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Torino - Siamo nella “capitale” piemontese, città da sempre associata all’automobilismo, forse anche perché culla natale della “Fabbrica Italiana Automobili Torino”. In questa città, un po’ decadente e un po’ barocca, un po’ misteriosa e un po’ malinconica, la bellezza arriva all’improvviso, si può cogliere in uno scorcio rubato da un cancello aperto, ti balza davanti in un baleno mentre si passeggia per le vie del centro.
Tutto meraviglioso, a parte uno strato sottile di smog che, in alcuni giorni, impedisce ai torinesi di vedere il cielo. Basti ricordare alcuni titoli del quotidiano di casa, La Stampa, che lo scorso inverno rimproveravano alla città il triste primato di aver raggiunto “un inquinamento fuori legge”, in riferimento alla procedura di infrazione che la Commissione europea stava infliggendo all’Italia per aver superato i limiti di inquinamento per il biossido di azoto.
Una storia che dura anni e che non ha portato solo il famoso “operaio della F.I.A.T.” cantato da Rino Gaetano ad “odiare la 128”, ma tutti gli abitanti di Torino, in particolare Stefano Gabbiani ed Elisabetta Michienzi.
“Contromano”, afferma Stefano, regista e sceneggiatore, “nasce da una motivazione personale. Il mio intento era di capire se c’era la possibilità di immaginare uno stile di vita diverso per una città che da sempre è stata associata all’automobile. Quindi, la bicicletta come simbolo per contrassegnare la distanza dal modello di vita passato. Un modello di vita basato sull’automobile”.
C’era una città, c’era un modello di vita e c’era l’esigenza di andare in un’altra direzione, appunto Contromano. L’unico ingrediente mancante era una chiave di lettura.
“Avevo già lavorato con Stefano”, ci racconta Elisabetta, direttrice della fotografia, “piccoli lavori, ma sempre con una forte attenzione al sociale. Per questo quando Stefano mi ha parlato di questo progetto, mi ha colpito molto il contrasto TORINO-BICI. Tuttavia, la ricerca dei soggetti non è stata facile. Stefano ha incontrato molte realtà e poi abbiamo deciso di focalizzarci sulle ciclofficine” (…).
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