Seguici su:
E dopo averla devastata, ci prendiamo pure gioco di lei dedicandole una giornata, come se commemorandola per un giorno, poi fossimo autorizzati a depredarla per il resto dell’anno. Mi riferisco a nostra madre Terra, che ormai non consideriamo più neanche una matrigna, ma una schiava da abusare fino all’ultima goccia di vita. Per fingere di rispettarla le abbiamo assegnato la giornata del 22 aprile, ma non essendo stata trasformata in festività, pochi se ne ricordano e tutti continuiamo a pesticciarla come se niente fosse. Però la giornata viene buona per ministri e capi di governo che possono approfittarne per sfoggiare impegni mai rispettati e riempirsi la bocca di retorica come sviluppo sostenibile, green economy e green generation.
Precisiamo che preoccuparsi di madre Terra, significa preoccuparsi di noi, perché se la Terra non sarà più capace di nutrirci a scomparire non sarà lei, ma noi. In conclusione continuando a prenderci gioco della Terra, in realtà ci prendiamo gioco di noi: della nostra sopravvivenza e del nostro futuro. Dunque dobbiamo agire e dobbiamo farlo in fretta perché il laccio attorno al collo si sta facendo sempre più stretto.
A ricordarcelo è un dossier infografico realizzato dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo dal titolo “L’impronta maldistribuita” . Il dato più allarmante è che come umanità abbiamo un livello di consumi che richiede 20 miliardi di ettari di terra fertile, mentre ne abbiamo a disposizione solo 12. E che stiamo vivendo al di sopra delle nostre possibilità ce lo ricorda il cambiamento climatico, frutto dell’accumulo di CO2 che da decenni produciamo oltre la capacità di assorbimento del sistema naturale.
Ovviamente dire che l’umanità vive al di sopra delle proprie possibilità è solo un modo di dire, perché sappiamo molto bene che il mondo è attraversato da profonde iniquità, per cui abbiamo gli eritrei con uno stile di vita che richiede a malapena mezzo ettaro di terra fertile e gli statunitensi che ne richiedono 8 mentre gli italiani quasi 5.
Per cui il problema di maltrattare madre Terra è essenzialmente nostro, di noi occidentali con un’impronta ben al di sopra di quella sostenibile. Ma la buona notizia è che con un po’ di buona volontà possiamo invertire il senso di marcia.
La strada è quella della sobrietà che non significa ritorno alle caverne o alla morte per tetano, ma capacità di saperci liberare dalla schiavitù dell’inutile e del superfluo, oltre a saper adottare tecnologie dolci e ad avere una maggiore disponibilità alla condivisione, che poi significa cambio di società. Ed è proprio con l’invito a reinventare la società che si conclude “L’impronta maldistribuita”, ricordandoci che la vera rivoluzione per passare dall’economia della crescita all’economia del limite è il superamento del mercato e del lavoro salariato.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento