CycloLenti in Tagikistan: volo d'angelo senz'ali
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Al posto di controllo, dove ci siamo dati appuntamento, le guardie hanno detto loro che due ciclisti erano passati lì un’ora fa e così Leonie e Philipp, che erano rimasti a Dushanbe mentre noi eravamo al centro agro-ecologico di Jafr, pensando che fossimo noi, si stavano affannando per raggiungerci. Arriviamo all’incrocio e vedo delle bici in lontananza. Il forte suono della mia nuova trombetta uzbeka li raggiunge rapidamente. Si girano, ci vedono, si fermano. Sono in compagnia di altri cicloturisti. Gli americani, che avevamo già conosciuto a Bukhara e degli australiani… ahh ma sì, ci conosciamo, ci siamo incrociati in Turchia 4 mesi fa, ci eravamo salutati con un “chissà forse ci vedremo sulla Pamir” e il destino vuole che ci incontriamo proprio qui, alle sue porte. 16 ruote, 8 cicloturisti, 5 nazionalità, 4 coppie: siamo una carovana!
La strada è sterrata e porta il colore rosso delle alte montagne nelle quali è tagliata, pedaliamo in una profonda gola, che paesaggi! Dopo qualche chilometro sono già saltate le prime viti e a qualcuno si è spaccato il parafango. Ognuno ha però qualcosa per aggiustare il guasto altrui. Kyla e Didier, gli americani, hanno un anno a disposizione, hanno programmato visti, il prossimo volo per l’India e al rientro hanno un lavoro che li aspetta. Viaggiano leggerissimi e si portano dietro delle sedie da campeggio pieghevoli. Partiti cinque mesi e mezzo fa dal Portogallo sono già qui!
Leonie e Philipp, i tedeschi, hanno un bagaglio che riflette la loro indole organizzatrice: ogni cosa a suo posto, un posto per ogni cosa. Le bici e le sacche sono ordinate in maniera impeccabile. Infine, Paul e Leiset, gli australiani, portano con se la loro lunga esperienza di viaggio di un anno e mezzo in Sud America. Scopriremo più tardi che sono in luna di miele e che quando eravamo in Spagna e Portogallo viaggiavamo ad un mese di distanza tra i vari warmshower. Sono quelli che tra tutti sembrano più viaggiatori che cicloturisti.
A destra un bel pratino verde a strapiombo sul fiume, che scorre veloce 30mt più giù, è abbastanza grande e piatto per accogliere 4 tende, anzi 5 si è appena aggiunta un’altra coppia di tedeschi. Affollata sta Pamir! D’altronde questa è una delle poche strade da cui si passa per andare verso il sud est asiatico.
C’è chi per prima piazza la tenda, chi subito le sedioline, chi invece si fa da mangiare, io stendo il telo a terra e metto in pratica gli insegnamenti freschi freschi di yoga dei genitori di Tiph. Il buio cala che sono appena le 19:15, su di noi splende la via lattea. E vai con le foto in notturna. Prima di andare a nanna ne voglio fare una di gruppo. Come un direttore d’orchestra dirigo le luci che comporrano la foto: “ora!” e ognuno illumina dall’interno la propria tenda con la frontale, “ehh… stop!” le luci si spengono. Tempo che la macchina elabori la foto e l’immagine è pronta. “Hobi Kush”, sogni d’oro in tagiko.
Avviso di Tiphaine: chi è di animo sensibile può passare direttamente al paragrafo successivo.
“Sei riuscita stamattina?”, “Si ne ho fatta una…”, “Oh beata te, io ancora niente..”. Ormai a distanza di un anno e tre mesi di viaggio parliamo delle nostre cacche con tutta naturalezza. Come un trofeo di caccia discutiamo fieri e contenti di taglia, colore e modalità (soprattutto da quando Kazakistan e Uzbekistan hanno messo a dura prova i nostri intestini).
Il gruppo si disfa presto, ognuno ha la sua andatura e le sue esigenze, noi pedaliamo per qualche giorno assieme agli australiani con i quali abbiamo in comune lo stesso ritmo lento. Entrambi non ci stressiamo su quanti chilometri fare al dì. A fine di una lunga giornata in cui avremmo pedalato quasi 1000mt di dislivello la mente e corpo sono stanchi. 7-8 metri più in basso c’è un bel posto per passare la notte accanto al fiume. In fondo alla curva la strada ha lo stesso livello dello scorrere dell’acqua, passeremo per là. Paul, va in avanscoperta, poi Leiset e Tiphaine seguono, io aspetto che intanto mi riposo. Mentre sto per avviarmi, da lontano i ragazzi mi fanno segno che hanno visto una strada più semplice per raggiungere l’accampamento.
Paul e Leiset risalgono dal sentiero e mi aiutano prendendomi i bagagli della bici. Sto per scendere, ma commetto un grave errore di valutazione, la stradina è troppo stretta per accogliere me e la bici contemporaneamente. Il casco (mannaggia a me) già ciondola sulla bici quando i piedi scivolano vertiginosamente verso il basso. Mollo la bicicletta e provo ad afferrare degli arbusti con le mani, sembrano quasi arrestare la mia discesa, ma non per molto. Il mio corpo è proiettato all’indietro, non c’è nulla che io possa fare, provo a girarmi e trovare un appoggio con i piedi, ma sotto di me la terra lascia 5 mt di vuoto. Sono in caduta libera. Con la coda dell’occhio vedo che sono delle rocce quelle laggiù! Per la testa mi attraversa un unico pensiero “Oh cazzooo!” (buio).
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