I nativi americani si uniscono contro l'industria del petrolio
Seguici su:
Alcuni storici indicano nella frammentazione delle popolazioni Native d’America una delle cause principali della loro progressiva e totale sconfitta in epoca coloniale, ad opera di coloni senza scrupoli che usurparono e invasero le terre ancestrali sulle quali vivevano, dando il via ad uno dei più brutali genocidi mai perpetrati e mai abbastanza ricordati.
Non è un caso se proprio Adolf Hitler, secondo lo studioso John Toland, prese a modello alcuni dei metodi di sterminio qui adottati dai coloni per attuare l’olocausto degli Ebrei (questo sì, un genocidio tristemente noto, poiché regolarmente ricordato dai media e dalle istituzioni) e delle altre minoranze etniche e politiche.
Ancora oggi, i pochi superstiti di quella che fu un’antica e affascinante civiltà, soffrono per le usurpazioni e le persecuzioni dei discendenti di quelle popolazioni che arrivarono da lontano. Ed insieme a loro soffrono quelle terre di cui sono da sempre gli instancabili guardiani e protettori.
Mi viene in mente il famoso discorso del Capo delle Teste Piatte, Charlot, del lontano, ma mai così vicino 1876, diceva:
“[…] La natura era sacra. Perfino quando un indiano viaggiava, o presso un accampamento, era suo desiderio lasciarsi dietro la minor traccia possibile del suo passaggio. Cercava di non lasciare impronte, di non spezzare rami, di non disturbare nessuna foglia, di cancellare i brutti segni dei fuochi e dei bivacchi. Voleva muoversi attraverso il territorio così delicatamente come la brezza.
[…] Alcuni indiani provavano talmente antipatia verso il deturpamento della natura che l’uomo bianco non riuscì a persuaderli, anche quando essi praticavano già l’agricoltura da tempo, ad usare l’aratro, poiché questo avrebbe squarciato la viva carne di loro madre, la terra. […]” (1).
Ancora oggi le popolazioni Native si fanno portavoce di Madre Terra e proprio in questi giorni più di 50 tribù di Nativi americani Usa e Prime Nazioni canadesi (i Nativi del Canada) si sono alleate firmando insieme un Trattato, al fine di impedire la costruzione di oleodotti per il trasporto del petrolio più sporco e costoso del mondo: quello delle sabbie bituminose.
Sembra proprio che l’industria del fossile voglia andare avanti a tutti i costi – ed è proprio il caso di dirlo, visto che estrarre petrolio dalle sabbie bituminose necessita di procedimenti estremamente onerosi – nonostante gli accordi presi alla Cop 21, cercando qualunque modo per estrarre fino all’ultima goccia di petrolio.
Una goccia che ha letteralmente fatto traboccare il vaso per i Nativi del Nord America che giovedì scorso hanno firmato il trattato di alleanza tra le popolazioni indigene canadesi e statunitensi, dichiarando guerra al petrolio e impegnandosi a fermare i progetti di altri 5 oleodotti, in una terra già ampiamente devastata da questo genere di industria come la provincia dell’Alberta, nel Canada meridionale.
Un atto di alleanza che arriva in concomitanza con la partecipata manifestazione dei Nativi americani a Washington, che è riuscita a bloccare, almeno per il momento, l’espansione del progetto di un oleodotto che dovrebbe attraversare 4 stati USA e i siti sacri di una delle tribù firmatarie del trattato.
Nel documento si afferma: “Le nostre Nazioni si uniscono nel quadro del presente Trattato per proibire ufficialmente e per convenire di impedire collettivamente l’utilizzo dei nostri rispettivi territori e coste in relazione all’espansione della produzione delle sabbie bituminose dell’Alberta, includendo l’espansione del trasporto di tale produzione per oleodotto, treno o nave”.
Le 50 tribù firmatarie dimostrano così con un gesto simbolico di voler unire le forze contro ulteriori progetti a forte impatto ambientale in entrambi i Paesi e dichiarando inoltre il proprio impegno per la transizione verso un’economia sostenibile basata sulle energie rinnovabili.
Sempre nel Trattato, si dichiara infatti: “Le Nazioni autoctone firmatarie vogliono diventare dei partner di primo piano nel quadro della transizione verso una società più sostenibile. Numerose Nazioni indigene dimostrano già ora la leadership, sviluppando dei progetti di energie rinnovabili sui loro territori” (2).
È un’occasione storica per dimostrare quanto sia importante unirsi per far sentire forte la propria voce e quella altrui e sconfiggere un’industria fossile che non vuole arrendersi davanti a nulla, neppure davanti all’evidenza del fatto che il picco del petrolio sia stato ormai superato da tempo ed estrarlo sia sempre più insostenibile da ogni punto di vista.
Allora coraggio gente, se l’unione fa la forza, siamo sulla buona strada!
- Per il discorso completo si veda qui
2. Come peraltro documentava una delle ultime puntate dell’ottima trasmissione “Scala Mercalli” che la RAI ha infelicemente deciso di non trasmettere più; qui la petizione per rimandare in onda questa trasmissione
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento