Il successo delle Social Street in tre parole: socialità, gratuità e inclusione
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La prima Social Street è nata a Bologna tre anni e mezzo fa e l’idea che ne sta alla base è così semplice, rivoluzionaria e facile da replicare che se ne contano già oltre 450 in tutto il mondo. Il principio fondamentale delle Social Street è la socialità fine a se stessa: gratuita, libera e spontanea. La socialità “di una volta”, quella di cinquant’anni fa quando nelle case non c’era la televisione e i vicini si conoscevano tutti, si scambiavano favori, si aiutavano l’un l’altro e alla sera scendevano in strada per chiacchierare.
Le Social Street si ispirano a questa tipologia di buon vicinato ed esistono solo in assenza di secondi fini: non prevedono la fondazione di associazioni, il pagamento di quote annuali, la creazione di siti o piatteforme dedicate. Il tutto parte dall’apertura di una pagina o di un gruppo su Facebook. A costo zero.
La prima Social Street al mondo, lo ricordiamo, è stata quella di Via Fondazza a Bologna, in centro storico. Nata nel settembre 2013 da un’idea di Federico Bastiani, ha dato origine ad un fenomeno che in pochi anni si è diffuso dall’Italia in tutto il mondo (anche in Nuova Zelanda e Brasile). Federico era residente in Via Fondazza da alcuni anni quando si è reso conto di non conoscere affatto i suoi vicini di casa e che, nel migliore dei casi, il contatto non andava oltre il “buongiorno”. Perciò ha creato il gruppo Facebook “Residenti in via Fondazza-Bologna”, ha stampato dei volantini, li ha affissi sotto i portici della via ed ha invitato tutti i “fondazziani” ad iscriversi. Nel giro di un paio di mesi gli iscritti erano già duecento e a novembre 2013, in occasione del suo compleanno, Federico ha invitato tutti i “fondazziani” a scendere in strada e festeggiare allo scopo di conoscersi di persona.
Ciò che accade nella Social Street è quasi “paradossale”: un social network concepito per mantenere i contatti con persone familiari a noi ma fisicamente lontane, serve a far socializzare persone fisicamente vicine ma totalmente estranee fra loro. La rete viene utilizzata per attivare il primo contatto tra vicini di casa, ma l’incontro si svolge sempre nella vita reale. L’iscrizione ad una pagina o ad un gruppo, quindi, è solo il primo passo che porta a spegnere pc e tv, scendere in strada e dare vita a legami di vicinato concreti, nei quali è possibile condividere problemi e soluzioni, scambiarsi informazioni e conoscenze, organizzare attività e progetti comuni. Il tutto senza denaro, perché nelle Social Street il concetto che le cose siano possibili solo se ci sono soldi viene superato e tutto – dall’aperitivo al compleanno in strada, dalla pulizia di una panchina alla cura di un’aiuola abbandonata – si fa su base volontaria e senza muovere un euro.
“I principi fondamentali su cui si basa il progetto Social Street”, ci spiega Luigi Nardacchione, coordinatore della prima Social Street al mondo, quella di Via Fondazza a Bologna, “sono tre: socialità, gratuità e inclusione. Questo progetto rappresenta la voglia di socializzare a costo zero, con chiunque e ovunque. Per creare o aderire ad una Social Street non c’è bisogno di nulla (soldi, autorizzazioni, convenzioni, permessi, ecc.): se hai voglia di dare vita a rapporti di buon vicinato, scendi in strada e lo fai. Chiunque creda nel progetto e si riconosca nei tre principi fondamentali delle Social Street può usare nome e logo. Il logo è stato disegnato da una ragazza residente in Via Fondazza che fa la grafica, ma né il nome né il logo sono registrati”.
“Abbiamo scelto di non registrare nulla e di non realizzare sovrastrutture per sottolineare il fatto che la socialità, per esistere, non ha bisogno di niente. Per spegnere pc e tv, uscire di casa e parlare coi vicini non servono statuti, risorse, sedi istituzionali e consigli direttivi. Per questo abbiamo deciso di realizzare solo il sito “ufficiale” con le informazioni dettagliate sul progetto e l’elenco aggiornato delle comunità – e la pagina Fb “Social Street International” con le notizie dalle varie Social Street.
Io e Federico ci limitiamo a filtrare eventuali post offensivi o commerciali per ricordare a tutti e in ogni momento qual è lo scopo primario di una Social Street: generare un autentico senso di comunità. Ad oggi abbiamo censito circa 450 Social Street, di cui 300 in Italia – le più numerose si concentrano a Milano (70 Social Street) e Bologna (40) – ma questi numeri, pur importanti a livello statistico, sono puramente indicativi. Da una parte, infatti, ci possono essere tante Social Street già attive di cui ignoriamo l’esistenza e dall’altra ci sono comunità che hanno poche decine di partecipanti e altre che ne hanno migliaia. Ciò che conta davvero per noi è il numero di singoli cittadini che decidono di riallacciare rapporti di buon vicinato e tornare ad avere fiducia nel prossimo”.
“L’altro principio imprescindibile è la gratuità: le Social Street sono totalmente indipendenti e non accettano risorse e mezzi da nessuno. Gli iscritti sono ormai decine e decine di migliaia solo il Italia e “fanno gola” sia a partiti politici sia a sponsor di ogni tipo, ma – lo ribadisco – non vogliamo e non abbiamo bisogno di legarci a niente e nessuno per esistere e funzionare. Riteniamo che il dialogo con le amministrazioni locali sia importante, ma ognuno deve perseguire i propri obiettivi. Vorrei ricordare, inoltre, che le Social Street non sono nate nemmeno per gestire i beni comuni, ma per rendere migliore il luogo in cui ognuno di noi vive”, sottolinea Luigi.
“Le Social Street, infine, promuovono l’inclusione sociale. Nella Social Street si smette di ragionare per categorie separate (famiglie, studenti, immigrati, giovani, anziani) e ci si sente parte di una sola comunità, per quanto piccola possa essere. Se, ad esempio, ho un elettrodomestico che non uso più, chiedo ai vicini se serve a loro invece di pagare commissioni online. Se vado dal fornaio o in farmacia, prendo il pane e le medicine anche per l’anziano che abita all’ultimo piano. In questo modo, la qualità della vita migliora per tutti. Chiunque creda e applichi questi tre principi”, spiega Luigi, “è libero, se vuole, di usare il nome e il logo, scendere sotto casa e dare vita ad una nuova Social Street”.
“A volte è capitato, anche se si tratta di casi isolati – che una Social Street diventasse “altro” rispetto ai tre principi fondamentali, ma alla fine si è dissolta in modo altrettanto spontaneo di quando era sorta. Non dobbiamo dimenticare”, conclude Luigi, “che ci vuole tempo perché le persone si fidino di nuovo dei loro vicini e perché riviva una socialità che negli ultimi cinquant’anni è andata completamente distrutta. Il ritorno al senso di comunità e al buon vicinato è un processo lento che si realizza a lungo termine e che è in continuo divenire. La vera sfida è uscire dallo schema mentale precostituito che ci fa credere che tutto abbia un prezzo. In realtà, ognuno di noi ha due opzioni: lamentarsi ad oltranza o chiedersi cosa può fare per trasformare le cose. E l’esperienza delle Social Street dimostra che il cambiamento può iniziare anche sotto casa”.
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