Giangilberto Monti: Dario Fo, il cantautorato francese, il teatro, la scrittura e tanto altro Meme #4
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Torino - TORINO – La primavera si avvicine e il Sole inizia a scaldarci con insistenza. Ci ritroviamo presso lo studio di registrazione Freakone, ed è un piacere incontrare Giangilberto Monti. Difficile dargli un’etichetta. Così, dopo un buon caffè, facciamo che chiederlo direttamente a lui.
Giangilberto, innanzitutto grazie di aver accettato il nostro invito per questa intervista. Solitamente, prima di iniziarla ufficialmente premendo il tasto REC sulla videocamera, chiediamo all’intervistato cosa mettere nel cosiddetto sottopancia del video. Dovremmo definirti in una parola. Artista, cantante, teatrante, comico, musicista o canzoniere. Quale parola reputi più adatta? Data la tua esperienza, pare difficile farlo.
Io ho iniziato la mia carriera come cantautore. Studiando teatro e cabaret ho scoperto che la mia dimensione era più da cantante-interprete. Dato che, però, scrivevo canzoni e continuo a scriverle, la parola chansonier, che è un termine francese – anche un po’ desueto – credo sia la definizione più adatta. Dopodiché ho iniziato anche a scrivere libri, adesso mi definisco chansonier scrittore. Però non sono un cabarettista e neanche un comico.
Hai collaborato con artisti di altissimo calibro, nel mondo musicale. Ti vorremmo chiedere due nomi. O anche solo uno, se coincidente. Ci puoi dire chi ti ha più colpito dal punto di vista umano e chi dal punto di vista artistico?
Ho avuto tanti incontri, anche abbastanza curiosi e anomali, che non hanno abbracciato solo il mondo della musica. Parlando di musica, però, mi vengono subito in mente due nomi: la prima è Anna Oxa. È stata, e lo è ancora, una grande cantante. Mi sono molto divertito con lei. Andavo in giro a fare concerti, ero l’ospite del suo spettacolo musicale. E cantavamo in duetto la canzone che avevamo inciso nel mio disco “Guardie e ladri”.
La cosa divertente era tutto il circo che c’era attorno, questa enorme massa di persone, che la seguiva fino alla serata finale. Era un mondo pop ed era molto divertente viverlo. Lei, sulla scena, era veramente brava.
Il secondo – forse il più assurdo – è stato l’incontro con il Banco del Mutuo Soccorso e Francesco Di Giacomo. Andavo a Roma ed ero ospite a casa sua. La cosa divertente era tutto il mondo che ruotava attorno Francesco Di Giacomo: il rock progressivo, i fonici, gli impresari, un mondo che aveva alle spalle un’enorme barcata di denaro. Era esattamente identico all’altro, solo che erano vestiti in modo completamente diverso e parlavano in un modo completamente diverso. Due circhi diversi con lo stesso risultato. Dal parrucchiere al poeta del Banco, era un mondo folle ma particolarmente interessante. È stata per me un’educazione particolare, sentimentale e umana. Adesso la mia sensazione è che sia tutto un po’ più finto, penso che mi divertirei molto meno.
Leggi l’intervista completa su Italia che cambia.
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