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Avete preso posizione anche contro il TAV, giusto?
Il movimento No TAV penso che sia un movimento che ha mille buone ragioni per esistere: dal punto di vista trasportistico, economico, ambientale ed anche e soprattutto dal punto di vista del rispetto delle autonomie locali: ogni vallata, ogni comunità è bene che abbia la possibilità di pronunciarsi. Cosa che invece al momento non è permessa ai Valsusini.
C’è da dire che proprio in Val di Susa ci fu uno dei primi nuclei storici degli Obiettori di Coscienza. Poi lì in Val di Susa ci fu anche il secondo caso di operaio “obiettore bellico” (del primo caso ne abbiamo parlato nell’articolo precedente, ndr). C’era un bel gruppo nonviolento, si chiamava “Gruppo Valsusino di Azione Nonviolenta” e Alberto Perino, attuale leader del movimento No TAV della Val di Susa, era uno di loro, per cui lui sa di cosa si parla quando si parla di nonviolenza. All’inizio di tutto il movimento No TAV noi Nonviolenti c’eravamo dentro, condividendo e facendo anche tutte le azioni, manifestazioni, blocchi di città in città. Poi le modalità del movimento no TAV hanno preso pieghe diverse e questo ha dato modo anche a noi di fare delle riflessioni sul metodo, poiché i metodi che applichi prefigurano il fine che raggiungi.
Poi il movimento è esploso, un po’ anche per mancanza nostra, probabilmente, per non averlo sostenuto appieno, per non averne fatto un caso nazionale, come invece abbiamo fatto con Montalto (vedi il il terzo articolo, ndr), sospendendo tutto il resto per combattere contro il nucleare. Per la Val di Susa non l’abbiamo fatto, presi come eravamo da mille altre cose, un po’ ridotti nei numeri, nelle energie e nelle finanze. Non abbiamo detto: “ Tutti in Val di Susa”! Probabilmente questo è stato il nostro errore iniziale di valutazione, per cui abbiamo lasciato la questione agli amici della Val di Susa.
Quando la cosa è esplosa ed è diventato il Movimento No TAV con tutte le altre componenti: centri sociali, disobbedienti e così via e ha preso un’altra piega sul piano del metodo, abbiamo cercato di rimettere la cosa sul binario giusto, però sul piano numerico e anche della capacità di comunicazione nazionale sui media, non ce l’abbiamo fatta: pur rivendicando che l’origine del gruppo storico era nonviolenta, non ha funzionato.
Un’occasione persa anche per il Movimento No TAV?
Sicuramente, anche alcuni di loro si sono ritirati. Il fatto che le manifestazioni a volte degenerino, si sa, può accadere. Ma in certe manifestazioni è preordinato che debbano finire in un certo modo: se tu arrivi coi passamontagna, con i caschi etc. (come succede per alcuni dei gruppi che manifestano contro il TAV), vuol dire che scegli un metodo di lotta che noi non possiamo condividere, né possiamo sentirci coinvolti o corresponsabili. Dopo questa fase abbiamo cercato di riaprire un dialogo, ma non è andato avanti.
E lì quindi c’era da fare e abbiamo fatto, anche e soprattutto per i giovani come propedeutica su future Campagne, una riflessione sul metodo e sulla nonviolenza che non è che vada improvvisata. Essendo una cosa complessa, come tutte le arti umane, ti devi addestrare: la nonviolenza è un’arte come lo è dipingere. Così come bisognerebbe andare a scuola di pittura, bisognerebbe andare a “scuola di nonviolenza”. Condurre manifestazioni importanti e imponenti dovendo coordinare migliaia di persone come in Val di Susa è una responsabilità e ci vuole un nucleo ben definito che conduca la cosa. Quindi training e formazione alla nonviolenza.
Ecco per noi quella è stata l’occasione per ri-riflettere su questo aspetto, come lo era stato a suo tempo il movimento antimilitarista che è stata una palestra di vita per capire come fare. Anche oggi dovremmo certamente creare occasione per i giovani per una riflessione importante sui metodi e le tecniche della nonviolenza.
Perché la manifestazione serve a farsi capire, a conquistare l’opinione pubblica, ma se ti presenti in modo da fare paura perché sei bardato, hai gli scudi, hai delle mazze, l’opinione pubblica l’allontani, non l’avvicini di certo. Siccome l’opinione pubblica è l’elemento decisivo nei confronti politici, la prima attenzione dev’essere rivolta ad essa.
Lo stesso nei confronti delle forze dell’ordine, poiché sono quelle che dovrebbero difendere noi, il nostro diritto di manifestare, non sono il contraltare. Quindi se si comincia un’azione pensando che il nemico sia la Polizia, le cose non possono che complicarsi. Bisogna tenere bene in mente che il nemico è il TAV, sono le industrie che la stanno costruendo, l’intero progetto del TAV, non la Polizia. Quindi è tutta un’impostazione diversa che va organizzata, capita, spiegata.
Entrate nelle scuole ad insegnare la nonviolenza?
Quando ci chiamano sì! Non c’è attualmente un vero e proprio programma nazionale, ma diversi progetti attivi. Alcuni li abbiamo presentati anche in occasione delle celebrazioni del centenario della I guerra mondiale: nelle scuole si stanno intraprendendo vari percorsi per spiegare il vero volto della I guerra mondiale e cos’è realmente successo nel nostro Paese, senza la retorica patriottarda. I percorsi ci sono però, anche grazie al fatto che anni fa c’era proprio un gruppo di insegnanti nonviolenti che lavoravano in questa specifica direzione, anche preparando materiali didattici specifici. Questi progetti non sono però così diffusi come ci sarebbe bisogno. Oggi poi è meno frequente che si insegni la nonviolenza di quanto ci sarebbe realmente bisogno.
