18 Nov 2015

Dal TTIP al CETA: come uscire dalla “Gabbia dei trattati”?

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti

Dal TTIP al TTP, al CETA. In via di approvazione in varie aree del mondo, i trattati globali costituiscono una delle principali minacce per il nostro futuro. Per cercare di fare luce sui loro aspetti più oscuri e meno noti, abbiamo intervistato Matteo Bortolon, autore del libro appena uscito per Dissensi “La gabbia dei trattati”.

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cop_250Hanno nomi inoffensivi, semplici sigle, ma rappresentano una delle principali minacce per il nostro futuro, la nostra salute, il cibo che mangiamo e l’acqua che beviamo, la nostra sovranità. Sono i trattati globali, dal TTIP al TTP, al CETA, che in varie aree del mondo sono in via di approvazione spinti dalle multinazionali con l’aiuto delle loro istituzioni, il Fmi e la Banca mondiale. Riguardano quasi ogni aspetto della nostra vita, eppure non se ne parla molto. Abbiamo intervistato Matteo Bortolon, autore del libro appena uscito per Dissensi “La gabbia dei trattati”, per cercare di fare luce sui loro aspetti più oscuri e meno noti.

 

Matteo, da cosa nasce l’idea di scrivere un libro su un argomento che potrebbe apparire “tecnico” come una serie di trattati commerciali?
Dalla militanza e dalla necessità. Dalla militanza perché sono impegnato assieme ad altri amici e compagni in un’opera di divulgazione per far conoscere il più possibile il contenuto di questi trattati; la necessità è di divulgare cose che vengono decise sopra la testa dei cittadini e poi incidono nella loro vita! Il potere conserva la sua forza quando è nell’ombra, quando il processo decisionale è nell’opacità. Il TTIP come dice giustamente John Pilger, è la cosa più importante che stia succedendo in Europa attualmente, i tg dovrebbero aprire con le notizie che lo riguardano, invece se ne parla pochissimo…

Il tuo libro si chiama La gabbia dei trattati. In che senso questi nuovi trattati internazionali contribuiscono a metterci in gabbia?
Nel senso che orientano la politica degli Stati senza il consenso dei cittadini. Gli Stati hanno già numerosi obblighi di vario genere a cui dovrebbero sottostare: il rispetto dei diritti umani, protezione dell’infanzia e della maternità, ambiente ecc. Entro tali limiti gli Stati hanno la sovranità, cioè la possibilità di determinare le politiche nazionali con metodi democratici. Vuoi privatizzare l’acqua? Vuoi usare una forma di energia molto inquinante? Lo scrivi nel programma e vediamo se prendi la maggioranza! I trattati di libero commercio vincolano invece gli Stati nella direzione di portare acqua al mulino degli interessi costituiti, che ho chiamato il “blocco egemonico”: i super-ricchi, le multinazionali e i loro apparati. Così che se al potere andasse qualcuno con un programma a favore del bene comune, dei cittadini, dei poveri, scopre di poter fare ben poco perché è vincolato, è legato. Se non si mettono a fuoco questi meccanismi diventa futile votare, siamo in gabbia.

 

Parliamo del TTIP, quali sono i settori più a rischio? Quali le possibili conseguenze per l’Europa e l’Italia?
Il Trattato comprende un po’ tutti i settori della vita pubblica: servizi pubblici, ambiente, lavoro, finanza… tutto, tutto può rientrare. Sono esclusi in maniera definitiva solo i poteri governativi (esercito, polizia, magistratura, governo vero e proprio) e il settore degli audiovisivi per via dei francesi che su questo settore hanno una sensibilità specifica. Ogni paese ha molto da perdere: per l’Italia, ad esempio, l’alimentare è uno dei settori chiave e non mi sembra che ci siano rimasti molti settori economici particolarmente floridi! In questo campo peggiorerebbe sia la qualità dei cibi a cui le persone hanno accesso sia la forza economica delle aziende; quelle medie e piccole probabilmente verrebbero spianate senza scampo. Un altro settore importante è quello sanitario. Ci sarebbe una spinta forte ad una accelerazione della privatizzazione del sistema sanitario nazionale. Gli esempi precedenti di trattati simili mostrano conseguenze molto pesanti in tal senso.

 

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Alcuni spunti e possibili scenari li possiamo forse prendere dal TTP, il gemello del TTIP ma relativo all’area del Pacifico. Che tipo di accordo è stato raggiunto?
Al momento in cui parliamo il TTP deve essere ancora approvato, è stato raggiunto un accordo su di un testo condiviso e adesso i singoli paesi devono ratificarlo. Nel libro riporto in merito le preoccupazioni di ambito medico e sanitario, Medici senza frontiere dice che su questo piano sarà il trattato più dannoso di sempre, perché rafforzando i diritti di proprietà intellettuale blinda il diritto delle case farmaceutiche di ottenere profitti. In generale il TPP è considerato, credo a ragione, funzionale a circondare la Cina, costruendo una rete di paesi amici. E’ anche uno dei trattati più ambiziosi e bizzarri, mette assieme 12 paesi di tre continenti differenti, con livelli di struttura produttiva, economia molto diversi. Trattati del genere si dicono “regionali” perché normalmente riguardavano paesi vicini o la stessa area geografica. L’area del Pacifico è una cosa che sfida la stessa nozione di “regione geografica” se pensiamo che ci mettono dentro USA, Vietnam, Cile…

