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Torino - Viaggiando s’impara, viaggiando si vive.
Anche oggi posso dire sia una giornata speciale: incontrerò Carlo Taglia, autore del libro “Il Vagamondo”.
Molte sono le cose che il giovane viaggiatore torinese mi ha trasmesso da quando ho avuto modo di conoscerlo e delle quali vorrei parlarvi in dettaglio: la voglia di vivere, il credere in se stessi e nell’umanità, il cercare di realizzare i propri sogni inseguendo le proprie passioni, il reagire con positività alle difficoltà della vita. Se penso a Carlo Taglia mi viene in mente questo e tanto altro, che però preferisco non dirvi. Meglio lasciar spazio alle sue parole. Chissà se alla fine di questa intervista proverete anche voi le mie stesse sensazioni?
Ci incontriamo in pieno centro a Torino, nel quartiere multiculturale di San Salvario. Ci abbracciamo, per me è un onore incontrarlo tête-à-tête. Ci muoviamo verso il Parco Valentino. I colori autunnali sono meravigliosi. Tutte le tonalità del rosso, del giallo e dell’arancione sembrano essere presenti tra gli alberi e le loro foglie, illuminate da un sole tiepido ma vivo. A Carlo viene voglia di stendersi per terra, ma poi ci sediamo su una panchina per una chiacchierata.
Carlo Taglia, 95450 Km, 528 giorni, 24 nazioni. Hai attraversato tutto il nostro pianeta via terra e via mare senza utilizzare aerei. Hai conosciuto più cose sul mondo o su te stesso?
Sicuramente conoscere culture del mondo aiuta a confrontarti con il tuo stile di vita e con quello degli altri. Tutto ciò ti aiuta a trovare una tua identità. Trovi negli altri quello che ti piace, quello che ti appartiene, lo fai tuo e lo rendi tuo. Si possono condividere tratti con altre persone, però il viaggio è soprattutto dentro di noi, infatti è stato particolarmente introspettivo. Le esperienze che viviamo rimangono un bagaglio importantissimo che ci portiamo dietro nella vita, e che possono aiutarci in altre situazioni. Per questo è importante affrontare situazioni complesse, imparando a cavarsela da soli. Per me il viaggio è sempre stato una scuola di vita: imparare a vivere, imparare a contare su di me. Se un giorno ne avrò bisogno sarò preparato ad affrontare qualsiasi avversità della vita, in base all’esperienza accumulata: è la corazza che mi sono creato viaggiando.
Quando hai deciso di partire? C’è stato un momento preciso in cui hai sentito di dover seguire questo sogno?
Il giro del mondo era un sogno che mi portavo dentro da un po’ di anni, però il momento in cui ho deciso di farlo è arrivato in un periodo particolare della mia vita. Mi ero fermato per qualche anno in Italia dopo vari anni di viaggi per motivi familiari e per una relazione che poi terminò. Così ho deciso di tornare a viaggiare e prendermi quello che la vita mi aveva tolto. Non è che abbia programmato il viaggio nei minimi dettagli, mi sono semplicemente detto: “Andiamo a vedere se sia possibile realizzare questo sogno!”. Non era mia intenzione essere così ossessionato dall’organizzazione. Altrimenti che senso ha viaggiare? Viaggiamo anche per liberarci delle nostre ossessioni occidentali.
E quindi ho detto: “Partiamo, andiamo”. Mal che vada mi faccio un’esperienza in giro per il mondo, un’esperienza di vita. Mettermi in una situazione più difficile del solito imponendomi di non usare aerei era solo una sfida in più che mi avrebbe aiutato a vivere una esperienza ancora più intensa.
Leggendo il libro si vede che ce ne sono stati davvero tanti, ma pensandoci ora, dovessi dirmi qual è stato il momento più bello di questo viaggio… quale diresti? Il momento in cui ti sei detto: sono felice, sto realizzando il mio sogno…
Quando si viaggia da soli si diventa molto più sensibili, è molto più facile emozionarsi. Quando si arriva in cima ad una montagna meravigliosa dopo giorni di fatica e di cammino si esplode di gioia, ci si commuove. Mi capitava spesso di commuovermi davanti anche solo un tramonto, in un posto meraviglioso in mezzo alla natura.Ho provato gioia soprattutto sulle montagne, nelle scalate sull’Himalaya e sulle Ande, ma anche grazie alle persone meravigliose che ho incontrato. Quando si è da soli dall’altra parte del mondo un gesto di umanità o di affetto, un bel gesto da parte di una persona sconosciuta, ha un potere straordinario. Questi sono i ricordi più belli che ho.
