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Qualcuno vota SÌ perché “almeno Renzi ci prova a cambiare le cose”.
Qualcun altro vota SÌ perché sennò finiamo nelle mani di Grillo, Salvini e la Meloni.
Qualcuno vota SÌ perché lo dice il Financial Times.
Qualcuno vota SÌ perché ce lo chiede l’Europa.
Qualcuno vota SÌ perché è contrario alla Brexit e odia Donald Trump.
Qualcuno vota SÌ perché è stato partigiano.
Qualcuno vota SÌ perché se vince il NO torniamo indietro di trent’anni.
Qualcuno vota SÌ perché è sempre stato di sinistra.
Qualcuno infine vota SÌ perché Renzi non è il massimo, ma sempre meglio degli altri.
Qualcuno vota NO perché meglio chiunque altro rispetto a Renzi.
Qualcuno vota NO perché anche lui è sempre stato di sinistra. Anzi, più di sinistra.
Qualcuno vota NO perché i toscani gli stanno sulle palle perché non pronunciano la “C”
Qualcuno vota NO perché è stato partigiano. Più partigiano.
Qualcuno vota NO perché la costituzione è sacra, anche se non la conosce.
Qualcuno vota NO perché è convinto che Chinaglia non può passare al Frosinone.
Qualcuno vota NO perché se vince il SÌ Renzi diventerà dittatore del mondo insieme a Donald Trump e Ivan Drago.
Mi fermo ma potrei continuare per ore. In questa folle campagna referendaria ne abbiamo sentite di tutti i colori e devo ammettere che io stesso ho penato e non poco per racimolare quel po’ di informazioni necessarie a farmi un’idea consistente¹. E se ho fatto fatica io, che di mestiere faccio il giornalista e mastico informazioni tutti i giorni, posso immaginare la maggior parte della popolazione.
Diciamoci la verità: la maggior parte di noi, me compreso, aveva già chiaro in mente cosa votare ben prima di andarsi ad approfondire il merito della riforma (sempre che poi lo abbia fatto). E sapete perché? Per motivi di tifo. Ti piace Renzi? Voterai Sì. Odi Renzi? Voterai No. Con tutte le sfumature del caso, ovviamente. Poi, sulla base di questa “sensazione” iniziale, se siamo particolarmente bravi e volenterosi, andremo a costruire (o meglio a giustificare) la nostra scelta già in essere con le doverose argomentazioni.
Questa democrazia non è democratica
Dunque il verdetto è inequivocabile: il referendum costituzionale non è democratico. Anzi è antidemocratico. E non è colpa di Renzi, di Grillo, di Berlusconi o di Donald Trump. È proprio per via del referendum in sé.
Può sembrare un paradosso ma è così. Lo strumento considerato l’emblema della democrazia spesso non è per niente democratico. Riflettiamoci: che valore ha un voto disinformato e dettato dalla pancia se dobbiamo decidere su una questione piuttosto tecnica come la riforma della carta costituzionale? Nessuno. Più le questioni sono complesse, più lo strumento del referendum perde di significato. E il problema è che siamo circondati da un bel po’ di questioni complesse da risolvere, al momento.
La prima risposta che tendiamo a darci di fronte a queste considerazioni tira in ballo l’apatia dei cittadini, l’avanzare dell’antipolitica e la mancanza di interesse per tutto ciò che è collettivo. In realtà, come spiega David van Reybrouck nel suo (consigliatissimo) saggio Contro le elezioni: Perché votare non è più democratico, “Gli studi mostrano, al contrario, che l’attenzione per la politica è cresciuta: le persone affrontano l’argomento più spesso che in passato con i loro amici, familiari o con i colleghi.” Piuttosto viviamo in “un’epoca in cui l’interesse per la politica aumenta mentre la fiducia nel mondo politico diminuisce”.
Uno dei problemi maggiori quando parliamo di politica è che non abbiamo accesso ad informazioni buone e oggettive. Ogni informazione porta con sé un determinato tasso di strumentalizzazione che immediatamente la rende faziosa. Quindi il problema sono i giornalisti? Solo in parte: la struttura del sistema informativo (italiano ma per buona parte mondiale) è il risultato quasi inevitabile di questo sistema sociale e rispecchia i meccanismi di appartenenza tipici della nostra società. Piuttosto possiamo dire che un grosso problema è la nostra democrazia.
Già: la democrazia, per come la conosciamo, non è poi tanto democratica. Non funziona. E non perché, come si potrebbe pensare, è una democrazia rappresentativa. Ridurre la crisi della democrazia ad una crisi della sola democrazia rappresentativa ci porterebbe fuori strada e ci farebbe partorire soluzioni potenzialmente letali (tant’è che i tentativi fatti finora di democrazia diretta sono stati a dir poco fallimentari).
Dobbiamo andare ancora più a monte: quando venne introdotta questa forma di democrazia in Occidente sul finire del Settecento essa sicuramente apportava dei miglioramenti rispetto alle forme di governo precedenti. Il problema è che se da un lato negli ultimi duecento anni il mondo accademico ha progredito nell’elaborazione di modelli più evoluti ed efficienti, la pratica democratica è rimasta sostanzialmente invariata. Il risultato è che la nostra democrazia mette in luce quotidianamente i suoi enormi limiti, ma nessuno osa mettere in dubbio che sia il modello migliore possibile.
Come prendiamo le nostre decisioni?
Ma allora cosa abbiamo sbagliato? Fra le tante cose, una delle principali è stato il metodo che ci siamo dati per prendere le decisioni. Prendere le decisioni a maggioranza ci porta a pensare che esistano opinioni giuste da contrapporre ad opinioni sbagliate, soluzioni giuste da contrapporre a soluzioni sbagliate. Ci porta a pensare che se tutti la pensassero esattamente come noi e capissero quello che abbiamo capito noi allora il mondo andrebbe meglio. Dunque che la soluzione stia nel cercare di affermare con assoluta convinzione (o persino imporre se ne abbiamo la possibilità) la nostra idea finché tutti (o almeno la maggioranza) non ne siano convinti.
Questo determina innumerevoli conseguenze a livello di organizzazione sociale, fra cui anche il fatto che chi è convinto di avere la soluzione giusta fra le mani non è interessato a fornire un’informazione completa, ma solo quei tasselli di informazione che servono a convincere gli altri della bontà delle proprie argomentazioni. Lo vediamo in ogni aspetto della nostra vita, dalle discussioni in famiglia, alle liti in parlamento, ai dibattiti in TV. Il punto è sempre riuscire ad avere ragione sul proprio avversario e quasi mai contribuire a prendere la decisione più sensata per tutti.
La natura e la scienza invece ci insegnano il contrario: in un sistema sano non esiste una “dittatura della maggioranza” ma un equilibrio dinamico fra i vari attori in cui ciascuno mette a disposizione un pezzetto del proprio “sapere” per partecipare al funzionamento generale.
Esistono altre forme di democrazia?
La risposta è sì. Esistono strumenti che permettono di prendere decisioni in maniera diversa. Decisioni in cui ogni opinione differente partecipa nella costruzione della soluzione, in cui tutti gli elementi in causa sono coinvolti e le soluzioni si costruiscono assieme in una dinamica collaborativa e non oppositiva.
Ma sono altre due le domande che è opportuno farsi: queste soluzioni posso applicarsi da subito su larga scala? E soprattutto, siamo disposti a cambiare?
Sul primo punto, negli ultimi anni si è sviluppata una vastissima ricerca accademica che ha prodotto una serie di modelli e strumenti molto evoluti. Alcuni di essi sono per così dire “compensativi”: affiancano dei “pezzetti” al sistema democratico attuale per migliorarne alcune funzioni. Un esempio molto concreto è la democrazia deliberativa (qui un testo per approfondire, in inglese).
Prendiamo ad esempio proprio il referendum: abbiamo visto che così com’è non funziona; al tempo stesso è difficile sostituirlo rapidamente con un altro strumento che svolga lo stesso compito senza stravolgere l’ordinamento giuridico nazionale. E certo la soluzione non sta nell’abolire i referendum! Allora cosa possiamo fare? La democrazia deliberativa propone uno strumento chiamato “revisione civica” che si affianca al referendum e serve per fornire informazioni chiare e non politicizzate alla cittadinanza (qui ne trovate una applicazione concreta in Italia per capire come funziona)
Strumenti come quello della revisione civica sono tasselli che si possono applicare fin da subito alla nostra democrazia per renderla molto più efficiente (e reale). Esistono poi sistemi che, se sviluppati correttamente, possono rappresentare in prospettiva dei modelli sostitutivi della democrazia rappresentativa. Uno dei più interessanti è la Sociocrazia 3.0 (qui un approfondimento, sempre in inglese, mentre su Italia che Cambia trovate dei corsi offline).
Dunque disponiamo sia di prospettive per evoluzioni future che di strumenti pratici per oggi. E qui entra in gioco la seconda domanda: vogliamo davvero applicarli? Per adesso l’esperienza ci dice di no. Finora la resistenza al cambiamento degli attori in causa è stata molto forte e esistono al mondo pochissimi casi concreti di applicazione – ad esempio – della democrazia deliberativa.
A tutti, almeno apparentemente, piace giocare al gioco dei buoni contro i cattivi, dei colpevoli contro gli innocenti, dei giusti contro gli sbagliati. Siamo disposti a mettere in gioco le nostre convinzioni più profonde, a rinunciare al gioco del “di chi è la colpa”? Vero è che le cose stanno evolvendo molto rapidamente e anche questo tipo di consapevolezza sembra iniziare a farsi strada. Il referendum costituzionale mi è parsa un’occasione troppo ghiotta per buttare sul tavolo della discussione questi aspetti e vedere cosa ne emerge.
Ma quindi cosa devo votare al referendum del 4 dicembre?
Per quel che riguarda l’aspetto più pratico e immediato di tutta la vicenda, quello che posso consigliarti è di informarti senza preconcetti. Di parlare con amici e conoscenti con spirito genuino, cercando di capire le loro ragioni senza giudicarli. Forse alla fine avrai le idee più chiare sul referendum. O forse no, ma avrai fatto comunque un esercizio utile.
Il metodo che usiamo nel prendere le decisioni, le modalità con cui stiamo assieme e comunichiamo possono sembrare cose da niente, tasselli piccoli e ininfluenti. Sono tutt’altro: somigliano di più alla matrice, al piccolo frattale che determina con la sua struttura minuta la forma dell’intero sistema.
NOTE:
¹ Non vi dirò cosa ho deciso per due motivi: 1) non è importante ai fini di questo articolo e 2) non vorrei che la mia dichiarazione di voto influenzasse in qualche modo la percezione di quello che vorrei dirvi.
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