Il Ponte sullo Stretto di Messina: lo psicodramma che non finisce mai
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Ci risiamo e stavolta non si sa più davvero se ridere o piangere. Nel corso dell’assemblea per i centodieci anni del gruppo Salini-Impregilo, il Presidente del Consiglio Renzi ha rilanciato la proposta del Ponte Sullo Stretto di Messina. Un’opera che, tra leggenda e realtà, a partire dal console romano Lucio Cecilio Metello passando per Carlo Magno e Ruggero II arriva fino al ventesimo secolo e ai giorni nostri. Un’infrastruttura inutile, dannosa e assolutamente non prioritaria, che mette il freno ad un piano di vero rilancio per il nostro Mezzogiorno che non sia caratterizzato dalle grandi opere infrastrutturali ma dalla messa in sicurezza del territorio e dal potenziamento e ammodernamento delle linee ferroviarie esistenti, che in larga parte in Sicilia sono ancora a binario unico e non elettrificate. Un’opera che lo stesso Renzi, prima di diventare Presidente del Consiglio, ha più volte criticato radicalmente, prima di cambiare visione di fronte alle pressioni del gruppo Salini e dei suoi stessi alleati di governo.
Cambiare opinione su un argomento non è obbligatoriamente deprecabile, ma occorre una certa coerenza nell’argomentare il perché: un aspetto che il Presidente del Consiglio non conosce, perso ormai nella cornice degli slogan vuoti e retorici che ci riportano tristemente indietro negli anni. Piuttosto che nell’ottica del “cambiamento” continuamente sbandierata da Renzi e dai suoi, il rilancio del Ponte sullo Stretto è figlio del più cieco e dannoso conservatorismo: l’idea che lo “sviluppo” economico passi solo per opere faraoniche dalla dubbia fattibilità e utibilità, per colate di cemento che si trasformano in oro solo per le imprese che realizzano i lavori. Ci eravamo in parte convinti che nemmeno i sostenitori della “crescita” a tutti i costi (e Renzi lo è) credessero più a queste fandonie, ma sembra proprio che ci risiamo.
In un periodo nella quale il Governo sta cercando disperatamente di ottenere dei fondi dalla Commissione Europea per sanare il dissesto idrogeologico e sismico del nostro paese, la geniale trovata è quella di costruire un ponte lungo circa 3600 metri in una zona che nel 1908 subì uno dei terremoti più disastrosi della storia italiana e che generalmente è considerata una delle aree ad elevato rischio sismico, oltre ad occupare un area ad alto contenuto paesaggistico che verrà inevitabilmente e gravemente alterata. Una guida esemplare di come rinnegare l’attenzione professata al sisma e al paesaggio in un colpo solo.
I costi di questa opera, prima della messa in liquidazione della concessionaria pubblica Messina Spa nel 2013 da parte del Governo Monti, sono stati stimati in ben 8,5 miliardi di euro. Nessuno, nemmeno i proponenti del progetto, è mai riuscito a dimostrare se l’opera, a fronte dei suoi costi enormi, possa poi essere ripagata in termini di traffico perché da molto tempo le previsioni non sono affatto positive nemmeno sul trasporto gommato a lunga distanza. Sopratutto, come evidenzia il WWF, “le risorse destinate al Ponte potrebbero essere destinate ad opere veramente necessarie per il rilancio del Mezzogiorno, quali: mettere in sicurezza il territorio di Calabria e Sicilia; raddoppiare le linee ferroviarie che collegano Messina a Palermo e Catania, potenziare la linea tirrenica ferroviaria tra Battipaglia e Reggio Calabria e la linea ferroviaria jonica che collega Reggio Calabria a Taranto; intervenire sul sistema dei porti tra Gioia Tauro, Villa San Giovanni, Reggio Calabria e Messina e garantire un sistema di traghettamento veloce e frequente per l’Area dello Stretto”.
Il Presidente del Consiglio ha parlato inoltre della possibilità di centomila nuovi posti di lavoro grazie al rilancio dell’infrastruttura. Tralasciando il numero citato (le previsioni più ottimistiche parlavano di quarantamila posti tra lavori diretti e indiretti), anche qui siamo al semplice e vuoto slogan. Se ci fermassimo a ragionare, come già lo stesso Renzi sosteneva, capiremmo che nel settore della salvaguardia del territorio e nel suo ammodernamento dell’esistente si potrebbe creare altrettanta nuova occupazione, con la differenza non trascurabile della diversa qualità del lavoro creato.
Il rilancio di questo progetto è un chiaro tuffo nel passato, altro che un segnale di cambiamento. Slogan triti e ritriti si riaffacciano alla luce del sole per giustificare l’ingiustificabile e per difendere l’indifendibile e non ci resta che sperare che siano solo vuoti disperati e inattuabili slogan elettorali.
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