Viceversa ti chiedo: ci sono stati momenti di sconforto? Qual è stato il momento più buio, più difficile?
Certamente, fanno parte del viaggio in quanto tale, servono per capire quanto sei determinato. Ho avuto delle difficoltà dovute a intossicazioni da cibo o per la malaria. Quando ti trovi con 40° di febbre, da solo, senza poter contare su nessun altro, lì è difficile badare a te stesso. Raramente mi è capitato di non essere in grado di occuparmi di me stesso, ma è accaduto. Ho dovuto cavarmela da solo, riuscire ad arrivare in ospedale in quello stato mentre mi succedeva qualcosa che non sapevo neanche io cosa fosse. Oppure vi sono stati tentativi di truffa: quando viaggi da solo diventi anche una possibile preda di qualche malintenzionato. Per esempio persone della mafia filippina in Cambogia mi hanno invitato in casa loro con l’intenzione di offrirmi un tè con della droga all’interno per derubarmi una volta stordito.
Però, per me, la cosa più complicata è legata all’alimentazione: durante i primi mesi del viaggio ho scelto di diventare vegetariano. Se l’avessi fatto a fine viaggio, sarebbe stato sicuramente meglio. Però, ad un certo punto, quando si fanno i conti con noi stessi, non ci si può mentire. Allora ho dovuto iniziare questo percorso verso il vegetarianismo in un mondo prettamente carnivoro. Tante sono state le difficoltà per trovare una dieta equilibrata, altrimenti mangiavo sempre le stesse cose. Oppure mi nutrivo solo di biscotti per viaggi di venti ore, o affrontavo lunghi digiuni soprattutto nei viaggi in cui non riuscivo ad organizzarmi comprando qualcosa prima di partire. Uno dei motivi per i quali alla fine del viaggio volevo tornare era anche un po’ quello, per avere una alimentazione equilibrata e poter scegliere cosa mangiare. Per un vegetariano è già molto difficile viaggiare al giorno d’oggi (non in India). Nella maggior parte dei paesi c’è un consumo di carne sfrenato e poche volte ci sono altre possibilità di scelta.
L’India, se non erro, è la nazione che più ti ha “segnato” tra tutte quelle che hai conosciuto. Sapresti dirmi il perché?
Per me l’India non è una nazione, è talmente immensa! È una cultura così antica che ha dietro una storia straordinaria, una potenza sorprendente. Avvicinarmi a quella cultura mi ha cambiato radicalmente dentro, nel mio approccio alla vita e non solo nello Yoga, che è forse uno degli strumenti migliori che abbia conosciuto nella mia vita per migliorarne la qualità. Inoltre ho trovato un’umanità straordinaria. L’India, nel bene o nel male, è una scuola di vita estrema. Nelle grandi città indiane vedi qualcosa che non riesci a vedere in nessuna altra parte del mondo. Lì impari tanto dell’uomo, vedi le reazioni più brutte e aggressive ma vedi anche questa strabiliante voglia di vivere di persone che sono in condizioni estreme, misere e terrificanti. Vedere la loro voglia di reagire alla vita nonostante le loro condizioni disumane dovute a malattie e povertà, mi ha trasmesso tanto. Mi ha dato una grinta, una voglia di vivere straordinaria.
Mi sono innamorato di quella umanità. Per me quella è la vera ricchezza: quel che ti trasmette la gente. Solo in India mi succedevano determinate cose. A volte rimanevo veramente sorpreso e allibito. Lì la vita diventa magica, riacquista quella magia che noi stiamo perdendo. Siamo il continente del benessere materiale, ma proprio perché c’è questo grande benessere materiale, c’è sempre meno umanità. Si sta perdendo, la gente cammina per strada e a malapena si guarda in faccia, non si riesce più a comunicare l’un l’altro, non c’è più solidarietà. Invece in India in delle situazioni estreme trovavo una solidarietà, una umanità meravigliosa che mi ha fatto completamente innamorare di quelle terre.
C’è una nazione o un posto in particolare dove non ti sei sentito così integrato?
Ci sono alcune culture asiatiche che sono un po’ più chiuse. In diversi casi la lingua è un grosso ostacolo. Quando vai in Cina o in Corea non puoi leggere, non capisci niente, la pronuncia è difficile. Compri un biglietto e non sei sicuro di dove stai andando. Poi ci sono le persone anziane che sono abituate ad altri tempi che ti guardano come un alieno e a malapena ti rivolgono la parola. I ragazzi più giovani sono un po’ più interessati, però a volte quando andavo in qualche ristorante cinese o coreano era difficile intendersi e a fargli capire che non mangiavo carne. Mi guardavano come chiedendomi: “Sei matto? Vai via!”. La difficoltà generale è la mancanza di contatto umano. In Sud America, wow! Contatto umano straordinario, la lingua è più facile, ti si apre un mondo. A livello culturale è più facile per noi latini. In certe culture lontane da noi non c’è solo la barriera linguistica e tutto ciò ti porta a sentire un po’ di freddezza da parte delle persone che incontri.
Leggo dal tuo libro, scusa se mi dilungherò: “E mentre sento il mio corpo assorbire energia vitale mi rendo conto dell’importanza di due ingredienti fondamentali per la felicità: tempo e libertà. Non ho mai avuto così tanto tempo da dedicare a me stesso, alle mie passioni o alle mie riflessioni. Ormai in questi mesi ho analizzato ogni singolo momento della mia vita così a fondo che ora è tutto chiarissimo nella mia mente. Ci voleva dopo anni di giornate trascorse nello stesso ufficio, a volte senza neanche poter godere di qualche minuto di luce solare, sempre indaffarato tra pulizie di casa, spesa e faccende varie in cui sentivo il tempo scivolare via velocemente da non averne mai abbastanza per pensare a me stesso come avrei voluto. Per di più durante alcuni degli anni migliori della vita in cui si ha un’energia particolare che se sfruttata al massimo può realizzare grandi imprese, ma se sprecata diventerà un rimpianto quando sarà troppo tardi per tornare indietro.
Se si ha la possibilità, credo che sia fondamentale per la vita di un essere umano, in quel periodo di vita, provare a inseguire le proprie aspirazioni più grandi dando la propria anima per riuscire a realizzarle […] Perché in ogni caso non si scappa mai dalla propria coscienza e se sentiamo dentro di noi una voce che ci spinge verso qualcosa o un sogno finché non proveremo a realizzarlo il tarlo ci tormenterà, soprattutto quando arriveremo a 40 o 50 anni. Ogni essere umano […] tra i 20 e i 30 anni dovrebbe concentrarsi a utilizzare tutta la sua strabiliante energia seguendo le proprie passioni o cercando risposte a tutte le domande che ha in modo da formare e realizzare se stesso. In seguito a questo periodo di profonda maturazione personale sarà sicuramente in grado di amare una persona e di prendersi delle responsabilità come famiglia.”
Ti chiedo: Tu ti sei conquistato la possibilità di realizzare il tuo sogno e ce l’hai fatta. Secondo te perché invece il più delle volte le persone non ci provano neanche?
Purtroppo viviamo una realtà sociale dove sin dall’educazione scolastica non ci insegnano a ragionare con la nostra testa, ad essere delle menti libere e indipendenti. Insegnano ad obbedire ad una autorità, a fare quello che ci dicono gli altri. Cercano così di bloccare e frenare ogni nostro istinto invece di favorirlo e svilupparlo. È solo una repressione. Quindi arriviamo a vent’anni che non siamo in grado a livello umano di fare delle scelte così importanti. Abbiamo paura di scegliere. Siamo schiacciati da pressioni sociali e familiari. Non abbiamo, molto spesso, gli strumenti o le possibilità di fare delle scelte pienamente nostre. Perché non sappiamo chi siamo, cosa vogliamo.
Non abbiamo avuto una educazione che favorisce tutto ciò. Anzi, siamo figli di una educazione che ci insegna ad ubbidire, seguire un modello, una massa, un gregge e ciò rende le persone terribilmente deboli. Sono poi poche le persone che riescono così a fare delle scelte libere e indipendenti. Molto spesso la gente si rifugia dietro alla ragione economica, che sicuramente ha un peso, però conosco tante persone che hanno la possibilità di fare ma dicono: “Complimenti, avrei voluto farlo anch’io”. E io mi chiedo: “Perché non lo fanno?”, semplicemente. Poi ho capito perché: per me è stata durissima fare una scelta del genere a vent’anni, andando contro la mia famiglia e tutte le persone attorno a me. Però quel primo passo, difficilissimo e durissimo, mi ha permesso di vivere la straordinaria vita che ho vissuto sinora che non cambierei con quella di nessuno: la amo profondamente, per questa mia grande serenità e voglia di vivere. Comunque sia ne è valsa la pena.
