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Come ben noto, l’11 marzo 2011 a Naraha, cittadina giapponese che si trova nella prefettura di Fukushima, il terremoto e maremoto del Tōhoku ha causato quattro esplosioni alla centrale nucleare di Fukushima. I danni sono stati ingenti e la situazione non accenna a migliorare. Anzi, si è aggravata.
La Tokyo Electric Power (Tepco), la società che gestisce l’impianto, ha rilevato nel reattore numero due della centrale un livello così alto di contaminazione radioattiva da rendere difficile, se non impossibile, qualsiasi tentativo di salvataggio dell’area. E neppure i robot studiati per raggiungere il cuore del reattore in questione riescono a resistere alle radiazioni. Il 9 febbraio 2017 per la prima volta è stata infatti calata una macchina nel reattore due per realizzare un’analisi della situazione, ma è stata rimossa prima che terminasse il lavoro a causa dei danni riportati dalla videocamera.
Nel cuore del reattore più danneggiato dal disastro sono stati registrati livelli di radioattività altissimi: cinquecentotrenta Sievert per ora, a fronte dei settantadue sievert registrati nel 2012. Per dare un’idea della situazione più chiara, un sievert è sufficiente a causare malattie, mentre cinque sievert potrebbero uccidere le persone che vi si espongono per un mese. Si tratta di rilevazioni fatte nella zona più danneggiata dalla centrale ma è ovvio che anche per quanto riguarda le zone circostanti la situazione è drammatica.
Prima di cedere, la videocamera installata ha filmato un buco di circa due metri di diametro e tracce di materia nera solida, probabilmente combustibile ormai esausto, alla base della struttura.
Questo dispositivo avrebbe dovuto spianare la strada ad una seconda “truppa robotica di decontaminazione” chiamata “Scorpion”, che avrebbe dovuto valutare in maniera più esaustiva i danni alla struttura, la contaminazione, le temperature e il combustibile. Solo che i robot sono progettati per una esposizione cumulativa di solo mille Sievert e ciò rende limitata l’operatività delle macchine nei reattori contaminati; ecco dunque spiegato il rientro anticipato del robot, per non perdere il materiale raccolto. Finora, proprio a causa delle forti radiazioni, tutti i robot inviati alla ricerca delle barre di uranio si erano rotti prima di riuscire a dare qualche risposta.
I tempi dunque si allungano: Tepco prevede che i lavori di bonifica delle scorie non cominceranno prima del 2021 per concludersi dopo almeno 40-50 anni e i costi lievitano, fino alla cifra di 170 miliardi di euro. «Avere un’idea della situazione all’interno dei reattori — ha detto il ministro dell’Economia Hiroshige Seko — è un primo passo nella giusta direzione. Metteremo a disposizione di questa impresa tutte le risorse umane, scientifiche e tecnologiche a disposizione». Nonostante la buona volontà insita in queste parole, appare chiaro che il danno ambientale e umano alla quale stiamo assistendo sfugge a qualsiasi calcolo razionale.
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