Stock Island e l'isola carcere di Gorgona: modelli di convivenza tra uomini e animali
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Stock Island Detention Center, in Florida, è un carcere noto tra gli abitanti per avere una doppia valenza sociale: oltre ad essere un centro di riabilitazione per le persone, è diventato, negli anni, anche un santuario per animali di allevamento, esotici e domestici, trascurati oppure sequestrati a persone che li maltrattavano o abusavano di essi. Il rifugio, fondato nel 1994, è nato inizialmente con la costruzione di un piccolo stagno per salvare le anatre che spesso venivano ferite o uccise dalle automobili di passaggio sulla strada che costeggia la struttura penitenziaria. Quando si è sparsa la voce che il carcere accoglieva animali bisognosi, il piccolo rifugio si è trasformato in un santuario vero e proprio destinato a tutti gli animali di tutte le specie, anche quelle selvatiche, sequestrate al commercio di animali esotici. Tra i residenti più noti c’è Mo, un bradipo, diventato una sorta di “mascotte” dell’istituto.
La struttura ospita circa 150 animali, tra i quali un alligatore acquistato dai precedenti “proprietari” per essere allevato come animale domestico e poi consegnato al santuario, Albert, una tartaruga ceduta perché diventata tanto grande da non riuscire più a gestirla e un cavallo di nome Angelo, quasi cieco. Cinque dei 596 detenuti del carcere si prendono cura degli animali, seguiti da un veterinario e dalla custode della struttura, Jeanne Selander, che ha una solida preparazione in biologia marina. Per i detenuti, nutrire, curare, pulire gli animali non rappresenta solo una “pausa” giornaliera dalla routine della prigione, ma un momento da dedicare a qualcuno, a esseri che hanno bisogno di compassione, di attenzione, proprio come loro, e l’esperienza di aiutarli non può che essere significativamente positiva nel loro percorso di riabilitazione.
Gli animali, invece, trovano in Stock Island Detention Center una casa per sempre, dove non saranno più maltrattati o abusati dagli esseri umani. Il santuario è aperto al pubblico due volte al mese, con l’obiettivo di insegnare ai visitatori, bambini inclusi, il rispetto verso gli animali e, soprattutto, il messaggio che gli animali selvatici non sono animali domestici, non importa quanto essi siano carini. Gli animali non sono costretti a interagire con il pubblico; alcuni mostrano curiosità e attenzione verso le persone, altri no, ma a nessuno è permesso di avvicinarsi a loro.
Leggendo questa storia, inevitabilmente, il mio pensiero va a Gorgona, l’ultima isola-carcere italiana, situata nell’arcipelago toscano, nota soprattutto per la convivenza tra uomini e animali; lì sono nate straordinarie relazioni interspecifiche, che hanno dato vita a alleanze e amicizie tra i detenuti, protagonisti di un percorso rieducativo, e gli animali salvati dall’industria zootecnica. “Gli animali non sono cose, né macchine” cita l’art.1 di “Ogni specie di libertà. Carta dei Diritti degli Animali di Gorgona”, un patto composto da 36 articoli, sancito dal medico veterinario Marco Verdone, che, a Gorgona, ha lavorato per 25 anni.
La Carta, infatti, è un’alleanza speciale nata tra detenuti e animali sull’isola-carcere, dove l’uomo ha scelto di non uccidere più i suoi “compagni di viaggio”, sognando un mondo senza gabbie e prigioni. Un altro passaggio significativo in questo percorso di riconoscimento dei diritti agli altri animali, oltre alla Carta, è il Decreto di Grazia dato dall’ex Direttore del carcere, Carlo Mazzerbo, che ha concesso e garantito a diversi animali tra cui una mucca e a un maiale, lo “status di animali rifugiati e cooperatori del trattamento” presso la Casa di Reclusione.
Oggi, il “Progetto Gorgona” è in pericolo perché l’Amministrazione penitenziaria ha deciso di affidare a un soggetto privato la gestione delle attività produttive, animali sull’isola compresi. A muoversi per salvare l’isola modello, persone di ogni estrazione culturale e operanti in diversi ambiti professionali.
La petizione, lanciata dalla Lega Antivivisezione, Essere Animali e Ippoasi, è stata firmata da migliaia di cittadini e a maggio 2015 è stata approvata in Senato una mozione, che impegna il Governo a “valorizzare e promuovere buone pratiche come l’esperienza di reinserimento e recupero dei detenuti del carcere dell’isola di Gorgona attraverso attività con animali domestici”. Dopo la petizione e la mozione, diversi personaggi della cultura e dello spettacolo hanno firmato un documento dal titolo inequivocabile: “Appello per Gorgona: l’isola delle buone pratiche nella relazione umano-animale”.
“Una vasta comunità di persone, di ogni parte d’Italia e non solo, sostiene il progetto di pace, “Gorgona”, l’isola che c’è”. Il sindaco di Livorno Filippo Nogarin ha incontrato una rappresentanza di soggetti ai quali ha assicurato la piena disponibilità a fare dell’isola di Gorgona un esempio unico al mondo. Un carcere senza sfruttamenti e violenze tra umani e altri animali. Un’isola che, tra le tante cose che ha da offrire, presenta un’esperienza originale, una risorsa culturale ed etica “rinnovabile”. Un luogo che cerca di garantire i diritti fondamentali a tutti e dove sia pienamente soddisfatto il dettato Costituzionale espresso nel noto art. 27 che chiaramente non si può realizzare uccidendo “qualcun altro” dichiara Marco Verdone. [Cost. Italiana art. 27: (…) Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato (…)] .
Mentre è straziante veder morire un progetto eccezionale come quello di Gorgona è allo stesso tempo toccante veder fiorire a più di 8.000 chilometri di distanza l’isola-carcere “gemella”, dove il percorso rieducativo dei detenuti si intreccia al percorso di tutela degli animali.
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