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L’Istituto Tecnico Economico (ITES) Olivetti mi accoglie con un fiume di note rock. “Abbiamo anche una band della scuola”, mi dice la preside Patrizia Colella sorridendo. “Avevo intuito”.
Patrizia e Antonella, la vicepreside, sono venute a prendermi alla stazione di Lecce e mi hanno accompagnato al bed and breakfast ad appoggiare lo zaino; poi ci siamo diretti verso la scuola. In macchina la Preside mi racconta il motivo per cui mi ha invitato a parlare: “Vogliamo fare un ciclo di incontri rivolti ai ragazzi dell’istituto sui 17 temi dell’agenda 2030 delle Nazioni Unite per un mondo migliore. E oggi apriamo proprio con te. Il 17 marzo 2017, alle 17” – per inciso, alla fine abbiamo iniziato alle 17:17 dando ancora più forza alla simbologia numerica voluta dalla Preside.
“Dopo l’incontro di oggi con te e Virginia Meo (animatrice della Rete di Economia Solidale della Puglia e di Ressud, che parlerà assieme a me nel pomeriggio ndr) ne abbiamo previsti altri sei su vari argomenti – continua Patrizia Colella – fra cui uno sull’economia circolare, uno sulla finanza etica, uno sullo spreco alimentare, uno sul ritorno alla terra”.
“E ai ragazzi interessano questi argomenti?”, chiedo.
“Non so, vorrei che si interessassero di più, alla fine si tratta del loro futuro, l’unico futuro possibile. Però sono giovani e a tante cose magari non ci pensano, ma chissà magari qualcosa gli rimane di tutto questo.”
Dopo pochi minuti di conversazione ho già intuito che la scuola superiore dove trascorrerò il pomeriggio non è una scuola come le altre. Lo leggo nell’orgoglio con cui Patrizia e Antonella ne parlano, dalla cura con cui mi spiegano ogni dettaglio.
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Ne divento quasi certo quando lungo il vialetto d’ingresso dell’istituto Patrizia mi mostra le rose appena potate e già germogliate del giardino spiegandomi che “le cura un ragazzo che fa parte di un programma di reinserimento dal carcere, perché sai la scuola superiore nel carcere di Lecce è gestita da noi””. E ancor più quando pochi passi più avanti Antonella mi racconta che la scuola ha installato anche un ecocompattatore, in cui i ragazzi ma anche tanti cittadini portano le bottiglie di plastica e ricevono in cambio dei buoni da spendere in vari locali di Lecce. “I ragazzi del corso di informatica hanno anche progettato un’applicazione che geolocalizza tutti i negozi che accettano i buoni!”
Ma ne ho la conferma definitiva non appena metto piede nella scuola e vengo travolto da un fiume di note – vorrei aver fatto caso con maggiore precisione alla canzone che stavano suonando per descrivere con più cura quell’attimo, ma a occhio potevano essere gli Smiths o i Jefferson Airplane. Ad ogni modo dei ragazzi e delle ragazze stanno suonando al centro di un palco posto ad un livello più basso rispetto al resto dell’edificio, circondato da delle gradinate in legno. Sono persino molto bravi, hanno chitarre, bassi, batterie. “Stanno facendo le prove per stasera, hanno una serata alle Manifatture Knos”.
Appena ci vedono entrare salutano calorosamente: “Ciao prof”. C’è un clima molto informale e di affetto sincero fra insegnanti e alunni, che si abbracciano e si baciano sulle guance per salutarsi, parlano del più e del meno, scherzano. Clima che vedrò confermato anche durante la conferenza mia e di Virginia Meo, con le ragazze e i ragazzi fin troppo attenti se si considera che quasi tutti vengono da fuori Lecce, sono in piedi dalle sette di mattina e hanno già affrontato una giornata di lezioni (e io che ho sempre trincerato il mio fancazzismo giovanile dietro ad un facile “Da ragazzo queste cose non ti interessano!”).
Dopo avermi offerto delle zeppole, Antonella mi porta a visitare la palestra, “il fiore all’occhiello della scuola”. È uno spazio molto vasto, con campo da pallavolo, attrezzi ginnici professionali, cyclette, tapis roulant, spalliere: niente da invidiare ad una moderna palestra da 100 euro al mese di abbonamento. La mattina è la palestra della scuola ma nel pomeriggio diventa una palestra sociale aperta al quartiere. Infatti sono quasi le cinque e varie signore si stanno allenando seguite da un istruttore.
Percorrendo il corridoio che ci riporta verso le aule noto che le finestre affacciano su un bel cortile dipinto con dei murales molto suggestivi. “Li hanno fatti i ragazzi durante il mese dell’arte”, mi spiega. “E poi ogni tanto gli facciamo anche pitturare le aule, in modo che poi ci pensano due volte prima di scrivere cose al muro. È molto responsabilizzante”. In effetti le aule sono perfettamente pulite e dipinte fino a metà altezza di un bel color lilla.
Nelle ore successive, come se non bastassero l’ecocompattatore di bottiglie di plastica, la classe nel carcere, il mese dell’arte e la band della scuola, scopro un’infinità di progetti e iniziative incredibili che la scuola ha organizzato negli ultimi anni. Vi faccio qualche esempio: il settore informatico dell’istituto, assieme al settore ottici di un altro istituto della Città (il Professionale Scarambone – del quale Patrizia ha la reggenza per questo anno) ha lanciato un progetto di recupero, classificazione e mappatura di occhiali usati in collaborazione con i Lions: l’obiettivo ambizioso è di rimetterli in circolazione a disposizione delle Ong che ne facciano richiesta.
Quest’anno la scuola partecipa anche al progetto nazionale Open Coesione nell’ambito degli open data: i ragazzi hanno scelto un’opera pubblica della zona (nel caso specifico la ristrutturazione del Teatro Apollo) e hanno controllato la gara d’appalto, il budget e il progetto per scovare eventuali inefficienze o irregolarità. “È un modo per i ragazzi – mi spiega la preside – di allenarsi alla cittadinanza attiva”.
E poi ancora, ha indetto un concorso di fotografie, poesie e racconti chiamato “Obiettivo inclusione” per favorire l’inclusione sociale e l’integrazione di culture diverse attraverso l’arte. E per finire i ragazzi e ragazze del settore informatico vanno nelle scuole elementari e medie vicine a fare coding e insegnare ai bambini a usare i linguaggi di programmazione.
E chissà, magari anche altre cose che la preside e gli insegnanti non mi hanno detto. Alcuni di queste iniziative sono inserite in progetti nazionali come Open Coesione, oppure come l’alternanza scuola-lavoro di cui fanno parte sia il ciclo di conferenze che iniziato col mio intervento, sia il progetto degli occhiali. Altri invece sono affidati alla sola buona volontà e intraprendenza di preside e insegnanti.
Rimango impressionato dalla mole e dalla qualità del lavoro svolto e quando lo faccio presente a Patrizia mi dice che “sì, lavoriamo molto, ma è un lavoro ricco di soddisfazioni. Lo facciamo per la gloria, perché ci crediamo, perché ci teniamo ai ragazzi e al loro futuro. Di certo o per ragioni economiche!” e qui sorride un po’ amaro, lasciando intendere che la scuola pubblica non ha nessun criterio qualitativo per premiare anche economicamente la passione e la progettualità dei propri docenti. Poi aggiunge: “per venti anni questa scuola è stata gestita da un grande preside, ha fatto tantissimo per questa scuola. Io faccio del mio meglio per esserne una degna erede”.
La sera Patrizia, Virginia e altre insegnanti mi invitano a cena in una tipica trattoria leccese, dove ho modo di sperimentare tante delizie locali, dalle sagne ‘ncannulate ai pezzetti al sugo, alle fave e cicorie, ai turcinieddhi. Facciamo anche una passeggiata notturna per Lecce, così viva e splendente col suo barocco sgretolato dal vento e dalle piante di capperi che affondano le radici nel tufo friabile. Mi sento in pace, sazio. Non solo di cibo, ma di storie, passioni, esperienze. Prima di salutarci Virginia mi regala una puccia, pane tipico salentino, fatta dal suo amico Giovanni Giancane, un produttore appartenente alla rete di Genuino Clandestino. Ridendo mi fa: “poi mi dici qual è più buona fra questa e il pane del panettiere siciliano”, con riferimento alla storia di Maurizio Spinello che ho raccontato ai ragazzi nel pomeriggio.
Adesso, mentre scrivo, sono sul treno che mi riporta a Roma, con la notte fuori dal finestrino che facilita le riflessioni. Esperienze come questa mi fanno rendere conto di quanto alla fine, al di là degli approcci educativi e dei modelli pedagogici, la differenza fondamentale la fanno le persone, la loro passione, le loro competenze. Quello che Patrizia e gli altri insegnanti sono riusciti a fare i una scuola pubblica cosiddetta “tradizionale” ha dell’incredibile; è quasi commovente. E come loro ci sono migliaia di bravi maestri, ottime professoresse, educatori ed educatrici che ogni giorno con pochi spiccioli di budget fanno miracoli per crescere giovani appassionati, interessati e capaci di ragionare con la propria testa. Così come ci sono altrettanti insegnanti, maestri, educatori incompetenti, cialtroni, superficiali e privi di passione per quello che fanno.
E tutto ciò fa paura. Il fatto che siano le persone a fare la differenza ci terrorizza in un mondo in cui tutto è replicabile in maniera identica, in cui vorremmo fare “copia e incolla” dei progetti che funzionano per diffonderli ovunque. Non è facile ammettere che non esiste una formula magica per cambiare il mondo, che nella ricetta di ogni progetto c’è sempre un ingrediente segreto, una variabile impazzita rappresentata dall’essere umano e dalle sua innata eterogeneità. L’ITES Olivetti di Lecce in mano a persone diverse sarebbe un istituto professionale anonimo; nelle mani di Patrizia, Antonella e gli altri è un gioiello raro.
Dunque rassegnamoci, le persone fanno tutta la differenza del mondo, non se ne può prescindere. Ed è una fortuna. Una delle più grosse problematiche della società contemporanea è proprio quella di illudersi di poter replicare esperienze identiche in luoghi diversi, uniformare le differenze, standardizzare, imporre le monocolture sugli ecosistemi, diffondere una cultura monolitica su di un mondo variopinto. Se ci annoveriamo fra la schiera di quelli che cercano di cambiare le cose, è necessario che usciamo a piè pari da questa logica che ci ha condotti fin qui e rimettiamo al centro l’essere umano, le relazioni, la diversità. Non ho più dubbi su questo.
Piuttosto è un altro dubbio, molto più assillante, che non mi da tregua in questo momento. Un dubbio che proprio non riesco a sciogliere: non so davvero dire se sia più buono il pane di Maurizio Spinello o la puccia di Virginia che ho appena assaggiato. É uno scontro fra titani. Ci rinuncio, per me è un pareggio.
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