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Bolsena è bellissima, incantevole: il lago, il castello, le piazzette, l’accoglienza. Io mi sono divertita parecchio. Grazie a Luca Puri, organizzatore della seconda edizione del Festival di Permacultura , che si è tenuto dal 3 al 6 settembre nello splendido borgo medievale in provincia di Viterbo.
Cura degli altri, cura della terra e condivisione delle risorse. I tre principi della Permacultura hanno aleggiato ovunque nel corso di questa quattro giorni in cui ho avuto modo di trovare molta umanità sorridente e consapevole. Ogni progetto presentato ha allargato il cuore: fiducia, non siamo in pochi.
Progetti di vita, personali e sociali naturalmente intrecciati a quelli del luogo, anche diffuso, in cui sperimentare la propria esistenza. Osservare le energie a disposizione, diffonderle su tutto il nostro sistema, abbattere lo spreco e accumulare l’energia nelle diverse forme, come fa la natura. Disegnare e progettare per capire la forma, il design utile dove l’armonia, la spontaneità della natura produce abbondanza con il minor lavoro possibile. Poi l’azione per capire i feedback, le modifiche che portano a dinamiche, anche interiori, di cambiamento. La resilienza. Cambiare il proprio punto di vista per evolvere.
Come dice Saviana Parodi , “la Permacultura è cultura umana”.
Il festival ha rappresentato un’occasione di incontro per molte realtà ed esperienze: dal Movimento della Transition ai gruppi di mutuo aiuto come quello raccontato dagli amici siciliani , dall’agricoltura organica rigenerativa all’alimentazione sostenibile, dalle autoproduzioni all’esperienza di riabilitazione psicofisica attraverso la comicità. Ho partecipato al workshop di Leonardo Spina , che ha spaziato dal teatro di eccellenza con Dario Fo alla clown-terapia nei reparti di ospedale. Un’emozionante e illuminante sintesi tra l’essere contadini (colonus/clown) e l’accoglienza del disagio/dolore attraverso la comicità. Il riso, energia vitale di guarigione, permette infatti di abbattere le barriere interiori ataviche e delle proprie maschere.
In questa edizione del Festival è stata promossa e molto discussa la permacultura sociale. In molti incontri è emersa una necessità: focalizzare l’attenzione sulle relazioni all’interno della società sembra essere un passo necessario alla progettazione della comunità per evitare i fallimenti dei gruppi.
Ne ha parlato anche Massimo Candela, attuale presidente dell’Accademia di Permacultura, attraverso un bel parallelismo tra le dinamiche osservabili in natura e i sistemi sociali: solo un sistema progettato per essere permanente può ambire a creare equità e a durare, al contrario consumare le risorse porta alla fine di una civiltà.
Gli elementi del sistema devono essere tanti, diversi e in relazione utile tra loro (uno dei 12 principi di permacultura afferma che ogni organismo o azione deve, o dovrebbe, avere almeno 3 funzioni come in natura). Nel design di un progetto ogni elemento è in quel posto: posizionamento relativo (in relazione ad altri elementi) per limitare i consumi entropici, le perdite. La perdita è lo spreco e genera rifiuto. L’uomo può scegliere, imitando la natura, di accelerare la successione nel tempo degli eventi imparando a stoccare l’energia a disposizione (umana, emozionale, attitudinale, sociale, solare, termica, idrica, i margini, etc) per poi condividere la ricchezza creata. Solo se gli elementi sono in relazione utile il processo va verso la vita (che è antientropica) e non verso il caos.
Qui inizia dunque la sperimentazione sociale: quanta complessità il nostro sistema (privato o allargato) è in grado di acquisire? Quali strumenti adottare per gestire consapevolmente i conflitti? Oltre agli accordi chiari e agiti concretamente, agli strumenti di facilitazione per le diverse strutture sociali, al processo di delega se il sistema è maturo? Agire, fare, esserci, osservare, creare, verificare, trasformare e trasformarsi. Alla base, la responsabilità individuale.
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