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L’esperienza del FabLab Roma Makers a Garbatella non ci lascia solamente una riflessione sulla realtà delle stampanti 3d e sull’artigianato digitale. C’è anche una riflessione profonda sul senso di comunità, sull’economia della collaborazione, sugli spazi condivisi, sul significato dei co-working e sulla necessità di fare rete in una città come Roma, una “falsa metropoli” dove i tanti quartieri presenti rappresentano altrettante identità spesso molto differenti l’una dall’altra. Fascinoso da un lato, problematico dall’altro quando si cerca di fare sinergia tra le realtà presenti nel territorio.
Proprio per cercare di ovviare a questa dispersione nasce CoRete, un network nato allo scopo di “potenziare il lavoro e le attività delle strutture di lavoro collaborativo, dei coworking, dei fablab e di tutte le organizzazioni, le intelligenze, i saperi pratici che attraverso le proprie spontanee attività dal basso diffondono e condividono valore, alimentando una crescita sostenibile, orientata al benessere”, come si legge sul sito.
La nascita di CoRete è collegata alla scelta del quartiere di Garbatella come sede da parte del FabLab Roma Makers e alla figura di Leonardo Zaccone, community manager del Fab Lab e uno dei tanti animatori del network di CoRete. Il FabLab Roma Makers nasce a Garbatella come scelta, perché questo quartiere romano si contraddistingue da molto tempo per la sua caratteristica di condivisione: è uno dei quartieri con il maggior numero di realtà socialmente impegnate a partire da centri sociali importanti come La Strada, Casetta Rossa, qua sono sorti i primi orti urbani e qua è sorto il primo coworking comunale dell’Urban Center Millepiani. Come ulteriore esempio, Garbatella è stato anche negli anni sessanta uno dei primissimi quartieri in cui si è sviluppata la comunità di Sant’Egidio: un quartiere di profonda storia di realtà sociale di condivisione.
Dopo essere arrivato a Garbatella, il FabLab Roma Makers ha iniziato una collaborazione sempre più stretta con le realtà del quartiere: con il coworking Millepiani, il Fab Lab condivide spazi, corsi, la tessera e la mensa.
“Corete nasce in realtà da questa esperienza, ad un certo punto ci siamo domandati come testimoniare questo distretto urbano che stiamo facendo a Garbatella, come unirci, come creare questa rete e da lì abbiamo pensato di allargarla a tanti altri spazi della città, con cui avevamo comunque iniziato a lavorare” racconta Leonardo Zaccone. “Si tratta di ripetere su scala cittadina ciò che succede all’interno dei singoli spazi: persone di origine e competenze diverse, con obiettivi diversi che lavorano insieme, si conoscono, collaborano, condividono e a volte fanno anche progetti comuni. Così come le singole persone lo fanno nei coworking e nei Fablab, abbiamo detto le singole realtà possono farlo a Roma, una città molto frammentata: per ricostruire un territorio, per ricostruire una rete”.
Al momento sono circa una trentina le realtà partecipanti di CoRete, alcune nate direttamente insieme alla nascita del network. Molte persone interessate ai concetti di FabLab e co-working, partecipando alle prime riunioni informali di Corete, hanno tratto ispirazione dalle esperienze degli altri e hanno aperto uno spazio di questo tipo. “Penso al coworking della Guild Writers, il sindacato degli sceneggiatori, che è nato un mese fa e ha aderito a CoRete prima di esistere. Penso a Il Terzo Spazio, un coworking FabLab tecnologico molto interessante nato nel quartiere di Tor Sapienza dopo gli scontri urbani con le comunità di immigrati.
È una storia molto bella che racconta in parte Roma e in parte CoRete: una persona che possedeva degli spazi voleva fare qualcosa rispetto a questa situazione di Tor Sapienza, sapeva di questo nostro distretto di Garbatella, è venuto qua a capire cosa accadeva e ha chiesto un aiuto per ricostruirlo a Tor Sapienza, da qui il nome Terzo Spazio perché sarebbe il terzo spazio dopo il FabLab Roma Makers e il coworking Millepiani. Anche il nome è molto evocativo, in un quartiere difficile e periferico: una sfida molto bella quella che stanno compiendo, nata insieme a CoRete”.
Ma cosa vorrebbe diventare in realtà CoRete? Da dove si vuole partire per costruire le basi di questo network? “Nella pratica CoRete vuole diventare un hub territoriale in un territorio largo come Roma, dove provare a mettere insieme tre punti fondamentali. Il primo punto da unire sono i servizi di cui singoli coworker o professionisti potrebbero aver bisogno. Se tu raduni più persone hai anche maggiori vantaggi economici, quindi dai un sostegno all’economia circolare, prendendo le varie realtà produttive all’interno degli spazi. Il secondo punto è quello di aiutare singole realtà a comunicare e mettersi in rete, per essere più competitivi su eventuali mercati: abbiamo anche ragionato sulla possibilità di creare questo database di rete, per cui se ho bisogno di un servizio vado a vedere se all’interno di CoRete qualcuno me lo può offrire. Poi il terzo punto è quello di far sapere alla città che noi esistiamo”.
Per concludere la riflessione su CoRete è importante chiarire una differenza molto importante tra due concetti apparentemente simili, ma in realtà completamente agli antipodi nell’approccio all’economia circolare e nella comprensione di cosa è veramente CoRete: quella tra condivisione e collaborazione. Perché su CoRete si parla di economia della collaborazione e non di condivisione.
“C’è una differenza tra l’economia della condivisione e della collaborazione. Quando si parla di economia della condivisione si parla di realtà tipo Uber: ho un bene e in qualche modo lo condivido guadagnandoci. Noi qua parliamo dell’economia della collaborazione, dove il concetto non è solo condividere per fare un guadagno ma collaborare per crescere insieme. Io credo che sia l’obiettivo importante che le società devono raggiungere, quello della crescita collaborativa. Crediamo che la collaborazione possa dare dei vantaggi però dobbiamo essere in grado di sostituire l’efficacia e l’efficienza delle grosse corporates: deve essere quello il modello di riferimento, dobbiamo saper arrivare lì a livello qualitativo, di efficacia e di efficienza, di messa in rete. Ci si può arrivare, sapendo creare un sistema che in fondo è simile a molti sistemi che l’umanità ha creato da sempre: il sistema mutualistico ad esempio.
Qualcuno dice scherzando che il più grosso sistema di sharing economy è il sistema sanitario nazionale italiano, ma è vero! Tutti noi mettiamo un contributo per andare a pagare le necessità sanitarie di chi ha bisogno e magari non può spendere tutto quel contributo. E’ un modello di economia collaborativa a tutti gli effetti. Ad esempio mi immagino: cosa potrebbe accadere se Uber invece di essere gestito da una grossa multinazionale fosse gestito dai comuni? I ricavi andrebbero a sostenere il trasporto pubblico del comune stesso. Distretti di economia collaborativa che nascono per difendersi dalla corporates, che è il grosso latifondista di questo secolo”.
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