5 Feb 2016

Il Movimento Nonviolento contro l'industria delle armi (quarta parte)

Scritto da: Veronica Tarozzi

Ecco la penultima parte dell'intervista che abbiamo realizzato con il Presidente del Movimento Nonviolento. Mao Valpiana ci racconta qual è stato il rapporto con la politica e le azioni condotte per contrastare il finanziamento e la fabbricazione di armi in Italia.

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Ci sono state collaborazioni con la politica?
A differenza di altri Paesi, in Italia si è sviluppato abbastanza il rapporto tra il Movimento Nonviolento (MN) e i partiti politici, visto che diversi di essi si sono richiamati esplicitamente alla nonviolenza. In qualche caso abbiamo aperto interlocuzioni e collaborazioni dirette. La prima fu quella col Partito Radicale (PR), visto che, specialmente all’inizio negli anni ’70, era esplicitamente nonviolento e antimilitarista. Tant’è che misero l’effige di Gandhi anche nel loro simbolo. In quegli anni si collaborava fianco a fianco con il PR sulla Campagna dell’obiezione di coscienza (odc). Anche molti Obiettori di Coscienza (OdC) erano di origine radicale.

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Poi quando i Radicali si presentarono alle elezioni politiche per la prima volta, ottenendo i primi quattro seggi, alcuni nonviolenti si candidarono nelle liste per rafforzare questo legame, sostenendo un partito che per la prima volta si richiamava esplicitamente alla nonviolenza. Successivamente il PR prese altre strade, fino ad arrivare alla giustificazione degli interventi militari. Fu qui che le nostre strade si separarono. Inizialmente però il PR era anche nell’organizzazione di cui tuttora facciamo parteanche noi: la “War Resisters’ International”, l’organizzazione internazionale dei resistenti alla guerra che ha sede a Londra, che raggruppa tutti i movimenti nonviolenti mondiali. Per l’Italia c’eravamo noi e il PR, ma dopo le dichiarazioni di Pannella a favore dell’intervento militare in Croazia, i Radicali furono estromessi.

 

Sul finire degli anni ’70, inizi anni ’80, in Italia nacque il movimento ambientalista e le prime liste verdi, che poi andarono a formare la Federazione dei Verdi. L’occasione era importante poiché essi raccoglievano l’eredità del movimento antinucleare e di tutte le associazioni ambientaliste e animaliste, tutto quell’arcipelago con cui si era lavorato insieme nel movimento antinucleare. Fu così che il MN in alcuni casi, come del resto a Verona, partecipò alla formazione delle liste verdi come esperimento nuovo: un tentativo di rinnovamento della politica con i giovani e dal basso, fuori dalla struttura dei partiti etc. Entrai anch’io e fui eletto Consigliere Comunale nella città di Verona.

 

C’è qualche collegamento tra i Noviolenti ed il movimento anarchico?
In Italia con la Campagna per l’obiezione di coscienza collaborammo anche con gli Anarchici, ma loro poi proseguirono con quella che chiamano l’“obiezione totale” anche al Servizio Civile (SC), poiché rifiutano qualsiasi servizio prestato allo Stato. Tra gli Anarchici con cui lavorammo, ci fu ad esempio Giuseppe Pinelli  e posso assicurare che fosse un vero nonviolento. Poi in Italia dai tragici fatti di Piazza Fontana  le vicende del Movimento Anarchico furono piuttosto complesse.

 

Per un periodo ci furono anche dei gruppi che si richiamavano alla nonviolenza come: “Nonviolenza e/è Anarchia” (Giovanni Trapani era il loro leader in Italia, scomparso nel 1998). Però il filone del movimento anarchico tradizionale più che nonviolento, lo considero aviolento: non prevede l’uso della violenza, che è una forma di sopruso sull’altro. Io faccio sempre distinzione tra astensione dalla violenza e nonviolenza vera e propria, quella che noi scriviamo tutto attaccato, che rende l’idea di una cosa positiva, più Gandhiana diciamo.
Anche Gandhi in una certa fase della sua vita si è definito anarchico (successivamente però dichiarò di sentirsi maggiormente socialista, poiché dava una maggiore dimensione di collettività). In sintesi posso dire che con gli Anarchici abbiamo lavorato soprattutto sull’odc, ma tuttora siamo in contatto e scambio con la redazione della rivista anarchica.

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Quali azioni avete condotto contro le grandi industrie belliche italiane?

Sull’industria bellica il tema l’abbiamo sempre affrontato con proposte di riconversione. Per lavorare nel migliore dei modi cercavamo anche dei contatti sindacali, che però furono sempre molto ridotti, poiché il grosso del sindacato è a tutela della difesa del lavoro, anche di quel tipo specifico. Però ad esempio la FIOM è sempre stata d’accordo con noi e con essa anche alcuni singoli sindacalisti. Per cui con questi sindacalisti si lavorava per proporre dei piani di riconversione.

