La nonviolenza in Italia: intervista a Mao Valpiana (seconda parte)
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La scorsa settimana abbiamo approfondito alcuni dei temi cruciali della nonviolenza grazie a Mao Valpiana, Presidente del Movimento Nonviolento. Insieme a lui abbiamo delineato un quadro molto preciso di alcune importanti alternative al confronto armato per la risoluzione delle controversie nazionali ed internazionali ed in particolare del disegno di legge per l’istituzione di un Dipartimento per la Difesa Civile, Non armata e Nonviolenta, che presto verrà discusso in Parlamento.
Abbiamo anche accennato al fatto che uno dei principali strumenti dei quali si serve il metodo nonviolento è la disobbedienza civile (per approfondire ulteriormente il tema invito il lettore che non l’avesse ancora fatto a leggere i due libri fondamentali della disobbedienza civile: “Discorso sulla servitù volontaria” di Etienne de la Boétie, 1576 e naturalmente “Disobbedienza civile” di Henry David Thoreau, 1849, al quale si ispirò tra gli altri il Mahatma Gandhi, ndr).
Fu proprio con azioni di disobbedienza civile che Mao Valpiana, insieme ad altri attivisti lottarono a lungo per vedere riconosciuto il diritto all’obiezione di coscienza con vere e proprie azioni di disobbedienza civile. Vediamo da quale contesto si originarono.
Quali sono le ragioni che avvicinarono il giovane Mao Valpiana alle cause della nonviolenza?
Mio nonno fu martire della Resistenza, morto nei forni crematori di Mauthausen. Questa storia familiare, influì molto sulla mia educazione e su quella delle mie sorelle. I racconti sul Nazismo, il ribellarsi per la giustizia, la libertà etc.
All’interno di questo contesto, un fatto occasionale: Enzo Melegari, un amico delle mie sorelle maggiori, mio maestro di catechismo in parrocchia, fu arrestato. Ero solo un ragazzino e non riuscivo a capacitarmi di come una brava persona come lui potesse essere stata arrestata. Mi spiegarono che si era dichiarato “obiettore di coscienza” per essere fedele al Vangelo. La cosa mi colpì profondamente. Allora cominciai a documentarmi e così facendo capii che aveva ragione e che anch’io avrei fatto come lui. Quando nel ’72 venne il mio turno per la chiamata alla leva mi dichiarai obiettore di coscienza. Feci la mia prima dichiarazione di obiezione di coscienza al servizio militare di leva con la prospettiva del carcere. Di lì a poco fu approvata la prima legge sull’obiezione di coscienza ed il Servizio Civile (SC) fu istituito l’anno seguente. Fui tra i primi veronesi a cominciare il SC come obiettore di coscienza.
Nel frattempo presi contatto col Movimento Nonviolento. Il simbolo del fucile spezzato mi attirava. Anche la simbologia a quell’età conta molto. Da qui poi durante il mio sevizio, con degli amici formammo il primo nucleo del MN veronese.
Decisivi furono anche alcuni incontri. In questo penso di non avere nessun merito particolare, solo molta fortuna per aver incontrato lungo la mia strada persone come Pietro Pinna, collaboratore di Aldo Capitini , fondatore del MN (1962). Successivamente nell’ambito del movimento ambientalista conobbi e diventai amico di Alexander Langer . Penso che nella vita gli incontri siano tanto importanti quanto le idee. Idee e persone devono viaggiare insieme.
Quali furono i primi impegni per la nonviolenza e le prime campagne di disobbedienza civile?
