Seguici su:
Incontro Giorgio Diritti in un pomeriggio di gennaio. Si siede nella sala comunale che ci ospita e mi chiede di spiegare il lavoro di Italia che Cambia. Lo faccio, un po’ preoccupato dalla possibilità di togliere spazio ad uno dei registi più significativi e rappresentativi di questo momento storico italiano e invece lui mi invita a continuare. Poi lo ascolto parlare del suo lavoro.
Ci spostiamo in un’altra sala dove, in occasione del premio Parole di Terra, proiettano un suo documentario, Piazzati. Il film racconta di quando i “nostri nonni”, allora bambini, venivano letteralmente “affittati”, nella vicina Francia, a possidenti agricoli. Il rimando al tema dell’immigrazione e ai tanti giudizi dei politici nostrani che si mostrano disgustati sulla presunta disumanità degli “extra-comunitari” e l’esaltazione delle italiche tradizioni è implicito e fortissimo.
La mattina dopo, finalmente, giunge il momento della nostra intervista. L’inquadratura, ovviamente, me la suggerisce lui e iniziamo a dialogare sul cinema, sulla terra, sul mondo che cambia. Gli chiedo di presentarsi, di spiegarmi chi è Giorgio Diritti.
Un uomo inciampato nella voglia di raccontare
“Giorgio Diritti – mi spiega – è un uomo inciampato nella voglia di raccontare; tra i tanti modi possibili ha ‘incontrato’ quello del cinema e qui ha potuto conoscere tante persone che riuscivano a raccontare delle storie”.
Il passo successivo è stato chiedersi cosa raccontare e la risposta è stata immediata: “Bisogna raccontare cose importanti per le persone e bisogna farlo con la volontà di essere specchio del mondo”. Ovviamente non possiamo non parlare del suo rapporto con il mondo contadino, protagonista di molte sue opere e contesto del suo successo più grande, “Il vento fa il suo giro”.
“Nell’ambito della mia attività, il mondo contadino ha sempre avuto una grande attenzione, così come il rapporto dell’uomo con la terra. In passato vigeva un equilibrio basato su un sistema sinergico rispettoso del territorio e al tempo stesso in grado di garantire il massimo rendimento per l’essere umano. Credo, quindi, che sia necessario riscoprire un rapporto ‘naturale’ con le cose e credo che lo stesso rapporto con la natura possa essere cultura”.
La cultura è l’unica rivoluzione possibile
“La tecnologia – continua Diritti – può semplificare il rapporto tra l’uomo e la natura rendendolo addirittura più rispettoso; questo anche perché gli strumenti che abbiamo sviluppato negli ultimi decenni permettono di coltivare con meno fatica. Ciò nondimeno, va ricordato che purtroppo il ‘ritorno economico’ prodotto da questo mestiere è tutt’oggi decisamente inadeguato.
Viviamo in un mondo paradossale. Oggi che teoricamente si potrebbe vivere dignitosamente come contadini, la nostra economia capitalistica ha imposto dei processi insani che snaturano il senso delle cose e rendono, di fatto,questo mestiere una missione quasi impossibile”.
Secondo Diritti, l’unica vera reazione per arginare questi meccanismi è quella culturale. Solo dei cittadini consapevoli, infatti, possono invertire questi processi economici favorendo un’economia a chilometro zero che rispetti la terra e i lavoratori garantendo anche la salute di chi acquista.
Parlando di cultura è inevitabile confrontarsi sulla scuola, sul cinema e sulla sua scuola di cinema. “Volevo fare il ‘mandillo della cultura’ – ci confida Diritti citando il ‘mandillo dei semi’ – creare cioè una situazione in cui i miei pensieri potessero essere condivisi con altri. Nella comunicazione main stream si è persa l’abitudine a raccontare, c’è una difficoltà ad analizzare, e i giovani non riescono a trasferire ciò che vogliono. La mia scuola si pone quindi l’obiettivo di aiutare le persone più giovani ad esprimersi”. Questo, per il regista bolognese non significa che il cinema non possa essere anche finalizzato al puro intrattenimento, ma la parte critica e di visione è per lui qualcosa di necessario e significativo.
La sua cinematografia, una trilogia inconsapevole?
Gli chiedo dei suoi tre film più noti, Il vento fa il suo giro, L’uomo che verrà e Un giorno devi andare. Mi sembra di cogliere una sorta di consequenzialità delle sue opere. “I miei tre film affrontano in qualche modo le stesse tematiche: la ricerca della comunità, del senso della vita e il tentativo di prevenire razzismi e discriminazioni. In tutto questo è imprescindibile l’aspetto della spiritualità”.
E cosa ti ha spinto a trattare questi temi, gli domando. “I film che volevo fare sono quelli che ho fatto; mi ha spinto la convinzione che queste tematiche fossero utili, importanti, una parte della vita delle persone imprescindibile. Credo che il pubblico ricerchi opere che affrontino questi argomenti. Ecco perché, nonostante tutto fosse ‘contro di noi’, sentivo che questi film avrebbero funzionato.
Il successo de Il vento fa il suo giro, un film che con le prime sette copie nei cinema ha incassato cinquecento mila euro, dimostra che è possibile avere un ritorno economico da un’opera senza sprecare denaro in ‘copie’ e pubblicità. Conferma, inoltre, che c’è interesse per certe storie. Il mio invito ai giovani è quindi sempre lo stesso: cercate di trovare una strada. Non fermatevi neanche quando tutti vi dicono che la vostra storia non interessa nessuno. Se io avessi ascoltato quelle voci non avrei fatto nulla in questi anni”.
Prima di salutarlo, gli chiedo del silenzio che in qualche modo è co-protagonista di molte delle sue opere. “Il silenzio è molto importante – mi risponde – in una società in perenne movimento e perenne rumore, infatti, ritrovare il silenzio significa ritrovare il momento del pensiero. Solo in questo modo la vita non si consuma ma si partecipa”.
Guarda anche il video della due giorni del premio Parole di Terra e del Mandillo dei Semi
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento