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Quel lungo serpente fatto da trentamila persone che ha sfilato lungo le vie di Roma, da piazza Repubblica a San Giovanni, è la dimostrazione lampante che qualcosa è andato storto nei piani di chi sperava di far passare sotto silenzio l’accordo più segreto del nuovo millennio. Prima la “taglia” da 100mila euro messa da Wikileaks per chiunque riuscisse a mettere le mani sul trattato, poi le scottanti rivelazioni di Greenpeace hanno sollevato di colpo quel velo di mistero sotto cui si celava il TTIP. Controindicazioni dell’era di Internet.
Adesso il TTIP è nudo, ed è impossibile provare a nascondere sotto le spoglie di un trattato commerciale e “tecnico” il tentativo di sancire il passaggio definitivo da stato di diritto a stato di mercato (per dirla con le parole di Marco Bersani di Attac Italia) e dare il colpo di grazia alle “barriere non tariffarie”, comprendenti diritti alla salute, lavoro, tutela ambientale, ecc.
Personalmente era diverso tempo che non andavo ad una manifestazione. Come mi ha detto Ramona mentre ascoltavamo gli interventi dal palco di piazza San Giovanni, “andare alle manifestazioni non serve a nulla, ma fa un gran bene”. Già, perché sebbene nessuno al governo coglierà i segnali che arrivano dalla piazza romana, è sempre bello vedersi, parlarsi, riconoscersi, contarsi.
Erano tante le persone arrivate da tutta Italia per fermare il TTIP. Non tantissime, ma comunque tante: circa 30mila secondo gli organizzatori. E la sensazione che si respirava forte in piazza era di una battaglia che ha buone probabilità di essere vinta. I segnali sono tanti. In primis proprio la segretezza infranta, che è un problema enorme per chi (fra tutti il governo Usa) voleva approvare il trattato in fretta e furia, di nascosto, proprio per paura dell’eccessiva pubblicità. Un tentativo che aveva il suo probabile scopo nell’urgenza di arenare un cambiamento dal basso già in atto: quel cambiamento che porta sempre più persone a riscoprire il valore e la bellezza di tutto ciò che è locale, unico, non economico, dunque a ledere i diritti fondamentali dei veri cittadini dello Stato di mercato: le grandi multinazionali.
Se questo non bastasse, ci si aggiungano i continui rinvii e le difficoltà nelle trattative fra governo Usa e Commissione europea. Si è chiuso da pochi giorni il tredicesimo round dei negoziati ed è ormai chiaro che nonostante la volontà del governo Usa di chiudere in fretta la situazione ha raggiunto uno stallo. A parte il governo italiano, principale sponsorizzatore del TTIP nella commissione, sono in vari a mostrare scetticismo nelle fila europee. In particolar modo la Francia, che tramite il suo segretario di Stato francese al Commercio estero Matthias Fek fa sapere che “non c’è, in nessun modo da parte nostra, la volontà di raggiungere un accordo a ogni costo”. Insomma, ci sono ottime probabilità che l’imponente trattato sovranazionale immaginato nel 2003, iniziato a scrivere nel 2013, che doveva sancire la vittoria finale del mercato sulla società civile non veda mai la luce e si trasformi in sonora sconfitta, con buona pace dei governi e delle multinazionali.
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