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È stata una vittoria netta quella del No al referendum costituzionale tenutosi ieri per confermare o respingere la cosiddetta riforma Renzi-Boschi, recante «disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione».
Il No ha vinto con il 59,17%, contro il 40,83% del Sì. La vittoria del No (che ha superato in tutta Italia i 19 milioni di voti) è stata ovunque, da Nord a Sud, con l’eccezione di due regioni (Toscana ed Emilia-Romagna), una provincia autonoma (Bolzano) e tra gli italiani all’estero. Dal Lazio in giù, le percentuali del No sono state molto più nette, superando in molti territori il 70%.
A differenza dei referendum abrogativi, quelli confermativi non necessitano di quorum. Il risultato del referendum costituzionale sarebbe quindi stato valido anche con un’affluenza più bassa. Eppure, oltre alla schiacciante vittoria del No, il dato rilevante di questa consultazione riguarda proprio l’altissima partecipazione al voto registratasi praticamente dappertutto: è del 68,48 % l’affluenza registrata alle 23 in Italia, a urne chiuse.
Terminati gli scrutini, come effetto immediato del risultato del referendum, il presidente del Consiglio ha annunciato subito le proprie dimissioni affermando di aver perso una partita che, come era già evidente dalla serratissima e folle campagna referendaria, si giocava sul “dentro o fuori Renzi” piuttosto che sul merito di una riforma che avrebbe modificato ben 47 articoli della seconda parte della nostra Costituzione.
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