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Roma - Mettiamo insieme, all’interno della stessa città, una superficie verde fra le più estese a livello europeo e con una forte vocazione agricola. Aggiungiamoci una storica subalternità della politica agli interessi delle lobby del cemento e un rinnovato senso dell’ecologia e dell’ambiente. Mischiamo sapientemente gli ingredienti, come solo l’associazionismo dal basso sa fare, e otteniamo la ricetta per uno dei fenomeni sociali più interessanti che ha attraversato la città di Roma negli ultimi anni. Stiamo parlando del fenomeno degli Orti e Giardini condivisi realizzati in ambiente urbano.
Gli orti a Roma, quelli caratterizzati da una forte componente sociale ed ecologista, nascono sul finire del primo decennio degli anni 2000 e si sviluppano, in modo virale, fino a diventare oltre 200 realtà attivamente partecipate da qualche decina di migliaia di individui.
Una esperienza pioneristica e visionaria sulla quale in pochi, all’inizio, hanno avuto il coraggio di scommettere. La molla che ha fatto sviluppare i primi progetti è stata, probabilmente, la necessità di recuperare per un uso ecologico e sostenibile pezzi importati del territorio cittadino che versavano in condizioni di abbandono e degrado. Ma gli effetti secondari di questi progetti sono stati sicuramente superiori alle aspettative, non solo sul piano ambientale, ma anche su quello del superamento del disagio urbano e della coesione sociale.
L’amministrazione capitolina è da sempre fortemente carente nella gestione del verde pubblico. Per fare qualche esempio di confronto, a Roma sono previsti appena 0,25 addetti per ogni ettaro di verde pubblico gestito, a Parigi più di sei volte tanto (1,55); a Roma vengono destinati solo 1,22 € per ogni metro quadrato di verde pubblico gestito, a Parigi 5,071.
Già da queste poche indicazioni emerge un quadro estremamente critico sullo stato di uso e conservazione del verde a Roma. È infatti necessario capire qual è la quota parte, dei circa 35 milioni di metri quadrati di verde, effettivamente fruibile dagli abitanti di questa città. Nel computo del verde vengono considerate anche le aree a ridosso delle grandi arterie ad alto scorrimento. Tuttavia, nessuno si sognerebbe di portare i propri figli a giocare sui prati lungo il Grande Raccordo Anulare.
Questo è solo un primo problema che attiene alla fruibilità effettiva. Ma è soprattutto necessario capire quanta parte di questo patrimonio verde versa in condizioni di degrado e abbandono. Uno stato, questo, particolarmente caro alle lobby del ferro e del cemento che puntano proprio su quelle aree per sviluppare i loro progetti speculativi. Infatti, così come è molto semplice destinare all’edilizia uno spazio degradato, sporco, inospitale e che mette a rischio la sicurezza stessa degli abitanti della zona, è allo stesso tempo difficile da trasformare in cemento un’area curata e vissuta dalla collettività come bene comune da difendere e gestire.
Per questo motivo, una delle motivazioni più importanti che ha attivato i primi progetti di orti urbani è riconducibile alla necessità di recuperare e proteggere gli spazi verdi a rischio speculativo e di contrastare il consumo di suolo. Ma ognuno dei numerosi progetti di orti urbani presenta una propria particolarità spesso riconducibile ad uno stato di disagio sociale: oltre a quello associato al degrado del territorio, la necessità di recuperare una dimensione collettiva a seguito della perdita del posto di lavoro (come nel caso del progetto Eutorto); la voglia di superare l’isolamento tipico delle metropoli che investe le fasce sociali marginali per reddito o per età (disoccupati, pensionati); la necessità di inserire nei progetti formativi scolastici il recupero di un rapporto più diretto con la terra (orto-didattica); la possibilità di sviluppare percorsi di recupero delle disabilità (orto-terapia); o, come nel caso del progetto SIDIGMED, che è stato finanziato da programmi europei, sul tema dell’inclusione sociale.
Nasce da questi presupposti il movimento ecologista degli orti urbani di Roma. Un movimento spontaneo e “anarchico” non per scelta ideologica, ma per l’impossibilità di essere circoscritto in un determinato ambito politico o semplicemente ricondotto a motivazioni definite. Un’esperienza che ha visto fiorire (è il caso di dirlo) associazioni, comitati o semplici gruppi di cittadini auto-organizzati che, senza clamore, ma con impegno e determinazione, stanno sviluppando un modello comunitario nuovo, in grado di attivare un percorso di vera rigenerazione urbana e di cura dei beni comuni.