In tutti i movimenti storici nonviolenti il 1º punto programmatico è sempre stato quello educativo. Come Gandhi con il progetto sulla scuola, con la riforma che aveva attuato insieme a Maria Montessori, che aveva chiamato in India per questo scopo. Quando Gandhi venne in Italia durante il periodo fascista ci fu un brevissimo contatto con Maria Montessori. Egli intuì la grandezza del metodo Montessori e si fece dare tutto il materiale per studiare la sua proposta e quando tornò in India la chiamò per la sua riforma scolastica.
Vorrei organizzare un convegno Gandhi-Montessori, prossimamente. Il metodo Montessori era chiaramente un metodo nonviolento e riprendere questa tradizione sarebbe davvero auspicabile. Anche perché in Italia abbiamo una tradizione straordinaria del metodo nonviolento che si origina da S. Francesco per poi arrivare fino ad Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lanza del Vasto (dicono che è francese, ma è italiano!), Don Lorenzo Milani ed ovviamente appunto Maria Montessori. Insomma abbiamo avuto fior fiore di scuole nonviolente, di maestri del pensiero nonviolento, purtroppo non valorizzati, conosciuti di più all’estero. Dolci lo conoscono molto di più in Svezia, Norvegia, etc., tuttora lo studiano anche all’università, mentre qui in Italia la sua conoscenza è ristretta agli ambiti nonviolenti. Maria Montessori l’abbiamo messa sulle 1000 lire ma in realtà il grande pubblico non la conosce. C’è tutto un settore culturale che dovremmo rivendicare e rivalorizzare.
“Esempio, educazione, persuasione”, cosa significano per voi?
I metodi di lotta nonviolenta come diceva Aldo Capitini, sono un modo di risolvere i conflitti che ha una sua gradualità. Si parte dal primo gradino che è quello del proprio esempio: devi essere tu stesso il portatore di una modalità diversa, per questo ci basiamo molto sulla formazione; quando una persona decide di far parte del Movimento Nonviolento, gli viene proposta subito un’auto-formazione con l’approfondimento, e la lettura di numerosi testi, ma anche con l’addestramento personale. Se non sei tu in grado di risolvere i tuoi conflitti personali in modo nonviolento, con i tuoi amici, nella tua famiglia, coi tuoi amori etc., non riesci certo a dare il buon esempio agli altri. Per quanto a nessuno venga chiesto di fare l’eroe (si arriva dove si può arrivare, nessuno giudica), il primo richiamo dev’essere lì: nella propria persona.
Gandhi dice “Cambia te stesso e cambierai il mondo”, quindi parti da te stesso, il primo cambiamento è su te stesso. Perché anche noi ci richiamiamo sempre ai grandi maestri? Perché con la loro testimonianza sono persone che ci conquistano proprio per questo. Perché S. Francesco piace a tutti: laici e atei? Perché aveva la forza della coerenza. Così per Gesù Cristo ed altri grandi profeti di pace. La loro forza è stata la coerenza e l’esempio personale: dimostri che la nonviolenza funziona partendo da te stesso!
L’educazione deve partire dai bambini: “educa un bambino e salverai il mondo”! Diceva Maria Montessori. La pace la costruisci un bambino alla volta. Se in un Pese si crea una formula educativa di tipo nonviolento i risultati si vedono, come nelle scuole Montessoriane, anche a distanza di anni e di decenni: un bambino che si è formato a quella scuola è facile che sia un adulto più consapevole, che abbia un atteggiamento diverso con la realtà circostante.
L’obiettivo di questa educazione (fin da bambini con il gioco e la cooperazione) e di questo esempio con il metodo della nonviolenza è arrivare alla persuasione. Se tu sei persuaso, che è un termine che usa molto Aldo Capitini nella sua filosofia della nonviolenza, la scelta che tu fai alla fine ti pervade in tutte le tue azioni. Alla fine desideri applicarla a tutte le fasi della vita: dalla nascita (di tuo figlio con il parto dolce di Leboyer ad esempio) fino alla morte possibilmente. Certo, non sempre dipende tutto da noi, però tutto ciò che avviene nel mezzo della vita può essere vissuto con un atteggiamento di nonviolenza.
Qual è il significato ultimo della nonviolenza?
Per Gandhi era il Satyagraha: la forza della verità. Insisteva molto sull’elemento di ricerca della verità: la verità che ti apre al futuro, al prossimo, etc. Poi per Gandhi coincideva con la sua religione: “La verità è Dio, poiché Dio è verità”. Per Martin Luther King la nonviolenza era la forza dell’amore “the power of love”.
Ma la definizione per me più persuasiva è quella che ne ha fatto Aldo Capitini: “ La nonviolenza è apertura: all’esistenza, alla libertà e allo sviluppo di ogni essere”. In seguito, a questa frase aggiunse la parola “vivente”. Ma la prima versione era di ogni “essere”, perché lui diceva: “Oggi noi diciamo che il mondo minerale è un’altra cosa rispetto al mondo animale e vegetale, ma chi ci dice che un giorno veniamo a scoprire che c’è una qualche forma di sensibilità anche dentro un sasso, che ha una sua identità?”. Se ti persuadi di questo, hai un atteggiamento diverso e riesci a mettere in fila tutto quanto: difesa, disarmo, obiezione, disobbedienza civile.
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