Fair Trade, quando l'informazione combatte la schiavitù
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Nel XVIII secolo parlare del commercio di zucchero significava parlare di schiavitù. Mercati come quello del rum, del cotone, del tabacco e in particolare dello zucchero si basavano, infatti, sul costante sfruttamento della manodopera.
Un gruppo di persone iniziò ad interessarsi alla questione, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica. Decisero così di pubblicare un opuscolo informativo nel 1791 grazie a William Fox, uno dei più influenti e impegnati pubblicisti del tempo.
Il successo dell’elaborato fu incredibile: vendette in soli quattro mesi più di 70.000 copie in 25 edizioni. Tale iniziativa, per la prima volta, diede voce e trovò il consenso di tutte le persone alle quali il voto era negato, incluse le donne. Attraverso questa pubblicazione più di 400.000 (1) persone nel Regno Unito erano così informate e pronte a boicottare il commercio e l’abuso sulla vita degli schiavi nelle varie piantagioni nel mondo. Per di più, questo movimento nacque proprio dopo che il Parlamento rifiutò, nel 1791, di abolire la schiavitù.
Da quel momento alcune persone iniziarono a non consumare più zucchero, altri incominciarono ad acquistarlo dalle Indie orientali dove era prodotto da lavoratori liberi. Nel corso di pochi mesi, le vendite nei negozi scesero vertiginosamente.
Come spesso accade, la storia si ripeté. Così anche nel 1820 si promosse la totale abolizione della schiavitù nelle colonie britanniche. Da quel momento alcuni negozi, come accade ora nel Fair Trade, iniziarono a informare i consumatori sul fatto che il loro zucchero in vendita non coinvolgeva nessuna persona sfruttata.
Questo esempio sembra essere più che mai attuale e pare insegnarci diverse cose:
– l’incredibile importanza della comunicazione;
– quanto sia necessario informare le persone per poter decolonizzare l’immaginario;
– il cambiamento può partire dal basso, attraverso la generazione di processi partecipativi;
– l’onda d’urto delle idee e soprattutto delle azioni delle persone può superare l’immobilismo della politica.
Insomma, nel caffè possiamo metterci quanto zucchero desideriamo ma se lo vogliamo far divenire dolce dobbiamo girare il cucchiaino. A star fermi non succede niente.
- http://abolition.e2bn.org/campaign_17.html
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