Karadrà: l’aridocultura che rilancia il Salento e unisce generazioni
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Sono i giovani salentini che, guardando i campi abbandonati da una generazione di contadini delusa e scoraggiata, si oppongono alla fuga dalle attività agricole e ritornano alle campagne per riportare vita alla terra.
E quando si dice vita, s’intende vita a tutto tondo perché il gruppo di ragazzi che ha fatto nascere Karadrà, un’associazione a promozione sociale che si trasforma in cooperativa agricola di produzione lavoro, non solo si occupa di prendere in comodato d’uso terreni abbandonati e incolti per bonificarli e riportarli a produzione con la tecnica dell’aridocultura, ma è impegnata in attività di aggregazione per tutta la comunità coinvolgendo bambini, anziani, artisti e archeologi che, tramite un progetto di valorizzazione del territorio pugliese, stanno lavorando, tra le altre cose, persino alla ricostruzione della Puglia megalitica.
“Il distacco dalla vita contadina, ha fatto odiare la terra a chi la lavorava e gli agricoltori se ne sono andati facendo studiare i figli perché si allontanassero dalla loro vita”, ci racconta Roberta Bruno, una dei nove attivisti che stanno investendo anima e corpo nel progetto Karadrà, ma le nuove generazioni hanno saputo riconoscere il valore del loro territorio d’origine e sono determinate a mostrarlo a tutti.
Karadrà, che in greco significa “acqua che nasce dalla terra e che dalla terra viene reinghiottita”, è oggi un parco agricolo di circa otto ettari, localizzato tra Aradeo e Cutrofiano, in provincia di Lecce, formato da appezzamenti di terra di tredici diversi proprietari che hanno visto nell’entusiasmo di questi giovani, nessuno dei quali raggiunge i 40 anni, la speranza di dare una seconda possibilità a uno stile di vita su base agricola e fortemente collegata al territorio, con i suoi beni culturali e la sua ricchezza antropologica.
Il primo problema da risolvere per la sopravvivenza dell’agricoltura nel Salento, dove non c’è acquedotto, le irrigazioni sono scarse e le precipitazioni minime, è l’acqua, e i ragazzi ci riescono con l’aiuto dell’evoluzione della natura e dell’aridocultura, un sistema che si avvale dello studio dell’evaporazione e di tecniche di condensazione per non perdere l’umidità. I cassettoni nelle orticole vengono coperti di paglia, l’annaffiatura avviene sotto lo strato di copertura in orari precisi serali e vengono utilizzate tecniche rigenerative con macerati di ortica o propoli, tutto finalizzato a recuperare ogni goccia d’acqua dalla notte che la strappa al deserto.
E così sono riusciti a far crescere e raccogliere, oltre ai vari prodotti da orto, l’antico grano Senatore Cappelli, che trasformano settimanalmente in pane e friselle cotti nel forno a legna, le patate di Galatina, una specie censita come biodiversità locale che cresce senz’acqua, i peperoncini, che vengono innaffiati solo ogni tredici giorni, e i pomodori invernali, che hanno una buccia gialla e spessa e che si mantengono fino a un anno appesi a grappoli, chiamati localmente “pende”.
“E così abbiamo dimostrato che i pomodori li abbiamo fatti», conferma con una certa soddisfazione, del tutto meritata, Roberta. « Il pomodoro è la bacca magica che ci riporta qui. Siamo riusciti a mettere da parte quello che ci serviva con la cassa comune: abbiamo un trattore, le prese, e vogliamo usare il crowdfunding nella nostra comunità che non abbiamo mai messo da parte. Ora aspettiamo un riconoscimento dall’UE per la zona umida che comprende il sistema di canali dell’Asso, unico sistema idrico naturale di tutta la regione: un regalo , un riconoscimento di questa terra che non è mai arrivato. E ci sarà”.
La determinazione è la loro forza. Una forza che comprensibilmente è contagiosa e Roberta non manca di esprimercelo: “Siamo in tanti e cresciamo ogni giorno di più. Molti vogliono partecipare al progetto. L’obiettivo di unificarsi e collaborare è anche egoistico perché ricerchiamo la qualità della vita. Vogliamo vivere bene, ritornare nei campi ma tornare a leggere”. Il loro motto è: Non vogliamo resistere ma prosperare.
“Per fare una rivoluzione bisogna che ci riprendiamo una parte di noi, 8 km di abitato vanno cambiati nei piccoli granelli di terra. Bisogna lavorare e non aspettare che qualcun altro lo faccia. Vogliamo ricreare un movimento culturale che riavvicini alla terra”.
Per adesso tutti i partecipanti al progetto hanno due lavori, uno per mantenersi e l’altro nei campi come volontari, mentre la vendita dei prodotti finanzia le altre attività sociali. Si alzano alle 5 della mattina ma incontrarsi alle prime luci dell’alba li rende felici. La sfida più grande che si sono pubblicamente posti è di “dimostrare e dimostrarci, che è il lavoro a pagare e a crearne di nuovo, senza dimenticare che il cibo serve al corpo, come l’arte serve all’anima”.
Il loro prossimo obiettivo è di creare una rete di agricoltori e di progetti su rete provinciale. Se siete contadini delusi, se siete in cerca di una seconda vita, se avete bisogno di quella carica per ripartire e reinventarvi, se cercate ispirazione, li troverete lì tutti i lunedì, a dispensare convivialità, a fare dimostrazioni, a condividere tramonti, musica, racconti e frisella, a portarvi in visita nei campi per farvi vedere dal vivo le loro produzioni, a ribaltare il paradigma che dalla terra si deve scappare perché non se ne godono i frutti.
Loro che si sono guadagnati l’appellativo i temerari dell’agricoltura sociale salentina, li troverete lì, con mille soprese, tutti i lunedì d’estate, a Cutrofiano, Strada Vicinale Cafazza, dalle h 18 alla mezzanotte, e dopo l’estate tutti i pomeriggi sempre lì, al Casino Cafazza. Vi aspettano.
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