stessi che condivide una famiglia. Fondamentalmente si tratta dei servizi: lavanderia stireria, cucina, bagni, sala da pranzo e salotto. Le camere da letto sono invece spazi privati e, secondo le necessità, i bambini possono condividere la cameretta. Va considerato che per quello che riguarda lavanderia e cucina si è istituito un gruppetto che si occupa di preparare i pasti e lavare la biancheria per tutti. I nostri pasti somigliano un po’ a quelli di una mensa, forse con un po’ più di allegria e confusione.I luoghi comuni da sfatare sarebbero parecchi. Il primo è che per vivere insieme ci sia bisogno di seguire una stessa ideologia. Non è vero: per vivere insieme serve la voglia di farlo. È nella quotidianità che a “ballare” insieme ci si pesta i piedi, non c’entrano niente i “massimi sistemi”!
Infatti il secondo mito da sfatare è che in una comunità non si litiga mai o non si debba litigare. Magari! Si litiga e spesso per cose davvero banali. Ma questo non deve mettere in discussione l’affetto reciproco. Può succedere che le dinamiche tra alcuni membri si facciano tese. Quello che non deve mancare è la volontà di superare i problemi e di mettersi in discussione. Se non si accoglie anche il punto di vista dell’altro non è possibile una risoluzione dei conflitti. Il terzo è che in una comunità non ci sia modo di isolarsi o, altra faccia della medaglia, non ci si senta mai soli. La solitudine non è un luogo fisico: è un luogo dell’anima. Anche una comunità può diventare “un popoloso deserto” a volte può essere quello di cui si ha bisogno, a volte è la conseguenza di periodi di lavoro intenso in cui (come in alcune famiglie) è un po’ difficile incontrarsi.
Molti sostengono che per fare un cambio di vita di questo tipo sono necessari molti soldi, altrimenti è impossibile. È vero?
I soldi possono essere necessari se il cambio di vita prevede anche un cambio di attività lavorativa, di casa e di ambiente. Nel nostro caso… sì, ne sono serviti molti per la ristrutturazione e l’avvio dell’azienda agricola. Se invece si tratta solo della decisione di condividere gli spazi abitativi, va considerato che questo stile di vita è mediamente più economico e conveniente. Di sicuro le “ristrettezze” dell’inizio hanno abituato il gruppo a una certa frugalità, ma (per fare un esempio banale) una sola lampadina può far leggere dieci persone, una sola automobile può portare quattro bambini a scuola.
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Com’è strutturato l’agriturismo e qual è lo spirito con cui accogliete i vostri ospiti?
Il nostro agriturismo lavora con camere e ristorante. Lo stile è un po’ quello dell’“albergo diffuso”, in cui tutte le stanze hanno ingresso indipendente e sono dislocate in punti diversi dei casali. Non coinvolgiamo, in genere, i nostri ospiti nella vita comunitaria. A meno che non lo richiedano apertamente, cerchiamo di essere il più possibile discreti. Molti si interessano e chiedono poi di vedere o di partecipare ad alcune delle attività più particolari o semplicemente agricole, come il processo di estrazione e tintura dei tessuti con le piante, i lavori nell’orto e nel frutteto, la produzione di confetture (La Campana è capofila in un progetto della Regione Marche per l’introduzione di tecniche innovative nel tradizionale allevamento del baco da seta, ndr). Per questo motivo, proponiamo anche corsi e visite all’azienda presentando la nostra realtà.
Qual è il legame con il territorio in cui vi trovate? In che modo ne promuovete la scoperta?
Nel Piceno, in particolare, tutto (ma proprio tutto!) è occasione di scoperta. Ogni piccolo borgo ha le sue particolarità, magari un teatro antico, o una chiesa da leggenda, o un paesaggio incredibile. Ascoli è una città meravigliosa, attraversata da fiumi fiabeschi e contornata da località boscose e incredibilmente sperdute. I paesini sono perle di una collana da sgranare e scoprire una per una. Negli anni abbiamo cercato di tenere contatti con le varie ProLoco e con le istituzioni comunali, prima di tutto con quella di Montefiore dell’Aso, il comune in cui risediamo, per proporre ai nostri ospiti la visita ai borghi e valorizzare queste realtà affascinanti.
Nella piccola Montefiore, ad esempio, può saltare subito all’occhio il classico stile “medievale” caratterizzato dalle costruzioni di mattoni. Quello che si rischia di perdere è un eccezionale Trittico di Carlo Crivelli custodito nel Polo museale di San Francesco. O gli affreschi trecenteschi sopravvissuti nella Chiesa di San Francesco. O la storia stessa di Montefiore, dove una illuminata famiglia locale decise a inizio Novecento di portare luce elettrica e acqua corrente al paese in un momento in cui le più grandi città d’Europa ancora avevano l’illuminazione pubblica a petrolio. In generale, le Marche sono una regione fantastica. Ne siamo innamorati. Non una terra “madre” ma una terra “sposa”, che ci ha accolti e di cui vogliamo prenderci cura.
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