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Ormai la approvazione del TPP – la Trans Pacific Partnership – è cosa fatta. Si tratta di un accordo che coinvolge dodici Stati e ha lo scopo di liberalizzare ulteriormente il commercio nell’area pacifica. Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Stati Uniti e Vietnam sono i paesi coinvolti.
Dall’elenco si capisce come, di fatto, questo accordo sia un’arma per cercare di escludere la Cina dalla competizione economica globale. Lo sottolinea esplicitamente anche anche Obama, principale artefice dell’accordo, parlando da manager di una grande azienda più che da presidente di una nazione: «In un momento in cui il 95% dei nostri clienti vive fuori dai confini degli Stati Uniti, non possiamo far scrivere a paesi come la Cina le regole dell’economia globale. Dobbiamo scrivere noi queste regole, aprendo nuovi mercati ai prodotti americani e allo stesso tempo fissando alti standard per proteggere i lavoratori e conservare il nostro mercato».
Il TPP agisce strategicamente in aree in cui gli effetti della WTO sono meno efficaci, proprio per liberalizzare ulteriormente mercati ancora poco accessibili. Il trattato – il più importante per gli Stati Uniti dai tempi del NAFTA –, deve essere ora ratificato dal Congresso e dai Governi degli altri undici aderenti.
Cosa succederà di fatto? Gli obiettivi del documento sono diversi. I principali consistono nell’agevolare l’accesso ai mercati eliminando tariffe e barriere doganali, sviluppare le collaborazioni in termini di produzione e fornitura di servizi, inaugurare nuovi settori commerciali e rafforzare la protezione di marchi registrati, copyright e brevetti, in particolare in ambito farmaceutico e tecnologico.
È facile collegare la approvazione del TPP al processo di negoziazione del fratello maggiore TTIP – Transatlantic Trade and Investment Partnership –, il trattato che ha l’obiettivo di abbattere le barriere doganali fra Stati Uniti e Unione Europea e che, se venisse ratificato, introdurrebbe organismi tecnici con grande potere che avrebbero il compito di attuare nuovi meccanismi volti a proteggere gli interessi delle aziende private, soprattutto quelle americane, a scapito dei cittadini. Per esempio, si abbasserebbero gli standard di controllo sui trattamenti chimici in agricoltura e sulle verifiche di sicurezza delle automobili, mentre la sanità rischierebbe di andare incontro a un processo di privatizzazione, limitando fortemente l’accesso all’assistenza medica.
Contro questo accordo, da tempo è attivo un ampio movimento che, grazie alla sua mobilitazione, ha già raccolto tre milioni di firme. A partire da sabato 10 ottobre è prevista una grande mobilitazione in America e in Europa per ribadire il “NO” dei cittadini a questo documento; anche in Italia sono previste numerose manifestazioni, coordinate dal Comitato Stop TTIP Italia.
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