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The Floating Piers al lago d’Iseo sta avendo una straordinaria risonanza sui media, che ne celebrano la bellezza: bellezza che peraltro sarebbe gratis per tutti, in quanto l’artista l’avrebbe finanziata interamente con «fondi propri». Ma vorremmo fare qualche riflessione e porci alcune domande.
Innanzitutto troviamo a dir poco discutibile che, per esempio, la famiglia Beretta (titolare dell’omonima industria di armi) sovvenzioni una (presunta) opera d’arte al solo scopo di riverginarsi di fronte all’opinione pubblica. Il suo è un discorso del tipo: i nostri prodotti possono anche causare la morte di esseri umani, ma noi utilizziamo i profitti per promuovere l’arte, cioè l’aspetto nobile dell’umanità. A noi sembra un discorso spaventosamente in linea con l’orrore dei nostri tempi.
Abbiamo scritto presunta, in quanto l’opera in oggetto ha, a nostro avviso, davvero ben poco di artistico. Ma su questo punto già in diversi si sono espressi e non vogliamo soffermarci ulteriormente.
La nostra principale domanda e relativa obiezione è la seguente. Al termine dell’installazione, che fine faranno i 200.000 galleggianti in poliuretano che sono serviti per costruirla? Per non parlare degli ancoraggi in cemento e tutto il resto. Verrà gettata ogni cosa in discarica? Magari anche provando a riciclare, con tutta l’energia necessaria per tale trattamento?
A noi sembrano domande fondamentali: un artista che oggi non abbia contezza di tale problema (dei rifiuti, del ciclo usa e getta delle merci) è un finto artista, è uno che vive fra le nuvole dell’economia mortifera, è un servo del pil, del produttivismo, del turbo capitalismo, che è già morto e ci sta risucchiando tutti nel proprio abisso.
Un’opera come The Floating Piers è estremamente miope e, pertanto, quanto di più contrario all’arte possa esistere.
Un ultimo suggerimento. Se avete voglia di camminare nel bel mezzo della natura e sulle sue acque limpide, andate ai laghi di Plitvice in Croazia. Una meraviglia che sta lì, a disposizione di tutti da tanti anni, e non vi chiede di affollarvi nei 15 giorni di vetrina, prima che il prodotto giunga a scadenza e finisca nelle foto ricordo di una delle tante esperienze commerciali che ci ammorbano continuamente l’aria.
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