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Alla frontiera di Lao Cai non sono l’unica in bici e sono di gran lunga la meno carica fra tutti; le dozzine di cinesi e vietnamiti fanno passare da un lato all’altro chili e chili di merce caricata sulle loro bici attrezzate di portabagagli supplementari: davanti, dietro, sui lati, sopra. Non possono nemmeno sedersi, non c’è più la sella e hanno prolungato il manubrio con un bastone per manovrarla con una mano, mentre l’altra sostiene il carico. Tuttavia sono la sola a cui i cinesi fanno passare i bagagli ai raggi X…
I militari mi restituiscono il passaporto col timbro, 28 novembre 2015. È un momento importante, il Vietnam. Ne parlavamo sempre come uno di quei posti lontani, che sarebbe arrivato dopo mesi e mesi, forse anche dopo anni di cammino. Un anno e mezzo dopo il primo giro di ruota a Niort, in Francia, pedalo nell’Asia del sud-est! Dopo tanti Paesi attraversati, spesso sorvolati, che si percepiscono vagamente dall’oblò di un aereo, l’emozione è forte. Sono contenta, ma allo stesso tempo un po’ triste, avrei voluto passare questa frontiera mano nella mano con Marco, condividere con lui questo momento di felicità.
Per la seconda volta nel viaggio, l’orologio va un’ora indietro, la prima volta fu al confine tra Spagna e Portogallo. Adesso vado sempre più a Est, ma la Cina intera è sincronizzata all’orario di Pechino. Prima di lasciare la città devo assolutamente trovarmi una mappa cartacea del Vietnam, sono sempre senza gps e smartphone. Dopo un’ora di ricerche ne scovo una abbastanza dettagliata in un angolo polveroso di una cartoleria. Non ci sono indicati i dislivelli, sarà quindi una continua sorpresa, a cominciare da oggi che decido di prendere la strada per Sapa.
La vallata è magnifica, ovunque ci sono terrazzamenti, gli abitanti indossano vestiti tradizionali molto colorati, che bello, mi offrono del tè non appena faccio una pausa per riprendere fiato, Sapa è a 1600mt d’atitudine! Dalla nebbia spunta il campanile di una chiesa, Notre-Dame del Rosario, sul portone un pannello indica in francese “aprite la porta, per favore”, entro, un ragazzo suona l’organo, che bello, non c’è nessuno. Alle spalle della chiesa le tombe di due preti francesi…risalgono ai tempi delle colonie.
Dopo tutti questi Paesi attraversati così diversi, dopo così tanti chilometri percorsi, ritrovare qui la lingua francese, i segni della religione cristiana cattolica, non mi par vero. Mi sembra di sognare quando davanti a me appaiono montagne di cornetti, pane all’uvetta passa, baguette… ho le lacrime agli occhi quando mordo una di queste delizie, il paradiso in terra; i vietnamiti hanno saputo prendere il meglio dai francesi: la buona panetteria francese!
Lascio Sapa, una vera trappola per turisti, per passare il colle Dèo O Quy Hô. La strada costeggia cascate, risaie a terrazze, casette tradizionali in legno, poi più in alto è la giungla, fittissima. La vista è incredibile in cima al monte Dinh Phâng Xi Pang a 3148mt. Assisto allo spettacolo ballerino delle nuvole che si alzano, scendono, risalgono, coprono la vista, poi la liberano tanto velocemente quanto il vento che soffia imponente nella direzione opposta alla mia.
Gli ultimi metri la salita e il vento sono così forti che non posso fare a meno di mettere i piedi a terra. La discesa è una goduria di cime, rocce scoscese e una giungla impenetrabile. È così ripida che, per questa volta, benedico il vento contrario che mi rallenta e mi fa risparmiare i tacchetti dei freni, tuttavia il paesaggio sfila rapidamente, supero addirittura un camion! L’adrenalina è una droga! Sono euforica!
Man mano che perdo quota la presenza umana riappare: qualche casetta, dei banani, dei bufali con la faccia che assomiglia ad una mucca e con il corpo che sembra un grosso maiale nero, un ponte sospeso che valica un torrente, freno fino a farmi male le mani, voglio fermarmi e prendermi il tempo di contemplare questa natura pazza.
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