Seguici su:
Pochi giorni fa si è tolto la vita Keith Emerson. I giornali e la gente provano a cercarne i motivi, in tutti i modi: era malato, non poteva più suonare, non voleva deludere i fans ecc. Ogni volta che un artista, uno di quelli che avranno dimora in Parnaso dopo che Castalia li ha dissetati, ogni volta che uno di loro decide di andarsene, prendendosi la libertà di scegliere la propria morte, il volgo tenta di incasellare il gesto dentro confini conosciuti. Ne cerca le motivazioni dentro il proprio orizzonte esistenziale, dentro i limiti del proprio linguaggio.
Così, se l’artista aveva parlato di malinconia, il volgo parla di depressione. Se l’artista esprimeva disperazione, il volgo vi leggeva problemi economici. Se l’artista parlava di carnalità, il volgo traduceva con devianza sessuale. Se l’artista sottolineava la spiritualità, il volgo la prendeva per conversione religiosa. Se l’artista amava la contemplazione, il volgo intendeva che non aveva voglia di lavorare. Se l’artista anela al silenzio eterno degli spazi infiniti, il volgo crede che soffra l’essere sprovvisto di amici e/o amanti. La verità è che gli spiriti eletti si suicidano per il peso del mondo.
Un peso fatto di sentimento del tempo, di nostalgia, di amarezza e di dolcezza insieme, di struggimento, di musica palpitante, di poesia, di sguardo disperato e sognante allo stesso tempo, profondo e desolato, di fragilità e di amore lontano.
“Gracias a la vida” aveva scritto la limpida e cristallina artista che aveva nome Violeta Parra. Poi decise di suicidarsi. Ecco cos’è il peso del mondo: un inno alla vita fatto da chi è troppo albatro e troppo profeta per camminare sulla terra con le grandi ali di gigante.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento