Contro le trivellazioni, verso un referendum di tutti
Seguici su:
“Verso il Referendum No TRIV”. È stata chiamata così l’Assemblea Nazionale che si è tenuta a Roma l’8 novembre. Una data scelta per rimarcare, simbolicamente, il giorno in cui si è svolto il primo referendum contro il nucleare: era l’8 novembre 1987.
Quello di domenica scorsa presso il Parco delle Energie è stato il primo appuntamento assembleare italiano convocato dal Coordinamento nazionale No Triv e dalle centinaia di organizzazioni aderenti alla iniziativa, dopo il deposito in Cassazione dei quesiti referendari abrogativi contro le trivellazioni in mare e su terraferma.
“Ci attende – annunciano i promotori del referendum – una lunga stagione di impegno e passione: c’è molto ancora da fare! Il traguardo è ambizioso, impegnativo ma a portata di mano: salvo pronunciamenti sfavorevoli da parte della Cassazione e della Corte Costituzionale, dovremo dimostrarci capaci di portare alle urne la metà più uno delle Italiane e degli Italiani aventi diritto al voto. È giunto il momento di incontrarsi, confrontarsi e discutere sulle scelte operative e sui prossimi passi da compiere”.
Un invito pienamente accolto, considerata la straordinaria partecipazione civica, associativa e movimentista alla giornata romana. L’Assemblea, molto coesa e convergente nelle riflessioni e nelle conclusioni, ha dato il via a un lavoro preparatorio in attesa dell’esito delle decisioni della Corte di Cassazione, a breve, e della Corte Costituzionale entro la fine di gennaio.
I partecipanti all’assemblea hanno dunque gettato le basi per la costituzione di un’organizzazione coordinata e democratica tra associazioni nazionali e locali, movimenti e comitati che sia espressione ampia della società civile e che articoli e condivida azioni comuni a sostegno della prossima “campagna” nazionale.
È stata così predisposta una prima sintesi esecutiva che consentirà di procedere immediatamente e con passi sostanziali alle nuove iniziative pianificate verso un referendum che vuole affermare l’opposizione convinta alle politiche energetiche fossili.
In tal senso, un collegamento con la mobilitazione italiana per il clima e l’adesione alla marcia prevista a Roma il prossimo 29 novembre, in vista della COP21 di Parigi, rappresentano un momento di coesione e di attenzione collettiva sul più ampio tema dei cambiamenti climatici.
Tra i prossimi passi individuati a Roma vi sono la convocazione di assemblee territoriali “Verso il referendum No Triv” e la declinazione nei diversi contesti regionali di una rete che coinvolga tutti i soggetti interessati alla costruzione di un percorso partecipato e trasversale. Una nuova assemblea nazionale è prevista per la prima metà di dicembre 2015.
Un referendum di tutti
Dall’Assemblea è emersa la forte e chiara volontà di proporre questo Referendum come il Referendum di tutti i cittadini italiani per esprimere una resistenza democratica, dichiarare la ferma opposizione alle politiche energetiche fossili perseguite anacronisticamente dal governo e una concreta proposta di conversione ecologica dell’economia.
“Dire che il referendum ‘è di tutti’ – ci spiega Roberta Radich, referente del Coordinamento Nazionale No Triv – vuol dire sia che non si tratta dell’espressione di alcuni comitati, sia che ha un significato più ampio rispetto al tema specifico delle trivellazioni. Il coordinamento No Triv è stato all’inizio promotore di un referendum che però, ora, è il referendum di tutti i cittadini italiani.
Il referendum, inoltre, da una parte andrebbe a bloccare una parte considerevole delle trivellazioni in mare e in terra (che il decreto sviluppo del 2012 e lo Sblocca Italia rendono possibili), dall’altra ha un significato fortemente simbolico. Uno degli articoli che saranno oggetto di abrogazione, infatti, indica le energie fossili come strategiche rispetto al piano energetico nazionale. Ciò vuol dire che con questo referendum si vuole andare verso una più generale conversione ecologica del nostro Paese.
