7 Nov 2016

I Pirati hanno perso. Ma le donne hanno vinto. E l’Islanda?

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti

Le elezioni parlamentari islandesi sono state una delusione per il rivoluzionario Partito Pirata, che i sondaggi davano in testa e che è finito soltanto terzo con il 14 per cento dei voti. Esce vincitore il Partito dell'Indipendenza, principale responsabile politico della finanziarizzazione del paese nei primi anni Duemila. Dunque è stato tutto inutile? Le rivolte non sono servite a niente? Difficile dare una risposta, tuttavia le elezioni hanno anche aspetti sorprendenti. Ad esempio l'Islanda è ora il paese al mondo con la percentuale più alte di donne in parlamento, pur non avendo alcuna legge sulle quote rosa. E non solo...

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Avevo già immaginato il titolo: qualcosa del tipo “Storia dei Vichinghi che divennero Pirati” o “I Pirati conquistano la terra dei Vichinghi”. Fantasticavo immaginando la bellezza del lieto fine tanto atteso, la conclusione perfetta per una vicenda che seguo con passione da sei anni e ho raccontato nel libro Islanda chiama Italia. Ma la Storia ha scritto un capitolo differente, che male si incastra con la narrazione del paese rivoluzionario che ha rifiutato di pagare il debito delle banche, cacciato una classe di politici corrotti e riscritto la costituzione dal basso.

 

Il Partito Pirata islandese, nato dall’esperienza dei movimenti popolari del 2009, che i sondaggi davano in testa e candidato a guidare il paese, ha mancato clamorosamente il colpo, finendo terzo nelle preferenze con “solo” il 14,5% dei voti.

 

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Il Partito dell’Indipendenza, il più longevo dell’isola, primo responsabile politico della finanziarizzazione dell’economia nei primi anni Duemila e della crisi del paese nel 2009, è stato il chiaro vincitore con il 29% dei voti e adesso proverà a mettere in piedi un governo (pur in assenza della maggioranza dei seggi). L’alleanza dei Verdi di sinistra è arrivata seconda con il 16%, seguita proprio dal Partito Pirata.

 

Ma allora è stato tutto inutile? Le rivolte e la partecipazione non sono servite a nulla? Com’è possibile che abbia vinto il partito principale responsabile della crisi (seppure con persone differenti nei posti di comando)? Non si impara proprio niente dalla storia? Sono tutte domande a cui non so dare una risposta. Non ancora almeno.

 

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Alcuni segnali tuttavia sembrano mostrare che l’isola è ancora un paese socialmente molto vivo. Se si analizzano altri aspetti del voto, ci accorgiamo di dati sorprendenti. L’Islanda è uno dei pochi paesi al mondo a non avere una legge sulle quote rosa in parlamento eppure, guarda un po’, dopo queste elezioni è la nazione al mondo con la percentuale più alta di donne fra gli eletti. Su 63 parlamentari 30 sono donne, il 48%. Un paese storicamente maschilista e dominato dal culto della forza bruta è oggi all’avanguardia nella parità di genere.

 

Oltre a essere il Paese con più parlamentari donna al mondo, l’Islanda è anche il paese più virtuoso nel Global Gender Gap Index (edizione 2016), l’indice che misura la distanza fra uomini e donne nei vari campi della vita economica, politica e sociale. Lassù il congedo per maternità è equamente diviso a metà: tre mesi obbligatori per le mamme, tre mesi obbligatori per i papà, più altri tre mesi da dividersi a scelta.

 

Inoltre è di qualche giorno fa la notizia che tantissime donne islandesi, hanno deciso di lasciare il lavoro alle 14.38 per protestare contro una differenza nel reddito medio del 17% rispetto ai colleghi maschi. Le islandesi, in pratica, hanno lavorato il 17% in meno degli uomini, per riportare in equilibrio la propria retribuzione.

 

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Insomma vi sono molti segnali incoraggianti che mi facevano credere per una volta ai sondaggi che davano in testa il Partito Pirata, guidato per l’appunto da una donna. Una poetessa anarchica e sognatrice, Birgitta Jonsdottir.

 

Ma la realtà mi ha sorpreso e mi ha messo di fronte ai miei inganni. Ripeto spesso nelle mie presentazioni che i paesi perfetti, i luoghi ideali in cui tutto funziona, esistono solo nella nostra mente, per soddisfare delle nostre esigenze, e non nel mondo fisico. Eppure la conoscenza di questo meccanismo non mi ha messo al riparo dalle sue insidie.

 

Nella mia narrazione personale il voto del 29 ottobre avrebbe coinciso con il lieto fine. Quello che è successo mi ricorda invece la nostra mente lineare mal si adatta ad un mondo complesso e non lineare, in cui ci sforziamo di trovare fili di narrazione coerente, fatti da un inizio e una fine. Non esistono inizi e finali a questo mondo, ma infiniti cicli e sistemi interconnessi. Il nostro compito di giornalisti non è raccontare solo quello che ci piace, ma capire e raccontare le cause di ciò che avviene, sbrogliare la matassa intricata della società in cui viviamo e renderla intellegibile senza ucciderne la complessità.

 

Adesso per l’Islanda inizia una sfida interessante, ed anche per il sottoscritto. Nei prossimi giorni cercherò di capire e raccontare le ragioni di questo voto che al momento faccio fatica a comprendere e di spiegarvele. Se l’argomento vi interessa come interessa a me, restate sintonizzati!  

 

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