In Salento la resilienza dei semi antichi e degli agricoltori
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A volte non si sa perché si sviluppa una passione verso un tipo di attività. Forse per eredità di famiglia, forse per appartenenza geografica o per un vissuto sulla propria pelle di alcune esperienze, e infatti Ercole Maggio, erede di tre generazioni di agricoltori e proprietario di un mulino omonimo, Il Mulino Maggio, che gestisce col fratello Luigi a Poggiadro, in provincia di Lecce, non sa perché è così tanto innamorato della ricerca dei semi antichi all’interno del suo Salento. Lo fa e basta, perché ama farlo. Ama l’ebbrezza della scoperta delle origini, della loro potenza, della loro resilienza nei secoli.
Seleziona pochi semi e ne estrae una razza. Un giorno tra le spighe raccolte trova un tipo di grano che gli sembra diverso dagli altri e lo semina in un piccolo appezzamento per produrre altri semi, fino a che ne ha a sufficienza per coltivarne un ettaro intero. S’informa presso gli anziani che riconoscono, mentre gli agronomi del CNR (Centro Nazionale di Ricerca) gli confermano, che si tratta del grano tenero Maiorca, un grano di origine borbonica, arrivato in Italia durante l’invasione spagnola del XVI° secolo.
“Dopo il raccolto, alla fine dell’estate – ci spiega Ercole – ho estratto 48 campioni di grani diversi e li ho seminati dietro a casa mia, per cercare le singole spighe dei grani antichi da cui derivavano. In questo modo sono riuscito a selezionare altre tre varietà: il grano duro Capinera, di origine turca, portato in Salento dalla dominazione ottomana; il grano duro Russarda, anch’esso di origine turca; e il Saragolla, variazione italiana del Khorasan, o Kamut, di origine egiziana. Tramite i trattati di agraria mi propongo di trovarli tutti, per poi darli al CNR e farli esaminare”.
Recuperare i semi antichi non è solo un pretesto filosofico per tornare al passato e a vecchi usi e culture ma il presupposto per affrontare temi macro-economici d’attualità come rendere i contadini indipendenti e liberi dai potentati, chimici e OGM, che si sono infiltrati nell’agricoltura, e la mancanza di una politica nazionale protettiva nei rispetti dell’importazione.
Infatti, ci racconta il nostro appassionato agricoltore che per coltivare i semi antichi, oltre ad avere i semi autoprodotti dalle piante coltivate, non ha dovuto spendere un soldo per fertilizzanti e diserbanti perché la natura li ha strutturati per far tutto da loro. Il Maiorca rimane molto basso fino ad aprile per non permettere alla luce di penetrare e alle altre erbe di crescere, si espande con le radici fino a 2 metri di lunghezza e poi esplode al momento del raccolto. La Capinera invece, si alza fino a due metri di altezza per lo stesso motivo, e soffoca così tutte le altre erbe infestanti.
È illuminante ascoltare Ercole che spiega la lotta delle piante per l’energia, la luce e la loro sopravvivenza: “Le piante comunicano tra loro tramite messaggi sonori per avvisare di certi avvenimenti o per dire dove si possono trovare certi nutrimenti. Ci sono molti meccanismi che le piante mettono in atto e che si stanno scoprendo solo da poco. Sono organismi molto forti e hanno le loro armi”.
Armi che dovrebbero sviluppare anche gli agricoltori stessi per la loro sopravvivenza.
“L’Italia è uno dei produttori con la maggiore qualità di grano al mondo”, afferma l’agricoltore salentino, “ma se lasciamo una qualità eccezionale per le qualità inferiori che arrivano dall’estero, il prezzo inferiore indebolisce il mercato abbassando i prezzi Agrest e della Borsa di Milano, e anche i produttori italiani sono poi costretti a vendere sottocosto”, mettendo in crisi il settore.
Forse la passione di Ercole e la sua famiglia, col suo nome portatore di un leggendario destino, arriva proprio da qui, salvare i semi antichi per imparare simbolicamente da essi a tornare alle origini, unica nostra vera forza, e recuperare una natura umana di resilienza verso i nemici radicati intorno a noi e ritrovare la nostra via naturale verso la sopravvivenza.
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