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Enzo Mari è un designer italiano, uno dei maestri del Made in Italy, protagonista della storia del disegno industriale in qualità di creativo e di pensatore critico. Per Enzo Mari “il design è sempre educazione”, con la sua “Proposta per un’autoprogettazione” già negli anni ’70 volle spingere le persone ad appropriarsi fisicamente del progetto portando a compimento, con le proprie mani, la realizzazione di diversi pezzi di arredo. Mari applicò alla sua produzione i suoi studi personali sui temi della percezione e dell’aspetto sociale del design, alla sua funzione nella vita quotidiana in cui l’utente non è più consumatore passivo ma diventa fruitore di un oggetto e di un processo in cui ha una parte attiva.
Negli ultimi anni il riuso, il riciclo e l’autoproduzione sono diventati un hobby comune, facendo fare un salto di qualità in senso ecologico al “fai da te” degli anni ’70. Il creare oggetti dagli scarti è diventata nel tempo una moda che il web diffonde con immagini ed esempi da replicare applicando la propria fantasia e manualità, in una condivisione libera delle idee e del sapere.
Da tutte queste considerazioni e dall’incontro con l’Officina di Architettura Arché, è nata l’idea della cooperativa sociale Onlus L’Albero del Pane di un laboratorio di riuso dei materiali per dare nuova forme e nuove vita a ciò che viene considerato scarto da buttare, per indagare le potenzialità nascoste di questi oggetti e crearne di nuovi ed utili e che potesse mettere in gioco gli ospiti del centro L’Accordo, le loro manualità e il lavorare in gruppo.
Un’idea partita velocemente per la sintonia che si è subito creata tra il presidente della cooperativa e le persone che curano l’assistenza degli ospiti del centro diurno e che si è arricchita in fase di progettazione del coinvolgimento degli ospiti del progetto Migranti curato sempre da L’Albero del Pane. Un’altra parte importante del laboratorio che ha permesso ai migranti, spesso ai margini della nostra società e sottoposti a continui stereotipi giudicanti, di poter mettere a disposizione la loro voglia di fare e le loro competenze, in un uso del tempo proficuo e di crescita, personale e di competenze.
Il centro di socializzazione è un luogo di crescita, non un luogo in cui far “passare il tempo” agli ospiti o sollevare le famiglie dalla loro cura. E’ luogo di relazione, di attività creative, in cui aumentare la propria autostima, autonomia, scoprire i propri talenti.
DAI!!! si è inserito in questo lavoro quotidiano offrendo un nuovo spazio in cui confrontarsi e acquisire nuove competenze. In più l’obiettivo di realizzare oggetti di arredo per il grande spazio esterno del centro, ha coinvolto direttamente gli ospiti nella progettazione di uno luogo che vivranno in prima persona, in un percorso partecipativo che li ha visti protagonisti di ogni singola scelta.
“Nel primo incontro ci siamo chiesti che cosa potevamo fare partendo da alcune immagini trovate online e da una proposta su modelli semplificati – racconta Aleandro Carta, architetto di Archè che ha dato l’imput iniziale e svolto il ruolo di facilitatore del progetto creativo – La nostra scelta è stata per l’utilizzo dei pancali che ci ha fornito l’azienda CAEM di Subbiano, creando così anche una sinergia con un’azienda locale”.
E’ così iniziata questa avventura che ha visto tutti fare subito “squadra” e in cui tutti si sono potuti mettere in gioco e applicare la propria manualità in base alle differenti disabilità. Sono stati creati dei gruppi di lavoro in base alle abilità con diverse modalità di approccio al lavoro e al gruppo. “Non ci sono state difficoltà, il centro era già dotato di un’officina ben fornita e mi ha stupito vedere , nel lavoro sulla materia, quante competenze avessero già i ragazzi e le ragazze, quante cose sapessero già fare – prosegue Aleandro – La mia è stata forse attività di “maieutica”: all’inizio della giornata e ogni mattina durante la colazione discutiamo su ciò che è stato fatto e che si vuole fare, guardiamo le immagini che sono il riferimento per ciò che si vuole creare e ci confrontiamo sull’avanzamento del lavoro, facendo proposte di miglioramento. Ad esempio se modificando il progetto possiamo avere un minore spreco di materiale o risparmiare sui costi di verniciatura o ancora se si possono recuperare parti per altri progetti. Ogni squadra ha il suo compito e la sua autonomia, usiamo un processo strutturato in cui però c’è dialogo tra le varie “squadre” (taglio, verniciatura, cucito etc) e in cui si prendono decisioni condivise. Così le donne che si occupano di realizzare i cuscini per le sedute, hanno deciso
di riusare sacchi di yuta utilizzati da un’altra azienda locale di caffè, per i rivestimenti.
Nelle squadre si lavora a coppia, ci si guarda lavorare e questo “guardarsi fare” ha fatto superare anche la differenza linguistica con i ragazzi stranieri.”
Questo lavoro, iniziato il 27 agosto, ha anche un organigramma ben preciso: ci sono tutor e facilitatori per l’integrazione (Francesco Tinti per i migranti e Laura Ruggeri per gli ospiti del centro), un volontario si occupa della sicurezza e del controllo qualità. In questo modo le persone coinvolte possono vivere un’esperienza lavorativa simile a quella di una piccola azienda artigianale. Un lavoro di crescita personale e sociale, che li fa divenire consapevoli delle proprie capacità e sentirsi parte attiva nella società e nella comunità.
“Abbiamo deciso insieme di accelerare i tempi di produzione per poter presentare il lavoro all’inaugurazione della nuova sede de “L’Albero del Pane – Betadue – Rete Koinè” che si terrà a Rassina domenica 18 settembre ed abbiamo anche realizzato un pieghevole che racconta cosa è stato fatto e che cosa è stato prodotto. Ogni oggetto è trattato come se fosse commercializzabile, con caratteristiche tecniche e un QR code che rimanda ad un video in rete. E’ una versione beta che potrà quindi migliorare in base ai feedback che riceveremo.”
Si sono occupati della lavorazione del legno: Daniele, Davide, Baldè, Allassana, Salifou e Matteo; della lavorazione del tessuto: Luana, Fabiola, Rossella, Daniela e Alessio.
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