31 Mag 2017

Hikikomori, adolescenti in fuga dalle pressioni sociali

Scritto da: Alessandra Profilio

Hikikomori è il termine giapponese che viene utilizzato per indicare l'isolamento sociale volontario di adolescenti e giovani adulti, un disagio che oggi ha assunto proporzioni gigantesche. Ma quali sono le cause di questo fenomeno?

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Adolescenti e giovani adulti in fuga dal mondo, isolati e rinchiusi nella loro camera, anche per anni. Quello che inizialmente era considerato un disagio sociale limitato al Giappone, si sta rivelando un fenomeno esteso a tutti i Paesi sviluppati, Italia compresa. Ne abbiamo parlato con Marco Crepaldi, fondatore di Hikikomori Italia. In questa seconda parte dell’intervista approfondiamo le cause di questo fenomeno ed il ruolo della società nell’insorgenza di questo disagio che, oggi, ha raggiunto proporzioni gigantesche.

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Sul vostro sito si legge: “L’hikikomori è un meccanismo di difesa messo in atto come reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale tipiche delle moderne società individualistiche”. È questa quindi la causa principale? Ce ne sono altre?

Questa, a mio parere, è la causa che, a livello sociale, meglio spiega il fenomeno nel suo complesso, senza banalizzarlo o personalizzarlo. Gli hikikomori sono tutti diversi, possono dare motivazioni differenti per la loro scelta di reclusione, ma tutti sono accumunati da questo impulso all’isolamento, questa profonda difficoltà nello stare con gli altri. Questa paura di esporsi e di confrontarsi con il prossimo.

 

Che tipo di pressioni esercita sugli adolescenti la nostra società?

La società sta diventando progressivamente sempre più competitiva, soprattutto da un punto di vista di realizzazione sociale. Tali pressioni implicano tutto ciò che ha a che fare con l’identità sociale di un individuo, ovvero con l’aspetto esteriore, con il rendimento scolastico e lavorativo, con la vita che comunichiamo attraverso i social, con il nostro modo di relazionarci e con le nostre abilità espressive.

 

È come se fossimo costantemente in competizione con gli altri e a volte ci troviamo a rincorrere obiettivi che non desideriamo realmente, ma che fanno parte delle aspettative sociali. Ovvero ci comportiamo in relazione a quello che pensiamo che gli altri si aspettino da noi.

 

Eppure, non tutti hanno la forza, le capacità e la motivazione per tenere il passo di una tale corsa frenetica al successo. Credo che questo sia proprio il caso degli hikikomori. Loro scappano da questa competizione perché la pressione di realizzazione è diventata insostenibile. Semplicemente se ne tirano fuori, la rifiutano, e il modo più “semplice” che hanno trovano è quello di isolarsi.

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Queste pressioni sono maggiormente forti in Giappone? E in Italia?

Il Giappone è la società competitiva per eccellenza. Basti pensare che il sistema scolastico giapponese viene chiamato “l’inferno degli esami” (sul blog ho scritto un post approfondito a riguardo).

 

I genitori sono costretti a mandare i figli in scuole private poiché sono le uniche che garantiscono l’accesso alle migliori università del paese. In questo modo spendono moltissimi soldi, generando maggiore pressione sul rendimento del ragazzo.

 

Esistono anche delle scuole intensive chiamate Juku dove si arriva a studiare fino a 12 ore al giorno in preparazione ai test di ammissione universitari. Molti hikikomori iniziano il proprio stato di isolamento proprio in concomitanza con questi esami. Soprattutto in caso di fallimento, la delusione e la vergogna di aver tradito le aspettative dei propri genitori può essere talmente forte da generare un comportamento auto-distruttivo.

 

La situazione in Italia, per fortuna, non è così drastica, tuttavia è possibile che si creino delle dinamiche simili. Nel nostro paese l’hikikomori sembra essere legato soprattutto a eventi di bullismo o comunque a situazioni vissute dai ragazzi come tali. La difficoltà di relazionarsi efficacemente con i coetanei, e quindi di essere giudicati positivamente da loro, rappresenta uno di quegli obiettivi di realizzazione sociale descritti precedentemente che, se fallito, può portare alla scelta dell’isolamento.

 

Che ruolo ricopre in questo la scuola? 

La scuola sotto questo aspetto gioca un ruolo fondamentale perché ha il compito di garantire a tutti gli studenti, anche a quelli più fragili caratterialmente, un ambiente sano e inclusivo. Non a caso, come detto nella prima parte dell’intervista, il primo campanello d’allarme dell’hikikomori è proprio l’abbandono scolastico. Le istituzioni hanno il dovere di attrezzarsi per fare fronte a questa emergenza sociale, intervenendo con misure efficaci e fuori dall’ordinario.

 

Con “fuori dall’ordinario” intendo che bisogna avere flessibilità per rispondere alle esigenze di questi ragazzi isolati. Aiutarli in ogni modo possibile a completare l’anno e a reintegrarli gradualmente nell’ambiente scolastico. Purtroppo questa flessibilità quasi sempre viene meno in quanto l’hikikomori a oggi non ha nessun riconoscimento legale e quindi i genitori si scontrano spesso con la burocrazia, vedendosi negato qualsiasi tipo di percorso scolastico alternativo (come, ad esempio, il BES.) che permetterebbe al figlio di proseguire gli studi nonostante l’isolamento.

 

Completare gli studi e ottenere il diploma è fondamentale per evitare che gli hikikomori sentano di aver perso troppo terreno rispetto ai coetanei e quindi abbiamo maggiori motivazioni nel continuare a perseguire una “carriera sociale”.

 Young boy in bedroom using laptop and listening to MP3 player


Pensi che in questo senso le cose stiano migliorando o no? Mi spiego meglio, credi che negli ultimi tempi venga lasciata maggiore libertà nelle scelte di vita o veniamo sempre chiamati a conformarci ad un modello?

Io credo che le cose stiano peggiorando. Con l’avvento dei Social Network la “competizione sociale” è diventata estenuante, tant’è che sono numerosi gli studi che dimostrano come l’utilizzo di Facebook sia legato a un aumento della depressione.

 

Internet favorisce quello che in psicologia viene definito “confronto sociale”, ovvero il paragonare la propria vita a quella degli altri. È evidente che sui Social ognuno sia più motivato a mostrare il lato migliore della propria vita: i momenti felici, le amicizie, ecc. Per questo motivo, quando guardiamo le attività dei nostri amici, ci sentiamo spesso in difetto e in dovere di esibirci a nostra volta.

 

Anche la popolarità è cambiata. Oggi i modelli dei giovani non sono più necessariamente cantanti, attori o sportivi, ma possono essere anche gli youtuber, le beauty blogger e tutte le altre figure che nascono dal web. Ragazzi e ragazze “normali”, che non hanno quell’alone divino che hanno i VIP e con cui è più facile identificarsi e quindi, di conseguenza, attivare un paragone tra noi e loro.

 

Insomma, viviamo in una società nella quale gli strumenti che permettono di misurare e confrontare gli aspetti di bellezza e di realizzazione personale non hanno eguali nella storia dell’umanità. Tutto ciò contribuisce e fa da sfondo al fenomeno degli hikikomori.

 

Hikikomori e dipendenza da Internet. Qual è il legame?

Come ormai ripeto incessantemente da 4 anni (ovvero da quanto è nata “Hikikomori Italia”), l’abuso di internet è una conseguenza dell’hikikomori e non una causa. I media purtroppo tendono spesso a confondere i due fenomeni, ma fortunatamente anche da questo punto di vista le cose stanno lentamente cambiando.

 

Le ultime ricerche dimostrano come l’utilizzo di internet da parte degli hikikomori sia un qualcosa di positivo, se pensiamo, in contrasto, a un ragazzo che invece non comunica con la società nemmeno attraverso il web.

 

È altrettanto vero, però, che una reclusione prolungata possa talvolta favorire lo sviluppo di una dipendenza dalle nuove tecnologie. Anche in questo caso, però, l’intervento clinico dovrebbe comunque mirare a comprendere le cause che hanno spinto il ragazzo ad isolarsi, perché trattare l’hikikomori come fosse semplicemente un dipendente da internet sarebbe come trattare il sintomo e non la “malattia”.

 

Leggi la prima parte dell’intervista

 

 

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