Seguici su:
Tano è il soprannome generico dato agli emigranti italiani in Argentina e Uruguay. Di tanti Tano che raggiunsero l’America del Sud, mi piace ricordare in particolare il genovese amico di Luis Sepúlveda, protagonista di un racconto del libro Le rose di Atacama: pensava di raggiungere l’America, quella del Nord, e invece arrivò con una nave in Argentina nel 1947, senza che potesse nemmeno immaginarselo. L’accoglienza fu di quelle più gradite: cibo e vino a non finire. Visse una vita felice, aprendo un emporio a Santiago del Cile. Ora però, lasciamo un attimo da parte Tano e la sua storia, concentrandoci sul tema dell’immigrazione odierna.
Da mesi ormai la questione crea discussioni, pareri contrastanti, liti, tensioni di ogni tipo. Se scriveste nella barra di Google “Immigrazione in Italia”, comparirebbero circa sette milioni di risultati. Giusto per un confronto provate a fare la stessa cosa digitando al posto della prima parola altre come Decrescita o Permacultura, per capire che portata ha tale argomento nel nostro Bel Paese.
Forse è giunto il momento di fare un po’ di chiarezza a riguardo. Anche perché senza accorgercene, la situazione sembra sfuggirci di mano, senza che nemmeno abbiamo compreso e definito i contorni della questione.
Un po’ di storia male non fa
Iniziamo dicendo che nei cent’anni tra il 1876 e il 1976 circa 25 milioni di italiani emigrarono verso altri stati in Europa e nel resto del mondo. Quindi possiamo dire che sino a poco tempo fa, l’Italia era principalmente un paese di emigrazione. Non stiamo parlando del Medioevo, ma semplicemente di quarant’anni fa. Quanti in Italia hanno ancora parenti che si sono insediati e hanno tentato di vivere il sogno Americano così come Tano? Per molti fu un modo per cercar fortuna ed uscire dalla miseria, per altri le difficoltà continuarono anche Oltreoceano.
Celebre è quel che un emigrato disse a proposito dell’American Dream:
“arrivai in America pensando che le strade fossero lastricate d’oro, ma imparai subito tre cose:
1) le strade non erano lastricate d’oro;
2) le strade non erano lastricate affatto;
3) io ero quello che doveva lastricarle”
Molti erano i pregiudizi sugli italiani, in particolare si pensava che fossero d’indole particolarmente violenta, mafiosi, sentimentali, ignoranti e rozzi. Così iniziò la vita negli Stati Uniti di molte famiglie italiane che con il tempo, la pazienza ed anche l’accortezza di inserirsi in un’altra cultura, sono riuscite ad ambientarsi nel contesto a stelle e strisce.
Tuttavia anche all’interno della nostra stessa nazione c’è stata una forte immigrazione che ha portato nel Nord del paese tante famiglie alla ricerca di lavoro e benessere, dopo il boom economico. Tra gennaio del 1966 e luglio del 1967 sono immigrati nella sola Torino, per esempio, 122000 meridionali. Le condizioni nelle quali vivevano non erano delle più semplici, sia a livello igienico che a livello sociale. Negli anni l’integrazione c’è stata, pur nelle difficoltà e nelle diversità tra le persone provenienti da diverse regioni.
Rimanendo sempre nel capoluogo piemontese, al primo gennaio 2015 vi sono circa 140000 stranieri regolarmente residenti, ai quali dobbiamo aggiungere chi non ha il regolare permesso. Negli anni si sono insediate diverse comunità: le più numerose sono quella rumena (39.5 % del totale degli stranieri presenti sul territorio) e quella marocchina (13,3%). Superata la diffidenza e la paura iniziale, sembrano lentamente e con fatica integrarsi sempre più all’ombra della Mole Antonelliana.
Valutazione
Sembra esserci un filo conduttore in tutte queste storie di migranti, da un paese ad un altro, da una regione ad un’altra. La difficoltà data dall’assenza di speranza e futuro nella propria terra, per andare a cercarla in un altro posto, immaginato più sereno e in grado di dare quel benessere economico che nel luogo natio sembrava impossibile da raggiungere, causa miseria e povertà. Ed ecco, giunti nella terra promessa, le prime difficoltà nel trovare lavoro, amicizie, stabilità economica e quant’altro. Solitamente la popolazione locale, in Italia come in altri paesi, accetta con difficoltà le diversità dei migranti in arrivo. La diffidenza e il rifiuto sono le armi più semplici che utilizziamo quando siamo di fronte a qualcosa di nuovo che ci spaventa, quando invece da esso potremmo arricchirci bi-univocamente. Spaventati, tendiamo a evitare quello che non conosciamo.
Tuttavia, superato questo momento iniziale che ancora non riusciamo ad eliminare, con il tempo si trova un equilibrio tra i migranti e gli abitanti del posto. Dispiace oggigiorno ancora vedere sui social network messaggi beceri, ignoranti e razzisti nei confronti dei migranti. La cosa buffa e per lo più molto triste è che a pubblicarli il più delle volte sono figli di migranti del passato.
1. Sepùlveda L., (2000), Le rose di Atacama, edizione TEA
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento