20 Apr 2017

Sperimentazione animale: intervista agli attivisti sotto processo

Scritto da: Tamara Mastroiaco

A pochi giorni dal processo agli attivisti accusati di occupazione, violenza privata e danneggiamenti per l’irruzione nello stabulario del Dipartimento di Farmacologia di Milano, si riaccende il dibattito pubblico sulla sperimentazione animale. Ne abbiamo parlato con Giuliano Floris, portavoce del Coordinamento Fermare Green Hill.

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Il 20 aprile 2013, tre attivisti e due attiviste del Coordinamento Fermare Green Hill occuparono a volto scoperto lo stabulario del Dipartimento di Farmacologia dell’Università Statale di Milano. Non fu un’azione isolata ma l’ultima fermata di un percorso iniziato tanto tempo fa, nel 2010, quando alcune persone decisero di mettersi insieme, creando il Coordinamento, per ideare e costruire la campagna che ha reso possibile la chiusura di Green Hill S.r.l. situata a Montichiari, in provincia di Brescia, di proprietà della Marshall Farms, multinazionale statunitense leader nella commercializzazione di animali utilizzati nei laboratori di ricerca.

 

Azione dopo azione hanno creato le fondamenta per far emergere la verità. L’azione da parte dei dodici attivisti provenienti da tutta Italia per manifestare contro la sperimentazione animale e Green Hill, non appartenenti al nucleo del Coordinamento in questa occasione, chiuse il cerchio. Le immagini degli attivisti che scavalcarono i cancelli dell’allevamento, per portare fuori più cani possibili passandoli al di sopra del filo spinato agli altri attivisti rimasti fuori, fecero il giro del mondo, commuovendo anche chi solitamente non si schiera contro la sperimentazione animale.

La liberazione dei beagle da Green Hill

La liberazione dei beagle da Green Hill


Dopo una serie di controlli, Green Hill, su ordine della Procura di Brescia, fu messo sotto sequestro. I cani presenti, più di 2.600, furono dati in adozione, iniziando così una nuova vita. Nel 2015 i vertici dell’azienda, tre su quattro, furono condannati in primo grado per maltrattamento e uccisione di animali. Per gli animalisti fu stata una grande vittoria ma, in tutto il mondo, ci sono ancora milioni di stabulari colmi di animali di diverse specie destinati e sacrificati in nome della ricerca. Gli attivisti del Coordinamento, consapevoli che la guerra contro la sperimentazione animale non è stata vinta con lo smantellamento di Green Hill, hanno deciso di continuare la loro battaglia, scegliendo una data e un luogo preciso: il 20 aprile e lo stabulario del Dipartimento di Farmacologia di Milano.

 

Dopo quattro anni, il 28 aprile 2017 ha inizio il processo contro i cinque attivisti. Seppur coscienti delle conseguenze penali per aver compiuto un atto ritenuto illegale, con coraggio e determinazione, il Coordinamento Fermare Green Hill ha condotto un’azione di disobbedienza civile per ricordarci che gli animali nei laboratori non avranno mai giustizia. La legge consente e giustifica la sperimentazione animale, permettendo l’imprigionamento, la tortura e la crudeltà fisica e psicologica verso gli animali ammassati nei laboratori in nome di una falsa scienza. Oggi, prima del processo, abbiamo fatto qualche domanda a Giuliano Floris, portavoce del Coordinamento Fermare Green Hill, per ricordare quella giornata e ascoltare la loro voce.

 

Torniamo con la testa e i sensi al 20 aprile. Ci descrivi in maniera vivida l’incontro con gli animali, le emozioni, gli odori, le paure di quella giornata memorabile?
Era un sabato mattina freddo e piovoso. Accompagnati da altri attivisti e attiviste siamo entrati nel complesso del Dipartimento di Farmacologia scavalcando i cancelli del retro con delle scale e poi, una volta nel cortile, siamo saliti direttamente al quarto piano, dove ci sono gli stabulari. Il custode veniva distratto all’ingresso principale del piano inferiore da una protesta inscenata da altre persone per permetterci di salire. Siamo entrati e dopo aver verificato che non ci fosse nessuno all’interno, due di noi si sono legati per il collo al maniglione antipanico di due porte, così che nessuno potesse entrare. L’adrenalina era tanta, non potevamo credere di essere davvero dentro a uno di quei luoghi ritenuti inaccessibili. Sapevamo che nel 2006, in pieno giorno, attivisti e attiviste anonimi erano riusciti a portare via da quel posto dieci cani, dodici conigli, cinquanta topi e venti ratti.

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Per prima cosa abbiamo ispezionato tutte le stanze, per scoprire quali animali fossero imprigionati. I box dei cani erano vuoti, ma tutte le altre stanze erano piene di carrelli a più piani, con tante piccole scatole di plexiglass, ognuna delle quali conteneva topi. Topi neri, topi bianchi, topi bruni, topi nudi, tutti ugualmente frenetici e intenti in un eterna ricerca di uno spiraglio attraverso cui fuggire, per poi ritornare costantemente alla disperazione e all’angoscia di essere prigionieri. Disperazione e angoscia sono i sentimenti che abbiamo subito respirato. Nella stanza dei conigli l’aria era irrespirabile, un misto di ammoniaca, di polvere e di peli. I conigli, uno per ogni gabbia, alla nostra vista, cercavano di rintanarsi negli angoli, sperando di trovare un nascondiglio inesistente.

 

Mucchi di feci ammuffite erano l’unico arricchimento ambientale. Non dimenticheremo mai i loro sguardi tristi e rassegnati. Ne abbiamo preso uno, con delicatezza, per scattargli una fotografia e comunicare al mondo quello che stavamo facendo. Prendere quell’essere meraviglioso in braccio e poi doverlo rimettere nella sua prigione è stato straziante; sapevamo che essere lì poteva avere un grande valore e segnare un passo fondamentale nella lotta contro la vivisezione, quindi dovevamo farci forza e convivere con tutta la sofferenza che in quel posto ti si appiccica addosso.

 

Dopo poche ore dall’irruzione, la trattativa. Come è avvenuta, cosa avete ottenuto. L’Università ha mantenuto o violato la promessa?
L’Università decise di trattare perché non voleva che uscissero le informazioni e le immagini. Quando iniziammo a leggere, fuori dalla finestra, con l’aiuto di un megafono, alla folla presente nella piazza sotto lo stabulario, i protocolli, i dati dei registri di carico e scarico, la trattativa cominciò a prendere forma. Quando elencammo i kg di rifiuti da smaltire con cui erano definiti e identificati i topi uccisi, ecco, in quel momento, credo che presero la decisione. Avrebbero accettato tutto pur di mandarci via da lì. Chiedemmo di portare con noi tutti gli animali. Ci accordarono di portar via tutti quelli che saremmo riusciti a caricare sulle nostre dieci braccia, con le nostre sole forze. Nessun altro poté entrare per aiutarci.

 

Uscimmo con circa 400 topi e un coniglio, strappandogli la promessa di mantenere in vita e rilasciare tutti gli animali vivi. Gli animali sarebbero stati affidati all’associazione Vita da Cani che da sempre si occupa di ritirare animali dai laboratori, a cui molti di noi appartenevano e con cui collaboravamo fin dai tempi di Green Hill. Noi andammo via, mantenendo la parola data. L’università Statale di Milano no. Vita da Cani chiese gli animali per giorni, mesi e anni, insieme ai registri di carico e scarico aggiornato al periodo subito dopo l’occupazione. Fece regolarmente richiesta d’accesso agli atti, ma l’Università si rifiutò di cederli adducendo vaghe motivazioni relative al procedimento penale in corso. Dopo due ricorsi al Consiglio di Stato, furono costretti a cederli.

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Gli attivisti del Coordinamento Fermare Green Hill


Siete anche accusati di aver rubato gli animali che avete portato fuori, oltre che di occupazione, violenza privata e danneggiamenti?
No, il furto è tra i pochi reati non contestati. Giustamente. Gli animali furono affidati dai proprietari. Non li portammo via contro la loro volontà. Non fu necessario. Ce li affidarono loro a condizione che ce ne andassimo.

 

I ricercatori hanno dichiarato che la vostra azione ha vanificato anni di ricerca e bloccato le sperimentazioni. Sono scesi, forse, per la prima volta in piazza per sensibilizzare l’opinione pubblica e difendere il loro lavoro. Come e cosa rispondete?
Rispondiamo che uno degli scopi dell’occupazione era proprio costringere chi usa gli animali nella ricerca ad uscire allo scoperto e affrontare dibattiti sull’argomento. Il muro di omertà e la mancanza assoluta di voglia di mettersi in discussione anche da un punto di vista etico con l’assurda pretesa che quello che accade nei laboratori sia materia che riguardi solo chi la pratica e, non invece, l’intera società, ha protetto, fino al 20 aprile, la normalità di uno stabulario, la vita delle cavie lì dentro prigioniere, come e per quali scopi esse vengono utilizzate.

 

Cosa ha rappresentato quest’atto? Lo rifareste?
È sicuramente stato un atto molto forte. Noi l’abbiamo ritenuto necessario affinché si parlasse di sperimentazione animale in modo più incisivo. Non è stata un’azione contro quello specifico stabulario. L’azione è stata ideata e realizzata per mettere in luce quella che è la normalità di tutti gli stabulari. È stata un’esperienza veramente segnante. Lo rifarei? Sì, perché abbiamo ottenuto un grosso risultato, portando via da quel posto centinaia di prigionieri e dato il via a un lungo momento di confronto, accendendo il dibattito.

 

Chi compie queste azioni è identificato quasi sempre come un estremista, un violento, un reietto della società. Vi andrebbe di fare una dichiarazione finalizzata a demolire tutti i luoghi comuni e i pregiudizi su chi ogni giorno si batte contro ogni violenza e discriminazione, anche violando la legge?
Non siamo persone violente. Ci attiviamo per cercare di gettare le basi per un mondo senza gabbie. Sentiamo l’urgenza di rendere consapevole e partecipe chi ancora non sa o non vuol sapere. Crediamo che un confronto dal punto di vista etico sia indispensabile, sperando che si arrivi finalmente a considerare inaccettabile l’uso di esseri senzienti che, dentro quelle gabbie, soffrono e vivono una non-vita. Non solo per come li utilizzano ma, anche, per il semplice fatto di rinchiuderli senza alcuna possibilità di scampo e salvezza. Non facciamo certe cose perché siamo dei pazzi estremisti, ma perché, purtroppo, senza queste azioni non si arriverebbe a parlarne in modo serio. L’informazione è alla base della rivoluzione.

 

Come sostenere gli attivisti? Partecipando al presidio che si terrà il 28 Aprile dalle 09:00 alle 13:00 davanti il Palazzo di Giustizia di Milano, portando cartelli e striscioni con messaggi inerenti alla sperimentazione animale e allo sfruttamento degli animali; sostenendo la loro campagna, visitando il sito DentroFarmacologia, firmando la petizione  e acquistando il libro autoprodotto “Fermare Green Hill”, che racconta la campagna contro l’allevamento di beagle di Montichiari e la storia degli attivisti che l’hanno pensata, costruita e resa possibile.

 

 

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