L’altro aspetto è democratico: si andrà infatti a toccare, con alcuni articoli, il tema del rapporto Stato-Regioni. Con lo Sblocca Italia lo Stato ha demandato a sé le decisioni in merito a lavori pubblici considerati strategici, togliendo così autonomia agli enti locali rispetto a decisioni riguardanti i cittadini. Si tratta di un passo indietro rispetto al decentramento decisionale garantito sia dalla Costituzione sia dalle successive normative in materia.
È dunque importante che questa campagna referendaria renda evidente il disegno politico in atto in Italia: accentramento dei poteri, garanzia delle lobby finanziarie e petrolifere, restringimento degli spazi della socialità e della democrazia, distruzione dei diritti garantiti dalla Costituzione. In tal senso, questo referendum andrebbe a tutelare quella che è la ‘democrazia di prossimità’. Anche per questo il referendum è di tutti: ognuno di noi dovrebbe garantire il diritto di tutti di esprimersi rispetto alla tutela del nostro territorio. Il referendum ha dunque una duplice valenza: ambientale e politica”.
I quesiti referendari
Il 30 Settembre scorso è accaduto qualcosa di unico nella storia dell’Italia Repubblicana: la pressione esercitata da oltre 200 associazioni, comitati, movimenti territoriali e personalità della cultura e delle scienze, che danno lustro al nostro Paese, ha spinto le Assemblee di metà delle Regioni italiane a deliberare, in modo pressoché unanime e trasversale, la richiesta di sei quesiti referendari contro le trivelle in mare e su terraferma. Già questo, di per sé, rappresenta una grande vittoria.
I quesiti referendari deliberati dalle dieci Regioni sono sei.
Il primo, il secondo e il terzo quesito – spiega su Qualenergia.it Enzo Di Salvatore, costituzionalista e co-fondatore del Coordinamento Nazionale No Triv – sono relativi allo Sblocca Italia e riguardano:
a) l’eliminazione della dichiarazione di strategicità, indifferibilità ed urgenza delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi, nonché dello stoccaggio sotterraneo di gas;
b) l’abrogazione della previsione del vincolo preordinato all’esproprio che il nuovo “titolo concessorio unico” conterrà già a partire dalla fase della ricerca, al fine di tutelare il diritto di proprietà del privato;
c) il cosiddetto “piano delle aree”, previsto al fine di pervenire – per la prima volta in Italia – ad una razionalizzazione delle attività di ricerca ed estrazione degli idrocarburi. L’obiettivo dell’abrogazione referendaria è, in questo caso, quello di consentire che la Conferenza unificata possa esprimersi sul piano nella sua interezza (terraferma e mare) e di evitare che, in caso di mancato raggiungimento dell’intesa con lo Stato, si ricorra all’esercizio del potere sostitutivo da parte del Governo secondo una procedura semplificata;
d) l’abrogazione delle norme che permettono che, in attesa che venga approvato il piano, lo Stato possa rilasciare nuovi permessi di ricerca e nuove concessioni di coltivazione, sulla base delle norme ormai abrogate dallo Sblocca Italia;
e) la limitazione della durata delle attività previste sulla base del nuovo “titolo concessorio unico”.
Il quarto quesito riguarda invece le autorizzazioni alle opere strumentali allo sfruttamento degli idrocarburi. Si propone, anche in questo caso, di abrogare la norma che prevede che, in caso di mancato accordo con la Regione interessata, lo Stato possa decidere “in solitudine”, secondo una procedura semplificata.
Il quinto quesito ha ad oggetto una norma contenuta nella legge sul riordino del settore energetico del 2004, che disciplina anch’essa l’intesa regionale sugli atti dello Stato relativi alle attività petrolifere.
Il sesto mira ad eliminare l’art. 35 del decreto sviluppo del 2012, che rende possibile, per il futuro, la ricerca e l’estrazione del gas e del petrolio entro le 12 miglia marine.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento