Io faccio così #140 – L’agricoltura in Calabria? Donna, biologica e solidale!
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Cosenza - Una tradizione che diventa innovazione, attingendo da quel passato che per troppo tempo l’agricoltura ha snobbato e sminuito. Per ragioni economiche, industriali, per costume, per pigrizia, per convenienza. Tre donne: mamma Iolanda e le due figlie Cristiana e Marina, una terra ereditata che pesa come un macigno perché figlia di un passaggio generazionale imprevisto e difficile da onorare. La voglia di “sporcarsi” le mani, fare agricoltura in Calabria, una regione difficile, a maggior ragione per chi vuole essere Donna ed Imprenditrice e vuole portare avanti un’attività sana, pulita, rispettosa del terreno, sostenibile, capace di creare un giusto reddito per chi ci lavora, di formare reti con altre attività virtuose del territorio, di divulgare il messaggio che oggi un’agricoltura sana e pulita non solo è possibile, ma doverosa.
Una scommessa persa in partenza? Nient’affatto! Siamo nella campagna di Rossano, in Calabria. Iolanda, Cristiana e Marina ci accolgono con affetto e calore, scopriamo sulla nostra pelle cosa significa davvero l’accoglienza in Calabria. L’azienda agricola Biosmurra produce dal 1987 clementine primizie su un’estensione di otto ettari, dei quali uno coltivato anche ad uliveto, ma anche limoni e altre varietà di frutta in piccole quantità.
Negli occhi di Cristiana e Marina si legge tutto l’amore per la loro terra, mentre ci raccontano le tappe del loro arrivo sin qui. «Mio padre ha acquistato questo terreno nel 1987 – ci racconta Cristiana – e subito ce ne siamo innamorate, abbiamo sentito un forte legame e dopo pochi anni ci siamo trasferite dal entro storico Rossano nella valle del Colagnati». La prematura scomparsa del padre mise Cristiana e Marina in una situazione difficilissima: quella di due ragazze che ereditano un’azienda agricola in un contesto culturale e sociale come quello calabrese. Al di là di tutti i luoghi comuni, chiunque avrebbe pensato di andarsene; a maggior ragione se l’obiettivo era quello di creare una realtà di agricoltura sostenibile in un contesto sociale e culturale che andava (e va tutt’oggi spesso) in tutt’altra direzione. Ma la tenacia e l’amore per la propria realtà, la voglia di combattere per cambiare le cose pur tra mille difficoltà, hanno avuto la meglio: oggi la Biosmurra dà lavoro stagionale a sette persone e l’obiettivo è quello di incrementare gli investimenti in Calabria per ingrandire l’azienda.
La prima vera svolta che ha portato la Biosmurra a diventare una vera e propria azienda agricola è arrivata nel 2011, in occasione di due diversi momenti di difficoltà, uno congiunturale dovuto al crollo del mercato ortofrutticolo del 2003 e uno aziendale dovuto alla perdita di quasi duecento quintali di prodotto dovuto al maltempo. Da allora la Biosmurra ha messo in atto la vendita del prodotto a un prezzo più che equo e allo stesso tempo lo ha differenziato in trasformati artigianali di primissima qualità, tra i quali spicca il loro Succo di Clementine.
«Noi a questo punto gestiamo tutte le fasi del processo, dalla produzione alla vendita e alla distribuzione – ci racconta Marina Smurra – oltre alla produzione abbiamo deciso di fare a meno di intermediari, di trovarci noi i nostri canali di distribuzione per sfuggire alle logiche commerciali in vigore dalle nostre parti che lasciavano all’agricoltore poco o nulla: dalla produzione fatta con i principi della rigenerazione organica, con un occhio particolare alla cura del terreno, fino alla vendita abbiamo costruito tutto da sole».
Tutto questo è stato possibile soprattutto grazie agli incontri con le realtà dell’economia solidale: la Biosmurra, dopo essersi dotata di certificazione di qualità, ha intrapreso un percorso di decisa responsabilità sociale, aderendo alla rete nazionale dei GAS e alla RESSUD, oltre al felice incontro con il Consorzio delle Galline Felici, realtà che riunisce varie realtà agricole che si distinguono per l’elevata qualità dei prodotti commerciati e per l’equità e la correttezza nello stabilire il prezzo di vendita. «No, non facciamo solo agricoltura, è il nostro lavoro che ci porta reddito ma facciamo anche altro», ci spiega Cristiana. «Nell’inventarci come far andare avanti la nostra realtà abbiamo intercettato storie, persone con le quali abbiamo creato dei legami forti».
Qui non si parlava affatto di economia solidale, nemmeno di gruppi d’acquisto. Oggi cerchiamo sempre di organizzare eventi, in sinergia con le realtà del territorio, per diffondere anche a livello culturale il messaggio dirompente che proviene dai mondi che abbiamo conosciuto e con i quali siamo orgogliose di collaborare». Tematiche prima inedite per la Calabria: «Si è rotto il torpore nel quale vivevamo e la cosa bella è che condividendo certi discorsi, pensieri, modi di essere è aumentato l’ottimismo. Io stessa, quando mi autodefinisco Gallina Felice qui a Rossano, lo faccio con il sorriso negli occhi», spiega Marina.
Cristiana e Marina non hanno nessuna intenzione di fermarsi. Non lo fanno nemmeno nella vita quotidiana, sempre pronte a cercare il modo migliore per far star bene il prossimo: «Noi vogliamo far capire alle persone che lavorano con noi che è bello poter provare ad andare avanti insieme, che noi stiamo bene se riusciamo a stare tranquille con le persone con la quale collaboriamo», conclude Cristiana. «Nei primi anni di vita non è stato affatto facile: ci siamo dovute fare le ossa, abbiamo dovuto cambiare molti collaboratori perché eravamo ostiche, davamo fastidio. Ora riusciamo meglio a selezionare persone che sono naturalmente affini ai nostri discorsi, si è creata una rete di persone intorno a noi che condividono scelte e rischi della nostra avventura».
E uno dei messaggi più forti di questa esperienza, secondo Marina, è che «se esistono delle regole, tacite o meno, che a noi non piacciono o che ci impediscono di realizzare i nostri sogni, noi dobbiamo lottare per scardinarle e noi nel nostro piccolo ne siamo l’esempio. Mi sento di dare un consiglio alle giovani e ai giovani di oggi: non dobbiamo accettare per forza la realtà così com’è, dobbiamo partecipare di più e delegare di meno».
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