 

E invece di cosa tratta il meno noto CETA?
Non ho studiato approfonditamente il CETA, nel libro ho dovuto fare una scelta; ma è noto che si tratta di un antecedente del TTIP: un accordo dell’UE con il Canada. In esso vediamo un pezzetto di futuro: in merito, per esempio alle denominazioni di indicazione geografica per i prodotti: prosciutto di Parma, Grana Padano per esempio. Dovremmo poter evitare che uno faccia del formaggio in California e poi ci metta l’etichetta con scritto “Grana padano”, no? In un’intervista il Commissario UE all’agricoltura ha garantito che ci saranno tutele, e chiama in causa proprio il CETA. Ma se guardiamo agli allegati tecnici vedendo realmente quanti prodotti italiani vengono tutelati, la lista è assai corta. Noi abbiamo in Italia svariate centinaia di prodotti del genere, di cui circa 270 con indicazione geografica protetta; nel CETA sono elencati circa 350 prodotti ma di tutta Europa! Quelli italiani sono solo 41 (li ho contati uno ad uno). Quindi beh non sembra un modello molto buono.

 

In generale qual è il disegno (ammesso che ce ne sia uno) dietro alla carica di questi nuovi trattati?
In parte il disegno è lo stesso: istituire un livello decisionale in cui contano solo le grandi aziende e le lobby, sovraordinato rispetto alle leggi per i comuni mortali! Anche a livello giuridico il progetto è quello di istituire una giurisdizione differenziata per le grandi imprese. Ma il contesto è molto diverso.

 

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Cosa li distingue dai vecchi trattati degli anni Novanta come il WTO e il NAFTA?
Ai tempi degli anni Novanta il lustro del libero mercato era di carattere espansivo: si fondava sulla egemonia USA con la Russia ridotta nell’angolo, la Cina isolata, e l’India e l’Europa in fasi di transizione. I vecchi trattati erano la trascrizione della vittoria del capitalismo USA sulla guerra fredda, che prometteva benefici a tutti; un’atmosfera di ottimismo incarnata dal democratico Clinton. Adesso siamo nella crisi economica mondiale e i trattati vengono negoziati alla chetichella segretando tutto. Inoltre sono sul terreno le potenze emergenti, e ognuno cerca di costruirsi un suo spazio di potere in aree geopolitiche in competizione. I nuovi trattati anziché espandere il dominio USA cercando di frenarne il declino, assorbendo l’UE e costruendo un network di paesi “amici”. Ed i rivali fanno lo stesso. Tecnicamente l’enfasi è un po’ di meno sulla apertura di nuovi mercati e più sulla uniformazione regolatoria, in modo che nella stessa area si costruiscano mercati omogenei.

 

Quali prospettive vedi per il futuro? Che azioni individuali e collettive possiamo intraprendere per uscire dalla “Gabbia dei trattati”?
Nello specifico, mentre il TPP sembra essere sulla via di entrare in vigore con molta probabilità, il TTIP ha molte più difficoltà. Una delle maggiori siamo noi: senza il consenso è tutto molto più difficile, pensa al successo della manifestazione di Berlino di ottobre scorso! Ma ci sono altre difficoltà più oggettive: le classi dirigenti sono divise, l’assetto dell’UE è abbastanza in crisi… e gli USA sono solitamente molto rigidi, non mollano su nulla. Quindi le controparti europee sono in imbarazzo! Sono tutti d’accordo nello schiacciare i cittadini sotto i dettami del mercato ma se non c’è un minimo di equilibrio sembrerebbe una capitolazione per gli stessi settori egemonici europei. Penso che abbiamo buone speranze che il TTIP venga abortito, perché fra qualche mese inizia la campagna elettorale per le presidenziali negli USA e lì si blocca tutto… Ma a prescindere da tali difficoltà dei nostri avversari sono solo azioni di difesa se non si rimette sul tavolo la costruzione di una sovranità pienamente democratica, cioè la ricollocazione delle decisioni in ambiti conoscibili e influenzabili dai cittadini, altrimenti possiamo solo bloccare a valle tali tentativi di dominio, ma alla fine qualcosa passa! Personalmente trovo illusorie le prospettive di democratizzazione dell’UE.

 

Perciò credo si debba procedere su due binari paralleli: da una parte bloccare il TTIP e le altre minacce simili, dall’altra discutere fra noi su come agire per riportare le decisioni nel perimetro di istituzioni veramente democratiche. E’ difficile attivare questo tipo di dibattito ma non c’è scelta, se non giocare eternamente in difesa! In questo si gioca il nostro futuro!

 

 

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