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Osvaldo ha superato i cinquant’anni. Una moglie, due figli ormai grandi. Ha raggiunto una certa posizione sociale, che gli dà sicurezza economica e un discreto potere su chi gli sta intorno. È sostanzialmente soddisfatto di come vanno le cose, di come procede la sua vita. Vorrebbe di più, certo, ma non si lamenta poiché possiede tutto ciò che lo rende ben inserito nella società e, in ogni caso, tutto ciò che la società reputa importante per il benessere e forse anche per la felicità.
Un bel giorno il suo più caro amico lo convince a fare un viaggio insieme: due settimane in un paese che lui chiama del terzo mondo. Un diversivo esotico, una piccola fuga goliardica: un breve ritorno ai tempi della gioventù spensierata, così, per ritemprare lo spirito.
Appena arrivati Osvaldo respira un’aria diversa, che non si aspettava. Non ci sono i comfort, non c’è molta tecnologia, non ci sono grossi ospedali e centri commerciali. Non c’è il cosiddetto “benessere”, ma lui avverte che si “sta bene” lo stesso (cfr. benessere).
La prima sera che esce con l’amico conosce Liudmila. Lei è giovane e aperta alla vita. Lui la guarda negli occhi a lungo e vi sprofonda come in un oceano di dolcezza. Non può sottrarsi a quell’incantamento. Non provava una sensazione del genere da quando era adolescente.
Inizia una bella storia d’amore, fatta di libertà e respiri profumati, di leggerezza e sorrisi infiniti, che non aveva mai osato sperare. Due settimane di una vita che non pensava potesse esistere, che non aveva mai neppure immaginato.
Quando torna a casa è tutto grigio. Tornano i rapporti di potere sul luogo di lavoro, che prima lo gratificavano, ma ora comprende come fossero terribilmente stupidi, come rappresentassero una sciocca droga contro l’infelicità. Tornano i rapporti sfilacciati con la moglie, che ha creduto di amare ma con la quale capisce ora di essersi scambiato solo qualche rinsecchita effusione. Torna la burocrazia quotidiana, prima accettata come inevitabile per vivere nel benessere e ora percepita in tutta la sua mortifera assurdità: pause pranzo, sportelli bancari e postali, arredamenti e automobili, medici e avvocati.
Gli tornano in mente allora, quasi scaturite da una piega della coscienza, le parole di un film visto tanti anni fa e archiviato con indifferenza e disattenzione come un qualcosa di poetico, cioè di lontano dalla realtà: “voglio andare a sud, dove la vita e il desiderio siano possibili”. Ora ne comprende il significato profondo ma, forse, è troppo tardi.
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