“Destra e sinistra addio”: Maurizio Pallante e una nuova declinazione dell’uguaglianza
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L’ultimo saggio di Maurizio Pallante, Destra e sinistra addio, è in un certo senso il sedimentato culturale di un processo di evoluzione teorica cominciato dall’autore ormai vent’anni fa, con Le tecnologie d’armonia (Bollati Boringhieri, Torino 1994), e proseguito con l’elaborazione della sua «decrescita felice», che si caratterizza per i richiami all’autoproduzione e alla proposta di riduzione selettiva di tutte quelle merci che non sono beni, e che in alcun modo possono diventarlo.
Da decenni Pallante critica il modo di produzione industriale della società tecnologico-capitalista, che si sta dirigendo – ormai, forse, senza alcuna possibilità di recupero – verso la catastrofe. Tuttavia in questa sua ultima fatica, non si limita ad osservare gli aspetti critici della razionalità economica occidentale, ma si spinge fino al cuore. Al centro.
E spingersi al centro significa mettere in discussione le categorie culturali e politiche che hanno creato le condizioni per considerare positivamente l’attuale modo di produzione industriale, responsabile di una crescita economica – con annesso disastro ambientale – senza precedenti. E le categorie fondamentali di cui si parla sono quelle della destra e della sinistra. Parole, queste, che negli ultimi duecento anni hanno distinto chi riteneva le diseguaglianze tra gli esseri umani costitutive e naturali (destra), e chi al contrario le considerava di origine sociale, e quindi riducibili con accorgimenti politici ed economici adeguati (sinistra).
Il saggio Destra e sinistra addio si manifesta al momento opportuno. E non solo, si badi, perché la politica italiana (ma è forse diverso altrove, nel vasto mare occidentale?) palesa una mediocrità costitutiva, ma proprio perché destra e sinistra operano ovunque sulla base di una comune valutazione positiva del modo di produzione industriale, ch’è ormai giunto al capolinea. Entrambe considerano le rivoluzioni industriali un progresso rispetto al passato, salvo poi distinguersi quanto alla modalità di distribuzione dei benefici. Entrambe hanno concorso a spingere masse di persone dalle campagne alle città, trasformando milioni di contadini in milioni di proletari al servizio del grande capitale. La storia ha poi mostrato che le politiche della destra sono più efficaci per far crescere l’economia e la competizione di quelle di sinistra. E i risultati di questa razionalità sventurata sono, ormai, sotto gli occhi di tutti.
Ma veniamo al saggio. Per capirne appieno il senso è necessario intanto riflettere sul titolo. Dire Destra e sinistra addio non equivale a sostenere che la destra è uguale alla sinistra. D’altronde lo stesso autore mette più volte in risalto le differenti pulsioni: quelle della destra alla disuguaglianza, e della sinistra all’uguaglianza. Ma la pulsione all’uguaglianza, è questo un nodo cruciale, non è prerogativa assoluta della sinistra. Pallante afferma a ragione, infatti, che la pulsione all’uguaglianza preesiste alla sinistra e le sopravviverà.
A partire da questa considerazione, diventa fondamentale allora soffermarsi sul sottotitolo del saggio: Per una nuova declinazione dell’uguaglianza. È appunto qui il segreto: l’uguaglianza. L’uguaglianza oltre la sinistra.
Questa impostazione, per essere compresa appieno, richiede una riconsiderazione ontologica del tutto. Necessita di un ripensamento delle relazioni in senso orizzontale non solo fra esseri umani, bensì anche fra esseri umani e contesto naturale (di cui l’essere umano fa parte). L’uomo non è più il signore della terra, ma è un modo d’essere fra altri modi d’essere che compartecipano all’unico essere.
Pallante nota, allora, come per ripensare la società in modo ecologicamente sostenibile, sia fondamentale mettere in discussione l’antropocentrismo che caratterizza l’occidente in senso violento.
In queste pagine, mi pare si aprano spazi nuovi, utopie che baluginano all’orizzonte e che – richiamandosi esplicitamente a una spiritualità costitutiva dell’essere – creano le condizioni per un ripensamento cosmocentrico della cultura, della società, della politica e del mercato.
Destra e sinistra, conservatori e progressisti sono figure della contrapposizione, figlie della scissione ontologica, dell’opposizione tra la tesi e l’antitesi in vista di una sintesi, che in qualunque modo la si metta, è sempre violenta. Pallante, invece, invita a ripensare il mondo, e le parole che lo costituiscono, ripartendo dal singolo che non si pone più su un piedistallo rispetto al contesto. E quel singolo-in-relazione è il medesimo a cui si rivolge anche Papa Francesco nella sua Laudato si’: «bisogna operare il bene, dal momento che il male esercitato sul mondo è male fatto a se stessi». Tutto è in relazione. Perché l’essere è tutto, e niente è fuori dall’essere.
Questa nuova visione del mondo è troppo grande e complessa per poter essere espressa e compresa politicamente dalle categorie di destra e di sinistra. Qui c’è di più. C’è quella visione del mondo che si sottrae alla volontà di sopraffazione per lasciarsi dire ancora, ancora e ancora da una parola polisemica, che spalanca spazi di poesia. Quella poesia del vivere in comunione col creato e con la natura a cui tutti noi afferiamo, senza distinzione.
In questo senso – e per molti altri, che ognuno di voi saprà indicare – Destra e sinistra addio è un libro che si manifesta in un tempo opportuno. Perché se ci sarà ancora la possibilità di un domani, destra e sinistra dovranno appartenere necessariamente a un dolorosissimo passato.
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