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Giornali e telegiornali nazionali main stream stanno già terminando di occuparsi di Giulio Regeni, giovane ricercatore “cervello in fuga” che ha finito i suoi giorni in modo orribile in quel groviglio di strade, cemento e repressione che è Il Cairo.
Sarà perché scriveva sul Manifesto, sarà perché voleva capire qualcosa più del consentito sul mondo e sugli uomini, sarà perché a noi italiani piacciono solo i cervelli in fuga che vanno a lavorare nelle grandi banche e nelle grandi aziende di tutto il modo, sarà perché reputiamo più importanti gli affari economici che abbiamo in corso con l’Egitto che scoprire la verità sulla morte violenta di un giovane ragazzo, sta di fatto che stiamo già dimenticando Giulio Regeni.
Innanzitutto, a differenza di quanto si scrive, lui non era un “cervello in fuga”, perché certamente si sentiva cittadino del mondo. E un cittadino del mondo mette a disposizione il proprio cervello per tutti quanti ne abbiano bisogno, non solo per quelli nati nella terra di residenza. Un cittadino del mondo ha a cuore la crescita umana e non quella economica di una sola nazione. Un cittadino del mondo appartiene all’umanità intera e opera dove si sente chiamato da una vocazione perentoria. Un cittadino del genere ha superato quel principio che più diffusamente governa le vite delle persone: io speriamo che me la cavo.
Uno come Giulio non poteva più tornare indietro dalla ricerca che stava compiendo, precisando che non si trattava di semplice ricerca universitaria, bensì di ricerca esistenziale. Una ricerca che riguarda la coscienza e la conoscenza, la giustizia e la dignità; che lo accomuna a quegli spiriti liberi presenti in ogni tempo e in ogni luogo, i quali impediscono al mondo di essere un inferno completo e proprio per questo il mondo dovrebbe essere a loro grato.
Della sua fine se ne deve parlare. Perché è bene che si sappia come si muore quando non ci si allinea. Di omicidi ce ne sono continuamente ad ogni angolo della strada. Di morti ammazzati come cani, fucilati, accoltellati è piena la terra. Ma non è andata così a Giulio. Il suo destino ha intercettato il potere. E il potere non ti ammazza come un criminale qualunque. Il potere ammazza per disumanizzare. Ammazza con la bava alla bocca perché non tollera che gli si metta i bastoni fra le ruote. Per questo ti schianta.
D’altronde, come altro si potrebbero spiegare le sue unghie strappate, la schiena spezzata, le orecchie tagliate, le torture subite? Se vuoi ammazzare una persona basta sparargli alla nuca. Perché accanirsi? Perché farlo soffrire prima di morire?
Una risposta esaustiva non c’è. Forse non ci sarà mai. Però qualcosa è pur sempre possibile dirlo, perché mi pare si manifesti una costanza inquietante nella modalità con cui il potere uccide in ogni parte del mondo: senza distinzione di cultura, razza, religione, sesso. E questa costanza è data dalla furia disumanizzante con cui ci si accanisce sulla vittima.
Se ci si pensa, la differenza più grande tra un criminale qualunque e il potere consiste proprio in questo: il criminale mantiene la sua umanità, almeno un briciolo, fino alla fine; il potere, invece, no. Il potere disumanizzato uccide disumanizzando, squarciando, stuprando, sfibrando i corpi, per elevare ogni morto a monito severo e solenne contro qualsiasi futuro tentativo di deposizione, di rivoluzione, o persino di semplice messa in discussione dello status quo.
Per questo non dobbiamo dimenticare Giulio Regeni. Non dobbiamo dimenticarlo e non dobbiamo cancellare la sua morte dai nostri occhi, per ricordarci ogni giorno cos’è il potere e come uccide.
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