3 Mar 2016

A sud per ritrovare la vita (seconda parte)

Al sud il sole continua a splendere per chi non sente quel brivido di freddo che la civiltà settentrionale si porta dentro come un tumore. Ai nostri giorni il nord appare la locomotiva che muove il mondo. Ma il mondo non sa di trovarsi su un binario morto, a folle velocità e senza conducente. Solo un sud dell’anima, ormai, potrebbe salvarlo.

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In principio era il sud. La civiltà antica e la culla della cultura sono intimamente meridionali. Eppure ce ne siamo dimenticati, schiantati da un sentire comune che ci spinge a correre, e a correre ancora fino a sfiancarci. Per arrivare primi. Per salire in cima. Per dominare dall’alto quello spicchio del nostro mondo, che abbiamo ormai reso inabitabile. Lo sviluppo storico degli ultimi due secoli e mezzo coincide col primato del nord ai danni del sud. Dobbiamo prenderne atto.

 

Ma non è una cosa nuova: se ne era già accorto Leopardi che riscontrava negli antichi un principio di meridionalità scomparso nella modernità. Un principio basato sull’immaginazione, la sola che a suo dire avrebbe potuto ricondurre gli uomini alla realtà. Ma il tempo infame delle magnifiche sorti e progressive ha sostituito – forse in modo irrimediabile – la potenza sublime dell’immaginazione con la forza produttiva, che pretende di geometrizzare la vita, per incardinarla nel solco rigido della mercificazione.

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La civiltà moderna nasce da un’esplosione di freddo, dal ghiaccio che si attacca al cuore e dalla capacità tecnica dei settentrionali di ribaltare l’ostilità del clima, in un vantaggio per la civiltà industriale. E il vantaggio è non avere distrazioni. D’altronde quando fuori c’è nebbia e fa freddo, non resta che rintanarsi in casa o a lavoro: la produzione diventa persino un diversivo, per nascondere agli occhi l’ostilità di un luogo inospitale.

 

Un tempo, il sole e il clima meridionali erano considerati una benedizione. Ma i ritmi lenti, scanditi dal ciclo naturale dell’esistenza, sono stati presto travolti dall’insorgere del nuovo mondo, che ha rovesciato valori e rapporti. E così, la civiltà moderna ha finito per trasformare l’originario vantaggio meridionale, in un fardello da rimuovere.

 

Gli antichi e i meridionali – scrive Franco Cassano commentando Leopardi – vivono in un mondo in cui l’immaginazione è forte e dà vigore a grandi illusioni, un mondo in armonia con la natura, mentre i moderni e i settentrionali vivono in un mondo razionalizzato, che ha sostituito alla forza immaginativa delle illusioni, la forza produttiva di una civiltà che mira a ‘geometrizzare la vita’” (F. Cassano, Oltre il nulla, Laterza,  Roma-Bari 2003, p. 9).

 

In un certo senso, potremmo dire che la civiltà moderna nasce da una sorta di risentimento dei popoli settentrionali nei confronti della bellezza e del benessere del mondo meridionale. Il nord usa la tecnica per ribaltare i rapporti di forza e rendere abitabili luoghi inospitali. E così, come d’incanto – ma in realtà è un incubo – il clima freddo diventa all’improvviso una benedizione, mentre quello caldo una disgrazia. Nel primo si lavora a ritmi sostenuti, nel secondo si arranca, si cede ai piaceri della vita, ci si lascia rapire da un tramonto o da un alba, mentre gli uccelli intorno planano indisturbati.

 

Ma il vero problema è che la società industriale non tollera alternative, e spinge pertanto all’emarginazione ogni civiltà che non le si omologhi. Da qui nasce il dominio incontrastato del nord e la boria con cui guarda dall’alto in basso i popoli del sud, che chiama “paesi in via di sviluppo” o “del terzo mondo”, perché implicitamente il mondo settentrionale assume se stesso come metro universale di valutazione del benessere. Se stesso come vertice dello sviluppo o “primo mondo”.

 

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Il nord non può tollerare che al sud ci si diverta, si giochi, si faccia all’amore. Non può tollerare alternative di vita al ciclo mangia, consuma, crepa. E in tal modo s’arriva all’assurdo per cui i popoli meridionali, da sempre baciati dal sole, se vogliono sopravvivere o competere si trovano costretti a dover modificare i propri parametri, e a considerare una iattura il clima mite, che agli occhi moderni corrompe lo spirito e svia dal lavoro. E si ripete il mantra: il sud deve diventare nord.

 

Attorno restano solo croste di ghiaccio. Il mondo contemporaneo è mosso da un brivido di freddo che impietra il cuore e che costringe l’essere umano ad operare senza sosta, per non fermarsi. Perché chi si ferma è perduto: così dicono. Ma è solo un espediente, un modo di riempire i vuoti d’esistenza, affinché nessuno abbia il tempo di riflettere sul vuoto di senso che lo circonda.

 

Mentre il tempo dobbiamo prendercelo di nuovo. E forse, quando la pazienza della riflessione e dell’incanto ci renderà la vita per ciò che è, un giorno saremo magari in grado di tornare al nostro sud. Di tornare a ubriacarci di luna e di satelliti cangianti, distesi sotto un cielo stellato, o smarrendoci sulla linea dell’orizzonte, mentre il sole scende calmo dietro la cima dei monti, per tornare a scaldarci di nuovo, domani…

 

Torno al sud
come si torna sempre all’amore
torno da te
col mio desiderio, col mio timore
porto il sud
nel cuore come un destino
sono del sud
come le arie del bandoneón
sogno il sud
luna immensa, rovescio del cielo
cerco il sud
il tempo aperto, e quello che verrà
amo il sud
la sua gente buona, la sua dignità
sento il sud
come il tuo corpo nell’intimità
ti amo sud
ti amo davvero
e torno al sud
come si torna sempre all’amore
torno da te
col mio desiderio, col mio timore.
(canzone scritta da Fernando Solanas, musica di Astor Piazzolla, traduzione nostra)

 

 

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