Pensi di avere delle radici?
Io sono nato qui, è inutile rinnegarlo. Sono parte di Torino e una parte di Torino è dentro di me. Viaggiando per tanti anni ho creato legami bellissimi ma non così forti da farmi fermare da qualche altra parte; alle fine sento la necessità di tornare dalle persone che amo, la mia famiglia e i miei amici. Anche per me stesso sento la necessità di tornare indietro, perché comunque a vent’anni me ne sono andato perché stavo male, avevo un forte malessere interiore e nei confronti della realtà sociale. Mi sono reso conto che, imparando tante cose in viaggio, non si è mai veramente liberi fino a quando non si è in grado di stare bene anche a casa propria. Se stiamo male, può essere una soluzione temporanea quella di andare via, viaggiando e facendo esperienze di vita, per poi trovare gli strumenti ed essere in grado di stare bene anche a casa. Con questo non vuol dire che devo vivere qua, ora. Però, dopo tutti questi anni ed esperienze, ho bisogno di metabolizzare quello che ho vissuto, confrontandomi con me stesso, i miei luoghi, la mia famiglia. Poi domani non so cosa farò. Ora per un periodo mi dedicherò a questo.
In più c’è tanta voglia di condividere: il motivo che mi ha spinto a viaggiare è stato un malessere molto comune e diffuso nei giovani. E quindi penso di essere un esempio positivo semplicemente perché mi sento una persona serena che ha avuto una evoluzione positiva grazie al viaggio. Sono tornato anche per trasmetterlo, ne sento il dovere. Perché quando vivi certe meraviglie, devi condividerle. Per questo cerco di organizzare eventi sui viaggi, cercando di foggiare nuovi viaggiatori o ragazzi che arrivano dalla mia stessa situazione adolescenziale. Per questo motivo mi sono aperto nel libro, ho raccontato cose molto personali per creare empatia e scatenare una scintilla in qualcun altro dando una prospettiva diversa alla vita che ci insegnano a scuola.
La nostra redazione si chiama Italia Che Cambia. Ci hai già detto tanto a riguardo, ma dovessimo chiederti che cosa significa per te la parola “cambiamento”, cosa ci diresti?
Il cambiamento è parte della vita. Lo insegnano nel buddhismo come prima regola, tutto cambia. Dobbiamo imparare a non attaccarci alle cose e alle persone, accettando i cambiamenti della vita senza rimanere inutilmente legati al passato, perché non riusciremo più a ricreare situazioni che ormai sono trascorse. Ve ne saranno tante nuove, e quindi è necessario prepararsi a vivere in questo modo, sviluppando una grande adattabilità. Il cambiamento deve essere in ottica positiva: quando ho fatto il primo viaggio a vent’anni è iniziata una evoluzione dentro di me e da lì è iniziato un cammino quotidiano nel quale cerco sempre di migliorarmi. Cambiamo noi stessi per cercare di cambiare anche un po’ il mondo in cui viviamo. Magari non proprio il mondo, ma attraverso l’esempio, la propria storia, si possono aiutare persone vicine e questo è già tantissimo.
Infine, se dovessi descrivere in una parola il tuo viaggio, quale sceglieresti?
Ti dicevo prima che in un’ora di presentazione è già molto difficile trasmettere tutto quello che vorrei.
Tuttavia direi semplicemente la parola “vita”. Nel vero senso della parola. Perché da quando ho iniziato a viaggiare ho iniziato a vivere.
Ringrazio Carlo per il tempo trascorso insieme. Le sue parole si conciliano perfettamente con i colori autunnali che la natura nel Parco Valentino ci dona.
Passeggiamo tra un albero e l’altro. Mi faccio autografare il suo libro. Ci salutiamo, augurandoci a vicenda una buona vita e un buon viaggio. Perché solo chi ha il coraggio di fare il primo passo e mettersi in cammino sulla via per raggiungere i propri desideri, può renderli concreti. Proprio come è stato per Carlo nel suo viaggio attorno al mondo senza aerei.
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