 

Nel contempo si originarono due casi di operai di industrie belliche che avevano deciso di obiettare, avendo realizzato che costruire armi fosse contro la loro coscienza. Il primo caso famoso fu quello di Maurizio Saggioro  nel 1979. Ci chiese sostegno e noi ovviamente glielo accordammo. Una volta fatta la dichiarazione di obc, fu licenziato e si aprì tutto un contenzioso sulla legittimità o meno del licenziamento. Alla fine andò a fare il falegname. Però tutta la sua vicenda che durò parecchio e così anche il nostro sostegno, fu il primo caso in Italia di obiezione di coscienza sul lavoro. Non vincemmo la causa, ma essa costituì una tematica nuova ed importante che aprimmo in quegli anni. Per cui anche in quel caso facemmo dei convegni e dei seminari a Genova, per studiare nel dettaglio ed approfondire il tema.

 

Sempre in quel periodo, ogni due anni a Genova, facevano una mostra navale bellica internazionale (in Liguria, più recisamente a La Spezia, c’è un’alta concentrazione di fabbriche d’armi della Marina Militare). In una di queste occasioni riuscimmo a creare una grossa mobilitazione: la città era bloccata dall’enorme manifestazione, anche grazie al sostegno internazionale (tra gli altri, anche i Nonviolenti francesi). Il nostro scopo era denunciare questa vera e propria fiera dell’industria militare della Marina. Poi la cosa si spostò a Brescia ed anche questa fiera la contestammo per vari anni. La presentavano come fiera della armi sportive. In realtà nella fiera si commerciavano anche armi belliche. La Beretta, di fabbricazione italiana, è l’arma più diffusa a livello mondiale. Ora la fiera l’hanno spostata a Vicenza. Anche qui abbiamo già aperto un dialogo con l’Ente Fiera di Vicenza, chiedendo almeno di non aprirla ai minori.

 

Avete mai previsto un piano per il disarmo?
Certo: la tradizione nonviolenta dice che ogni Paese dovrebbe lavorare per un disarmo unilaterale. Gandhi prevedeva che l’India del futuro, quella che stava costruendo anche per mezzo di un sistema scolastico innovativo (già citato nel primo articolo sulla nonviolenza, ndr) e di un vero e proprio esercito di pace: quello dei Nonviolenti, si sarebbe avviata verso il disarmo. Diceva: “Ogni Paese pensi al proprio disarmo unilaterale”. A un certo punto anche un famoso scrittore ed editorialista del Corriere della Sera, Carlo Cassola, adottò la bandiera del disarmo unilaterale e fondò la Lega per il Disarmo Unilaterale dell’Italia.

 

L’idea era quella che se aspettiamo il disarmo generale mondiale non ci arriveremo mai. I trattati per il disarmo non hanno mai portato a niente e le armi diventano sempre più sofisticate. Quindi la strada dell’accordo bilaterale non è perseguibile, perché ognuno aspetta che sia l’altro a fare il primo passo. Il primo esempio storico importante di disarmo unilaterale parziale è quello che fece Michail Gorbaciov quando ritirò i sui missili SS20 prima del crollo dell’Unione Sovietica. Allora c’era il forte confronto Est-Ovest e si stavano installando i Pershing e i Cruise. Anche in Italia si prevedeva l’istallazione dei missili Cruise, a Comiso in Sicilia, in risposta al riarmo dell’Unione Sovietica. Stavano installando i missili anche in Germania. A quel punto il confronto era molto duro e si rischiava lo scontro o magari un incidente che avrebbe favorito lo scontro. Fu allora che Gobaciov fece il ritiro unilaterale degli SS20, proprio per evitare un punto di non ritorno verso il conflitto armato. Certamente c’erano mille altri motivi per cui lo fece, tra cui quello economico, visto che l’impero sovietico stava implodendo. Ma questo importante e memorabile gesto lo fece e questo provocò il ritiro immediato anche da parte della Nato dei Pershing e dei Cruise. Anche la base di Comiso non fu più aperta.È un classico esempio, che il disarmo possa funzionare sul piano internazionale. Non è un’utopia.

Il MN punta al disarmo unilaterale, il Paese deve dire: “Io la strada della guerra non la percorro più, sciolgo il mio esercito, non costruisco più armi, cerco di organizzare una mia difesa territoriale su principi non armati e nonviolenti”. Gandhi diceva che questo sarebbe stato l’esempio: “Se un Paese inizia, sarà un esempio virtuoso che verrà copiato.

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Oggi ad esempio il Costa Rica non ha un esercito (sono 22 in tutto nel mondo i Paesi senza esercito, ndr) ed è il Paese più ricco del Centro America, perché tutte le spese che non fa per gli armamenti le ha fatte per investimenti sul piano civile. Quindi non mantenendo in Italia la struttura militare e tutti i progetti di armamenti che abbiamo a partire dagli F35, avremmo fondi per risolvere tutta la crisi economica. Altro che manovra di governo, fai la manovra di 10 anni in un colpo solo! Paghi le pensioni, raddoppi gli stipendi agli insegnanti che insegnano meglio, la scuola diventa di nuovo florida, investi sulla ricerca, sull’università, sui giovani, non hai più disoccupazione etc. Questi calcoli esistono e sono stati dimostrati: sono evidenti ed incontestabili. Era anche una Campagna di Aldo Capitini, oltre che essere sempre stata uno dei punti chiave nella strategia nonviolenta.

 

L’opinione pubblica su questo aspetto però non è dalla nostra parte. Perché la gente si chiede: “Come ci difendiamo se ci invadono?” (questo punto è stato già affrontato nella prima parte dell’intervista, ndr). Sono i soliti stereotipi dati dall’idea che l’armamento ti difende, mentre ragionando, discutendo e studiando la storia, in realtà vedi che l’armamento ti mette più a rischio. Come quando si ha l’arma in casa per difendersi dai ladri: in realtà si è maggiormente a rischio perché magari non la si sa maneggiare nel migliore dei modi, o semplicemente tirando fuori l’arma istighi l’eventuale malvivente ad utilizzare a sua volta la sua arma e via dicendo. Quindi l’arma in casa in realtà rende più vulnerabili, non più sicuri.

 

Ad ogni modo l’idea di sicurezza è un’idea giusta, il MN non è certamente contro la sicurezza o contro la difesa. Anch’io la sera a casa chiudo tutto: porte, finestre, etc. S. Francesco però diceva una cosa che dovrebbe farci riflettere: “Dobbiamo andare in giro armati per difendere le nostre ricchezze; se mi spoglio delle ricchezze e non ho più necessità di difendermi”! Questo era il suo ragionamento molto semplice. Quindi è chiaro: se tu ostenti la tua ricchezza o la tua potenza, potrebbe esserci chi ti invidia.

 

Questo avviene ad esempio se tu sei una potenza militare come gli USA, che non solo ostentano, ma vanno anche in giro per il mondo a provocare! È chiaro che dopo trovi il nemico di turno: Isis, Al Quaida, etc., in quei Paesi dove tu stesso li hai finanziati (ad es. perché ti servivano in funzione anti-sovietica, come è stato per i Talebani!) Alla fine la matassa della catena diventa talmente contorta che, come diceva Gandhi: “Basta! Ci vuole qualcuno che inizi a dare il buon esempio!”.

 

In ogni Paese c’è un nucleo nonviolento, come gli amici francesi de l’“Union Pacifiste”, che propongono il disarmo unilaterale della Francia. Non siamo però utopisti e sappiamo che questo non accadrà dall’oggi al domani. Quando dico che siamo per il disarmo unilaterale totale e integrale dell’Italia, sono cosciente del fatto che cerchiamo di affrontare questo piano un pezzo alla volta. Cominciando intanto a dire no agli F35 (e su questo l’opinione pubblica è dalla nostra parte!), via le centrali nucleari e la commissione nucleare, bene: ci siamo riusciti, via le mine anti-uomo: bene, anche con quelle ci siamo riusciti! Adesso è la volta degli F35, non so se ci riusciremo o meno. Comunque come ho detto il tutto rientra nella strategia di una visione più ampia.

 

Come vi ponete nei confronti delle cosiddette “banche armate”?
La campagna è sostenuta prevalentemente da tre riviste dell’area cattolica: “Missione oggi, Nigrizia, e Mosaico di Pace”. C’è anche una legge, la 185 del 1990, che prevede che ogni anno vengano pubblicati le attività delle banche, che però non sempre viene rispettata, poi tante cose vengono nascoste. Una delle richieste principali della Campagna è che la gente chieda conto alla propria banca se sia coinvolta o meno nel finanziamento e/o nel commercio degli armamenti: nel caso di risposta affermativa, bisognerebbe estinguere il conto e passare ad una banca non armata. A parte Banca Etica  però, si potrebbe dire che non ci sono banche non armate e quindi questa è una Campagna piuttosto complessa. Ma è tuttora attiva e tutti noi possiamo prenderne parte!

 

Continua…

 

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