Siamo vissuti al di sopra delle nostre possibilità (e al di sotto dei nostri desideri)
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Siamo vissuti al di sopra delle nostre possibilità! Questo luogo comune, o slogan se si preferisce, è oggi molto diffuso nel nostro mondo perverso del cosiddetto consumismo. L’opinione pubblica, vero e proprio cancro dell’uomo contemporaneo, che per comodità divideremo in conservatori e progressisti, ragiona assumendo la “possibilità” esclusivamente come possibilità tecnica.
I conservatori (di destra e di sinistra) sostengono che non possiamo permetterci più questo stile di vita perché economicamente insostenibile, ma non fanno minimamente cenno alle questioni bioeconomiche. Il vivere al di sopra delle possibilità è inteso come vivere con dei privilegi economici e tecnici che dovremo abbandonare per questioni monetarie. Mentre si dovrebbe aggiungere che l’insostenibilità di questo modo di produzione industriale è dovuta non alle questioni monetarie, ma ambientali: stiamo consumando in un anno più energia di quanto la terra è capace di rigenerarne.
I progressisti (anch’essi trasversali agli schieramenti politici e refrattari alle questioni bioeconomiche) sostengono invece che la ricchezza è stata mal distribuita. Quindi alcuni hanno vissuto al di sopra delle possibilità collettive semplicemente perché hanno tolto ad altri il necessario per sopravvivere (ancora questione monetaria). Ma i cosiddetti progressisti non si rendono minimamente conto del fatto che se chi ha avuto meno avesse vissuto come chi ha avuto di più, probabilmente la permanenza della vita umana sulla terra avrebbe le ore contate.
Al di là dei fatiscenti slogan consumisti, la verità è una soltanto: in ogni caso, siamo vissuti molto al di sotto delle nostre possibilità umane. Cioè abbiamo rinunciato al desiderio, alle passioni, alla vita conviviale, al gioco, all’amore, in una parola abbiamo rinunciato a goderci la vita, insieme agli altri, in armonia con la terra e in pace con il mondo, preferendo invece consumare merci, corpi, anime, alberi e animali fino a consumare le nostre stesse vite rinsecchite e diventate anch’esse mercanzie in scadenza.
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