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Abbiamo appena concluso l’intervista a Steve McCurry e ancora un po’ emozionati e meravigliati ci spostiamo in un’altra sala del Forte di Bard per ascoltare una conferenza dello stesso fotoreporter americano. Insomma, per lui è una giornata ancora lunga. Interviste, incontro con i vincitori di un concorso e ora l’incontro con il pubblico, che in sala attende fremente l’arrivo del fotografo della Ragazza Afgana.
Tale era la richiesta per partecipare al convegno che in un’altra sala è stata predisposto un maxischermo per gli sfortunati che non sono riusciti a prenotarsi in tempo. E non solo. Altre persone sono venute all’ingresso sperando di poter entrare in sala, confidando in qualche assente dell’ultimo minuto. Insomma, Steve McCurry è entrato nel cuore degli italiani, grazie alla sua fotografia e i suoi ritratti conosciuti in tutto il mondo.
Un applauso fragoroso ha accompagnato il suo arrivo in sala. E dopo i più classici dei convenevoli, ecco che prende la parola, accompagnata e moderata da Gabriele Antoniero che lo introduce partendo proprio dai suoi studi e dell’inizio della sua passione, nata prestissimo.
“La mia storia inizia a 19 anni”. Finì a Stoccolma con la famiglia. “Fu la prima volta che sperimentai il piacere di girare liberamente per le strade per il semplice piacere di scattare fotografie”.
Tornò a studiare all’Università, studiava filmaking e seguì un corso di fotografia. “Fu in quel momento – aggiunge Steve – che capii come essa potesse essere una via meravigliosa tramite la quale potevo viaggiare. La fotografia poteva essere così l’obiettivo dei miei viaggi”. Questa era la sua idea e pensava fosse qualcosa che si potesse raggiungere. Fin da giovane iniziò a viaggiare. Asia, Africa, America del Sud furono solo alcune delle sue mete. Questo fu l’inizio della sua percorso.
Iniziò in questo modo la sua carriera come fotografo in un giornale locale in Pennsylvania. Poi capitò qualcosa di particolare con l’India. Così Gabriele gli chiede se è stata l’India a convincerlo a divenire un freelance, iniziando a viaggiare attorno al mondo.
Steve risponde che l’India era una destinazione che voleva assolutamente vedere. “Una volta giunto lì – aggiunge – pensavo di stare 6 settimane. Ci rimasi per due anni e, durante questo periodo, non tornai a casa”. Quel che lo affascinò fu l’amore per la diversità nella cultura indiana, i suoi paesaggi, i deserti, i monsoni. Insomma, “fu un incredibile cambiamento nella mia vita”.
È stato un viaggio meraviglioso nella fotografia fin da subito, che è entrata nella sua vita a tutti i livelli. Frequentando le mostre fotografiche, leggendo i libri, riferendosi ai suoi grandi modelli come Henry Cartier Bresson, Elliot Erwitt. Lui stesso nel 1986 entrò nella Magnum Photos.
Uno degli episodi che più ha reso famoso Steve McCurry al grande pubblico è stato il suo progetto di vestirsi e camuffarsi con vestiti tradizionali afgani, passando dal Pakistan all’Afganisthan appena prima dell’invasione dei russi.
“Ho incontrato due rifugiati afgani nell’hotel dove stavo”. Lì iniziò a riflettere sulla possibilità di fotografare questo conflitto, dato che il mondo non stava capendo quel che succedeva attorno a queste terre. E così decise di intraprendere questa via. Accettò la proposta e attraversò i paesi illegalmente. C’erano continue esplosioni. “Pensavo che la mia vita potesse finire da un momento all’altro, ma semplicemente mi buttai in questa avventura e tutto andò bene”.
Iniziò come reporter di guerra. Poi ha viaggiato in Cambogia, Iran, Iraq, Beirut, Filippine, la guerra del Golfo. Sorge così spontanea la domanda circa il suo rapporto con il pericolo. La prima cosa che tende a sottolineare è che non è mai stato un fotografo di guerra. “Il mio interesse è sempre stato verso i rifugiati e la popolazione civile, verso persone che non hanno un posto dove vivere e che soffrono a causa di queste forze contrastanti”. Quello che cercava era la storia umana, non era l’azione della guerra o dell’uccisione.
Non possiamo non parlare, anche se forse per molti è scontato, della fotografia della Ragazza Afgana (1985). “In quegli anni c’erano tre milioni di rifugiati afgani senza dimora, che viveva in tendopoli”. Andò lì per fotografare la vita nei campi. Un giorno, era in una delle scuole all’interno del centro, e osservò l’espressione di questa ragazza, con due occhi che attrassero particolarmente Steve. “Riconobbi immediatamente che quello poteva essere un ritratto meraviglioso”. Parlò con l’insegnante che provò a convincerla, e fortunatamente lei accettò. È considerata la foto più conosciuta di tutti gli archivi del National Geographic.
Per completare la storia, è necessario dire quel che successe quando McCurry tornò nel 2002 alla ricerca di questa ragazza. Nei sedici anni che passarono da quando fece la fotografia, riceverono migliaia di lettere, chiamate, email a riguardo. “Ci chiedemmo come potevamo aiutarla, ma non sapevamo né il suo nome né il suo indirizzo”.
Così, nel 2001, decisero di tornare per trovarla. “Fu come un miracolo”, ammette Steve.
“Pensavo non l’avremmo mai trovata dopo tutto questo tempo trascorso, pensavo fosse assolutamente impossibile, ma fummo davvero fortunati”. Lo ripete ancora, “è stato come un miracolo”. E in effetti non c’era neanche il bisogno di ripeterlo, i suoi occhi brillano ancora oggi mentre lo racconta. E pensando a quante volte avrà già raccontato questa esperienza, possiamo solo immaginare l’emozione quando riuscì a rivederla davanti a sé. Hanno per primo cercato il suo insegnante, che era in classe la mattina in cui arrivarono. Ritrovarono il suo fratello e, alla fine, giunsero a lei, Sharbat Gula.
È importante sapere che, una volta trovata, Steve ha aiutato lei e la sua famiglia. Ha anche creato una fondazione che supporta l’educazione dei bambini in questi territori.
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