Seguici su:
Inumanimal è la performance teatrale vincitrice del Premio Luccica 2016 come “Miglior atto performativo” per “aver saputo cogliere in profondità il meccanismo scenico di un atto performativo, rispettando la relazione tra spazio performativo e spazio realistico e per aver avuto il coraggio di affrontare un tema delicato quale il maltrattamento degli animali da allevamento, senza pietismi ma con inusuale intelligenza artistica”.
Teodora Mastrototaro e Savino Lasorsa sono gli autori e performer dello spettacolo. Dopo anni di collaborazione hanno formato il duo “La Seconda Stanza” e Inumanimal è il loro primo frutto. Teodora Mastrototaro nasce come autrice, pubblicando la silloge di poesie “Afona del tuo nome”, tradotta dal poeta americano Jack Hirschman, e si specializza in scrittura drammatica, per poi approdare in palcoscenico. Savino Lasorsa, cantautore e musicista, è fondatore dei Dulevand, con cui ha collaborato con il Maestro Paolo Montin, clarinettista e direttore della Stradabanda della Scuola di Musica Popolare di Testaccio, e Giulio Caneponi, batterista degli Ardecore. Daniele Vergni è il sound designer della performance; redattore della rivista Sciami Ricerche, collabora al progetto di ricerca Nuovo Teatro Made in Italy, occupandosi di arti performative. Incontriamo Teodora Mastrototaro per parlare dello spettacolo.
Inumanimal è il titolo. Qual è il suo significato?
Il titolo rappresenta l’estrema sintesi dello spettacolo. Il termine “disumano”, “inumano”, utilizzato ed applicato tanto per il mondo umano quanto per quello animale.
Come nasce il testo e l’idea di portarlo nei teatri?
Inumanimal è nato e continua a nascere ogni qual volta è messo in scena. Non è stato ideato con la finalità di essere portato nei teatri ma è diventato ciò che è ora, un atto performativo, come naturale conseguenza di un percorso creativo e di studio che ci ha visto coinvolti. Il testo è la riscrittura teatrale della mia nuova produzione poetica, che affronta, appunto, il tema dello sfruttamento animale. “Rape Rack (asse da stupro)”, questo il titolo, è stato l’input che ci ha permesso di trasformare in azione scenica il verso poetico.
Da qui, la voglia di farlo viaggiare anche perché Inumanimal è un viaggio che fa viaggiare, sì, e credo che questo gioco di parole descriva bene ciò che facciamo con il nostro spettacolo. Inumanimal, in quanto “viaggio in viaggio”, fa delle soste, si ferma lì dove la gente vuole: un teatro, una stanza, una rimessa abbandonata o un vecchio macello dismesso. Approda laddove ci sia una “casa” pronta ad accoglierlo!
Lo spettacolo affronta lo sfruttamento degli animali. Come si articola, quali temi affrontate? E con quali strumenti? Avete adottato tecniche di narrazione, rappresentazione particolari per comunicare efficacemente il messaggio e le emozioni che lo veicolano?
Inumanimal è una performance che si sviluppa in una doppia dimensione: buio/luce. Buio è il trasporto degli animali di allevamento in un carro bestiame diretto verso il macello (con dialoghi umanizzati), mentre luce è un viaggio in treno che rappresenta il percorso di sfruttamento di questi animali durante il quale incontrano le figure responsabili dello sfruttamento stesso. L’alternarsi di luce e buio porta lo spettatore a vivere due eventi paralleli, uno visibile (luce) e l’altro, immerso nel buio totale, udibile, dove predomina il potersi immedesimare in ciò che si ascolta. Non avendo una scena che si svolga davanti ai suoi occhi, infatti, lo spettatore, portato da ciò che ascolta, può attingere dalla sua fantasia e dalla sua immaginazione anche perché, inevitabilmente, si sentirà di far parte di ciò che accade nel carro bestiame e, per uscire da quel buio che lo avvolge, come fosse un mezzo di difesa, immaginerà.
È questo che speriamo accada! Immaginando, vedrà la scena e si troverà nella scena. Cosa diversa durante le parti in luce durante le quali si articolano azioni e i personaggi sono chiaramente visibili e riconoscibili. In questo caso lo spettatore si trova in quel treno che porta i due performer e abbiamo cercato di farlo sentire parte del nostro viaggio creando uno spazio che dia la possibilità di interagire. Inumanimal, infatti, non prevede l’utilizzo di un palco, o almeno di uno non troppo alto e distante dal pubblico, ma prevede una vicinanza con chi è seduto davanti a noi perché con chi è presente si parla, si gioca e ci si arrabbia anche.
Abbiamo abbattuto la quarta parete, cosa sicuramente non nuova in teatro, ma è un “abbattimento” che cerchiamo di esasperare sempre di più. Il nostro è sicuramente un atto performativo basato sull’immagine, anche perché rendere teatralmente argomenti come quello dello sfruttamento animale non è semplice e abbiamo quindi cercato di farlo dando chiavi di lettura altre, diverse, al primo acchito forse incomprensibili, ma che si rivelano lucidamente durante lo spettacolo. Tutto è conseguenziale, tutto è legato, proprio come conseguenziali e meccaniche sono le fasi dello sfruttamento e della macellazione. Nel finale abbiamo utilizzato la poesia diventata canzone, arrangiata da Savino. E’ col canto che l’uomo porta alla mattanza l’animale. La delicatezza del verso, che racchiude però la forza della parola e la forza dell’uomo sulla bestia.
Quali figure responsabili dello sfruttamento incontriamo nello spettacolo?
Il primo incontro è con un medico veterinario. Negli allevamenti intensivi, infatti, si somministrano spesso farmaci ed ormoni all’animale al fine di aumentarne la produttività quali-quantitativa. L’incontro con un allevatore–imprenditore, figura per il quale gli animali rappresentano solo merce e il cui interesse finale è esclusivamente il profitto. L’incontro col consumatore, utente finale di tutta la filiera produttiva dello sfruttamento. Il consumatore spesso inconsapevole, incurante o completamente indifferente al cinico meccanismo industriale impiegato per gli allevamenti intensivi.
L’incontro, poi, con l’autista e l’ingresso nel carro bestiame, dove gli animali subiscono interminabili trasporti di giorni, a volte fermi per ore senza alcun supporto vitale: niente acqua, niente riposo, all’interno di lamiere esposte al sole torrido, al freddo e circondati dalle loro stesse feci. Questa è la scena durante la quale le due dimensioni buio/luce si fondono. Un urlo che risuona nel carro bestiame viene strozzato ed un animale tra il pubblico viene trascinato in catene verso il suo ultimo incontro: l’addetto alla macellazione. Conclusa la macellazione il carro bestiame riparte verso un nuovo macello, portando con se gli spettatori.
“È sui loro corpi, ultimi degli ultimi, che si costruiscono le fondamenta della piramide del potere e comincia la produzione economica della schiavitù”. È uno spettacolo che invita a riflettere anche sulla condizione umana e sulle tante facce dello specismo e della discriminazione? Sessismo, razzismo, omofobia vengono trattati metaforicamente o esplicitamente nella pièce?
Lo sfruttamento umano e lo sfruttamento animale hanno una radice comune e questo è testimoniato da tutta una serie di studi che hanno evidenziato la somiglianza tra il modo in cui i nazisti trattavano le loro vittime e il modo in cui noi trattiamo gli animali. “La nostra specie ha perpetrato” afferma la nota primatologa Jane Goodall “infiniti torti sugli altri animali nel corso della storia” e, questo, perché l’uomo si è arrogato il ruolo di specie dominante. Lo sfruttamento, però, è un processo che ha visto coinvolti non solo gli animali ma anche altri esseri umani. Catene di montaggio che vedono implicati esseri umani e non umani resi comunque cadaveri.