Ma coltivare ortaggi in città non è così semplice come può sembrare. La necessità di costituire un’associazione, l’individuazione di un’area pubblica libera da vincoli urbanistici, i problemi connessi alla qualità del terreno e all’approvvigionamento idrico, il rapporto con le istituzioni e la gestione dei rapporti interni (alla associazione stessa) e esterni (con il quartiere). Queste problematiche sono risultate così importanti ai fini dello sviluppo degli orti urbani che è stato realizzato un progetto europeo chiamato Gardeniser (crasi di “garden” ossia orto/giardino e “organizer” – organizzatore) finalizzato alla formazione di figure professionali con il ruolo di “facilitatori” dei progetti ortisti. Per l’Italia, questa attività formativa è stata seguita dal Cemea.
Nel frattempo, però, a livello romano, tutte queste criticità hanno suggerito di affrontare le difficoltà in maniera collettiva organizzando una rete di orti cittadina. Ortincomune, la rete degli orti e giardini condivisi di Roma, è l’espressione di questa volontà. È partecipata da alcune fra le principali realtà ortiste romane e si è da subito posta l’obiettivo di creare delle linee-guida di riferimento che consentissero agli orti urbani da un lato di emergere da una dimensione di semi-legalità; dall’altro di acquisire strumenti idonei a superare le difficoltà operative e favorirne lo sviluppo.
Quel documento, frutto di una lunga e complessa elaborazione condivisa fra le principali realtà ortiste di Roma, sta alla base della Delibera 38 di luglio 2015, che regola, appunto, la gestione delle aree verdi da destinare alla attività degli orti e giardini condivisi a Roma. Lo stesso percorso che ha portato alla sua approvazione presenta elementi di interessante originalità. Infatti, un fenomeno come quello degli orti, caratterizzato da un forte spontaneismo e dalla presenza di componenti sociali molto eterogenee, non poteva essere regolato da strumenti normativi calati dall’alto. Per questo si è scelto di seguire un percorso partecipato e condiviso, dapprima fra le realtà maggiormente impegnate e rappresentative e, successivamente, con le istituzioni coinvolte nel processo deliberativo.
La delibera 38 rappresenta un’importante conquista e un riconoscimento del fenomeno degli orti urbani. Offre importanti opportunità di sviluppo della pratica degli orti in città, ma presenta, allo stesso tempo, alcune criticità che potrebbero ridurre la portata di questo strumento. Una su tutte, l’assenza di una garanzia di accesso a fonti idriche da parte delle istituzioni comunali. Una contraddizione che, in alcuni casi, rappresenta un limite invalicabile. Tuttavia, ad un anno e mezzo dalla sua approvazione la Delibera 38 non è stata ancora di fatto applicata, fatta eccezione per i tre casi relativi ai progetti SIDIGMED già citati.
Per questo la rete cittadina Ortincomune ha cercato da tempo una interlocuzione con la Giunta Raggi, anche in considerazione delle numerose aperture che la sindaca aveva fatto, già in campagna elettorale, sul tema della gestione del verde e degli orti urbani.
Il 10 marzo scorso si è riunita la Commissione Ambiente di Roma Capitale con lo scopo di analizzare le problematiche sollevate dalla rete degli orti romani. Era presente una nutrita rappresentanza di Ortincomune, diversi assessori all’ambiente di vari Municipi e alcuni consiglieri di giunta, oltre al dott. Diaco presidente della Commissione, alla dottoressa Marzi responsabile dell’Ufficio Orti Urbani di Roma Capitale e rappresentanti del Servizio Giardini.
L’intendimento di dare corso a una immediata applicazione della Delibera 38 è stato suggerito dallo stesso presidente della Commissione Ambiente che, data l’urgenza, ha proposto di scorporare il tema degli orti urbani da quello più generale della gestione del verde, già in discussione all’interno del Servizio Giardini. La rete degli orti ha manifestato la volontà di partecipare da subito ai lavori di un eventuale Regolamento del Verde a Roma.
In generale, i presupposti di partenza sembrano sufficientemente incoraggianti. Ovviamente gli ortisti romani rimangono in attesa delle azioni concrete che seguiranno agli intendimenti condivisi. L’obiettivo di questo sforzo teso alla ricerca di un rapporto con le istituzioni non nasce dal semplice desiderio di “normalizzare” il fenomeno degli orti in città, ma dalla necessità di dare un ulteriore impulso a quel movimento che sta disegnando una nuova mappa dell’ambientalismo. Un movimento nel quale l’impegno ecologista e quello sociale concorrono a formare comunità resilienti, in contesti urbani a volte estremamente ostili.
Gli orti urbani non definiscono un “gioco a somma zero”, esistono di fatto dei beneficiari, ma gli ortisti, impegnati nella realizzazione dei progetti di orti urbani e nella cura e gestione degli aree assegnate, occupano forse gli ultimi posti di questa catena di impatti positivi. I veri beneficiari sono l’ambiente, i beni comuni, la collettività e, non ultima, anche l’amministrazione capitolina.
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