Come dicevo, il mio impegno principale in quell’epoca storica fu per l’obiezione di coscienza: tra il ’68 e il ’72 partecipai a tutta la campagna per il riconoscimento di quest’ultima. Ricordo bene le manifestazioni che si facevano a Peschiera del Garda, davanti al carcere militare dove erano detenuti gli obiettori di coscienza: quella per me fu una vera scuola di politica. Tra l’altro il movimento antimilitarista che organizzava queste iniziative o le marce antimilitariste (da Trieste ad Aviano in Friuli dove c’erano tutte le servitù militari) erano molto variegati: c’erano elementi di Lotta Continua (formazione politica extraparlamentare), i Radicali e appunto i Nonviolenti. In questo contesto ampio e articolato il confronto ed il dibattito politico erano molto interessanti e formativi.
La mia scelta per la nonviolenza maturò lì: vedendo come altri gruppi che condividevano la campagna antimilitarista, avevano atteggiamenti e modalità di affrontare le lotte molto diversi. Lavorare insieme, ma anche dibattere su come condurre le manifestazioni, fece emergere delle differenze sostanziali, ma estremamente utili per la definizione delle nostre identità. Noi ad esempio eravamo sempre a favore del dialogo e di rapporti sereni con la Polizia e con le varie Forze dell’Ordine: volevamo fare tutto alla luce del sole e a viso scoperto; mentre altri compagni di strada utilizzavano modalità diverse.
Ciononostante, a volte, la Polizia si confrontava con noi abbastanza duramente e fu proprio in quei frangenti che vidi ed imparai e a mia volta applicai le tecniche della nonviolenza, di resistenza, di disobbedienza civile. Quelli sono stati gli anni più formativi sia a livello personale che per il MN stesso, che da un piccolo gruppo storico che proveniva da Perugia e dall’esperienza di Aldo Capitini, si rafforzò e diventò un polo d’attrazione per i gruppi giovanili dell’area cattolica, dell’area radicale e di quella anarchica. Piano, piano il MN assunse una sua fisionomia ed organizzazione ben precise. Anche il gruppo di Verona si rafforzò diventando importante anche per il resto del movimento, insieme ad altri gruppi di Brescia, Torino etc.
Tornando invece indietro tra il ’68 ed il ’72, la campagna di disobbedienza civile vera e propria e l’attività principale erano sostenere gli obiettori di coscienza durante tutte le fasi: dalla dichiarazione di obiezione, al momento dell’arresto che avveniva pubblicamente, al processo con avvocati che si mettevano gratuitamente a disposizione. Andavamo anche fuori dal tribunale a manifestare con cartelloni per informare l’opinione pubblica.
Anche un piccolo gruppo di persone può cambiare le cose?
Altroché! All’epoca gli obiettori erano 30 in tutta Italia! Con quei 30 e con la forza della testimonianza e del sostegno del MN, ottenemmo un risultato politico straordinario. Tanto che il Parlamento fu costretto a riunirsi ed approvare la legge. Pensate che soltanto due anni prima le maggiori forze politiche (Partito Comunista e Democrazia Cristiana) erano contrarie. Naturalmente anche il contesto storico dell’epoca era di grande vivacità, anche nel mondo cattolico. Erano gli anni di Padre Balducci, Don Lorenzo Milani e quindi del cattolicesimo di prima linea, soprattutto fiorentino, che riuscì anch’esso a smuovere l’opinione pubblica. Era il contesto del Concilio Vaticano II per il rinnovamento della Chiesa Cattolica ed il dialogo con il mondo contemporaneo. Di qui la presa di posizione del Concilio a favore dell’idea della libertà di coscienza.
Una delle ultime azioni decisive fu il digiuno di 40 giorni davanti al Parlamento da parte di Marco Pannella (Partito Radicale) e Pietro Pinna (MN). La richesta era che il Parlamento mettesse all’ordine del giorno le proposte per l’obiezione di coscienza. Vi furuno anche incontri con Sandro Pertini (allora Presidente della Camera) di una piccola delegazione del MN e poi finalmente la legge fu approvata!
Questa quindi fu la prima campagna del MN ad ottenere un risultato positivo, che andò poi a vantaggio di tutti (non solo degli obiettori) e della democrazia stessa.
…non perdetevi il seguito dell’intervista, la settimana prossima!
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