Dallo sfruttamento degli animali all’omicidio di massa il passo è breve ed inoltre ricordiamo che nelle società schiaviste le pratiche impiegate per controllare gli animali erano le stesse che venivano usate per controllare gli schiavi: castrazione, marchiatura, incatenamento, taglio dell’orecchio. Insomma, ciò che voglio dire è che credo sia inevitabile che lo spettatore si rivolga anche alla sfera umana nel momento in cui viene a vedere il nostro lavoro. Infatti, alla fine dello spettacolo c’è chi ci dice di aver pensato alla violenza sulle donne o sulle minoranze. Come dico sempre il carro è un contenitore dove lo spettatore può riversare altre storie, altre esistenze e questo credo sia il motivo per cui Inumanimal nasce e cresce ogni volta che lo portiamo in scena. Non è un lavoro finito e non lo sarà mai finché gli spettatori allargheranno la loro visione e ce la comunicheranno.
Quali speranze avete riposto in questo progetto?
Ciò che ci proponiamo è far sì che lo spettatore, durante lo spettacolo e quindi durante questo viaggio, percepisca una trasformazione relativa al proprio sentire. Che avverta un’empatia verso quell’animale portato al macello e di cui lui stesso alla fine indosserà le vesti. Ciò in cui confidiamo è che a questo suo “mettersi nei panni del condannato”, una volta usciti dallo spazio/carro, continui come trasformazione e diventi consapevolezza.
La reazione del pubblico: avete ricevuto feedback positivi da persone non vicine all’animalismo? Qualche persona è rimasta particolarmente segnata in positivo o negativo?
Le reazioni di chi viene nel nostro carro sono molto diverse. Sono sempre molti gli spunti, fonte di discussione. Il feedback solitamente è positivo e, qualora non dovesse esserlo, se ne discute e si approfondiscono i diversi punti di vista. Non sappiamo sempre quanti siano gli animalisti presenti e chi invece sia lontano dall’animalismo, ma ti assicuro che il confronto è sempre costruttivo e io spero sempre ci sia, per una crescita. Ricordo quando un’animalista mi ha confidato di essersi sentita animale nel carro. Di aver sentito la spietatezza della situazione. Ha sentito che sarebbe stato meglio non essere mai nata perché dal primo minuto all’ultimo ha avuto solo dolore lì nel carro. Ricordo una mia amica, lontano dall’argomento, che dopo lo spettacolo ha detto che le era piaciuto, che aveva compreso tutto e che ci avrebbe pensato. Mi chiedi se qualcuno sia rimasto particolarmente segnato? Uno dei più bei complimenti ricevuti è stato: “Sensazione alla fine dello spettacolo? Disgusto”.
State avendo difficoltà a portarlo nei teatri? Come viene accolto dai direttori?
Abbiamo la consapevolezza che la tematica da noi affrontata può essere scomoda, ma al tempo stesso è la nostra forza. Desideriamo far arrivare il messaggio anche nei luoghi più convenzionali ma non è la nostra priorità. Quest’inverno siamo arrivati in finale durante un concorso di corti teatrali al quale abbiamo partecipato con 20 minuti dello spettacolo. Il lavoro vincitore sarebbe entrato in rassegna nella stagione 2017 del teatro che lo aveva organizzato, ma alla fine non abbiamo vinto. Il direttore artistico ha chiaramente detto che, pur apprezzando molto il nostro lavoro e, pur essendo molto vicino al suo gusto, ha preferito non mettere in rassegna uno spettacolo che affrontasse un tema “non umano”. Poi, ovviamente, non è la prassi. Molti teatri ci hanno accolto, tanti non ci accoglieranno e tantissimi forse sì…
Insomma lo vedremo durante il percorso.
Dove e quando possiamo vedere lo spettacolo?
Saremo in scena Sabato 6 Maggio alle ore 21:00 e Domenica 7 Maggio alle ore 18:30 all’interno di “Il cuore secondo Giovanni”, la Rassegna di Teatro in Masseria nata dall’idea di Andrea Cramarossa, poeta, attore, regista e direttore Artistico del gruppo di ricerca teatrale Teatro delle Bambole.
La rassegna si concluderà il 13 Maggio presso la CEA Masseria Carrara – Centro di Educazione Ambientale. Ciò che unisce gli spettacoli in rassegna sono le tematiche: tutte trattano temi sociali e di impegno civile. Invito tutti quanti a venire a trovare noi e a partecipare all’intera rassegna in via Delle Rose a Modugno. Per informazioni e prenotazioni: Federico Gobbi 347 3003359 – info@teatrodellebambole.it
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento